Un giorno, durante una intervista rilasciata a una radio norvegese, Marianne Ihlen raccontò il suo incontro con Leonard Cohen sull’isola greca di Hydra, dove il cantautore canadese si era fermato nei primi anni Sessanta a vivere in una casetta per 14 dollari al mese; niente auto, solo muli, retsina, pesce alla griglia, poesie e un romanzo scritti su una Lettera 22 Olivetti, e amori intensi nella notte: un giorno di primavera lei era con il suo bebè in un negozietto di alimentari con servizio bar; «Ero in piedi nel negozio con il mio cesto della spesa, in attesa che mi servissero una bottiglia d’acqua e del latte; lui era sulla porta, in piedi, con il sole che lo inondava; mi invitò fuori nel suo gruppo di amici. Aveva pantaloncini kaki, scarpe da ginnastica, una t-shirt, un cappellino. Mi sentii irradiata da una enorme compassione per me, e per mio figlio. Fui completamente presa da lui. Lo sentii attraverso il mio corpo. Una luminosità si era posata sopra di me».
Marianne è stata una delle donne più amate da Cohen. Una delle poche tra le tante donne da lui amate che siano rimaste per sempre una sua musa. Nel luglio scorso Cohen aveva ricevuto una e-mail da un caro amico di Marianne, che lo informava che Marianne stava morendo di cancro. Cohen scrisse subito una lettera meravigliosa, che nei suoi ultimi mesi di vita permise fosse pubblicata, perché «non c’era nulla da nascondere»: «Beh, Marianne, è venuto il tempo in cui siamo veramente vecchi, e i nostri corpi ci abbandonano. Credo che io ti seguirò molto presto. Sappi che ti sono vicino, così vicino che se stringessi la tua mano potrei crederla mia. Tu sai che ti ho sempre amato per la tua bellezza e per la tua saggezza, ma non ho bisogno di dire altro perché tu sai tutto. Ma adesso voglio solo augurarti un bellissimo viaggio. Addio vecchia amica. Amore senza fine, ci vediamo giù in strada». Due giorni dopo Marianne era morta. E l’amico norvegese scrisse a Cohen: «Marianne ha potuto ascoltare ancora lucida, sorridendo, la tua lettera, e ne ha ricevuta immensa pace, e gratitudine per l’augurio di bel viaggio. Mentre si spegneva le abbiamo intonato delicatamente Bird on the Wire».
Il 10 novembre 2016 un post sulla sua pagina Facebook ha annunciato che Leonard Cohen era morto, all’età di 82 anni: «Con infinita tristezza annunciamo che il leggendario poeta, cantautore e artista Leonard Cohen se ne è andato. Abbiamo perso uno dei più rispettati e prolifici visionari della musica». Cohen deve essere morto lo scorso 7 novembre, sepolto nella sua Montreal con un rito funebre strettamente privato.
A Montreal era nato, e cresciuto in una dignitosa, colta, stimata famiglia ebraica di origini lituane. E quando si trasferì a New York, negli anni Sessanta, diventò compagno di strada di Bob Dylan e Joni Mitchell. Non avrebbe potuto ricevere anche lui, Leonard Cohen, un Premio Nobel per la Letteratura come Bob Dylan? Poeta per musica come gli antichi lirici greci, oltre ad avere scritto meravigliose parole cantate, Cohen ha scritto molte poesie da leggere, e narrativa. Profondamente gentile, con un eloquio colto e amabile, con una voce profonda come quella di Tom Waits ma per niente disperata e barbona, aveva studiato anche l’ipnosi: tutte queste doti lo hanno reso irresistibile per tante donne bellissime e specialissime. Marianne, Suzanne, tante sono rimaste nelle sue canzoni, divenendo per noi le donne che stiamo amando.
Leonard Cohen ha patito una lunga malattia; il suo corpo è lentamente, dolorosamente franato sul suo scheletro malato, e il dolore che provava non gli ha mai impedito di essere spiritoso, autoironico, e sereno. Nelle ultime sue interviste ha parlato di come gli si stava facendo incontro la morte: «Il più grande cambiamento è quando la morte si fa proprio vicina. Io sono un ragazzo molto ordinato, mi piace tirare per bene le corde finché posso. Se ci riesco, bene. Devo assolutamente finire ciò che ho cominciato. Sono pronto a morire. Spero non sia troppo sgradevole. Mi preoccupo solo di questo».
Nel 2013 ero seduto in un cinema, per vedere Miss Violence, del regista greco Alexandros Avranas: un lentissimo movimento verticale della camera, molto originale, a poco a poco inquadrava un decoroso condominio piccoloborghese e poi scendeva giù, giù, fino a che sul selciato inquadrava il corpo senza vita di una bambina vestita per la festa, in una pozza di sangue. Improvvisamente partiva Dance me to the end of love, di Leonard Cohen, la ballata ninna-nanna con cui l’ebreo Cohen raccontava dopo tanto tempo il suo sentire la shoah. Quel film terribile, dove un padre laido e perbene si accoppia incestuoso con le sue bambine per poi offrile prostitute ai suoi amici, con una madre muta e vile, quello svuotarsi totale della dignità di un greco nello sprofondo della miserabile crisi economica e quindi morale di un popolo, erano perfettamente struggenti con il commento poetico di Cohen su un altro olocausto dell’umanità.
L’enorme compassione di Leonard Cohen, la sua capacità di parlare se necessario nel silenzio…
Se a Hydra, l’isoletta di tutt’altra Grecia di molti decenni fa, Cohen aveva vissuto come un monaco scrittore, al lume di lampade a olio, come monaco ordinato nella tradizione buddhista Zen Rinzai visse cinque anni in un monastero dal 1996, a Mount Baldy, vicino a Los Angeles. Dopo quarant’anni di amicizia con Kyozan Joshu Sasaki Roshi, nel pieno di una nuova pesantissima crisi depressiva, decise che doveva ritrovare il modo di sorridere; quel monastero è anche un centro di riabilitazione, e Cohen ha passato buona parte del suo tempo aiutando persone a tornare a camminare, a parlare.
Un giorno, infine, disse al suo maestro che sarebbe sceso dalla montagna, come scrisse nel suo libro di poesie Book of Longing:
ho lasciato la mia veste appesa
nella vecchia capanna
dove sono stato seduto a meditare così a lungo
dove ho dormito così poco.
Infine ho capito
che non sono per niente portato
per le Questioni Spirituali
Negli ultimi suoi dieci anni Leonard Cohen ha ricominciato a scrivere canzoni, e poco tempo fa ha pubblicato il suo quattordicesimo album. Ha riportato nel mondo la compassione, che gli era innata, e con un sorriso, appoggiato sul bastone degli ultimi tempi, ci ha detto addio con la sua elegante, seducente, tristissima voce.