Abbiamo visto “ E’ solo la fine del mondo “ regia di Xavier Dolan.
Con Gaspard Ulliel, Nathalie Baye, Léa Seydoux, Vincent Cassel, Marion Cotillard. Genere Drammatico, produzione Francia/Canada, 2016. Durata 95 minuti
Sarà anche il doppiaggese che appiattisce tutto, sarà che gli attori ( tutti assai bravi ma fuori ruolo) risultano poco credibili nei loro personaggi ( Dalla mamma Nathalie Baye, una che dovrebbe essere una casalinga di una provincia sperduta, a Vincent Cassel, un omino senza importanza, con un lavoro modesto e frustrato verso il mondo intero, fino a Marion Cotillard, una casalinga sottomessa dal rude marito tutta presa dai figli e da una vita malinconica: forse la più credibile, ma salta agli occhi un’immedesimazione da attrice ), sarà per i corpo a corpo continui, e a volte gratuiti, tra i protagonisti e nei confronti del parente ritornato a casa dopo 12 anni, ma questo film ( fin troppo teatrale, lascia una genericità di luoghi, sentimenti e rapporti ) non riesce nel suo intento. Cioè raccontare le incomprensioni, i piccoli e grandi drammi, di un interno familiare piccolo borghese di provincia che sembra scoppiare a ogni minuto ma che non riesce a risolvere proprio nulla. In tutto questo c’è il protagonista, malinconico di suo e per una ragione ben seria, che è venuto a comunicare una notizia ma che andrà via senza avere il coraggio e la possibilità di confessarla. Se non fosse per una regia elegante ma narcisista e distonica, uno scritto un po’ isterico che ha troppi profondi legami con la commedia canadese di Jean-Luc Lagarce, se non fosse per degli attori tutti molto glamour e carismatici ( ma sbagliatissimi ) si potrebbe definire questa storia con un termine di alcuni decenni fa: un vero polpettone. Ma in questo caso non c’è melodramma e in fondo risulta algido e poco empatico. Sembra come se lo spettatore giungesse ad ogni scena con qualche secondo di ritardo. E incredibilmente, il giovane regista canadese Xavier Dolan ( ventisette anni e all’attivo già sei film ), ha ottenuto all’ultimo Festival di Cannes, il Grand Prix Speciale della Giuria, un premio che dovrebbe essere assegnato per l’originalità o lo spirito di ricerca.
Louis è un giovane scrittore teatrale gay di successo ( il modello e attore Gaspard Ulliel ), torna a casa dalla famiglia una domenica, dopo ben dodici anni, anni in cui non ha visto crescere la giovane sorella né ha mai conosciuto la moglie del fratello né tantomeno i due figli che hanno. Potrebbe sembrare freddezza o indifferenza invece è solo un uomo che ha difficoltà comunicative e sentimentali; perché anche se è rimasto lontano, ha comunicato negli anni con cartoline ad ogni compleanno e ad ogni festività. Ad attenderlo con trepidazione ci sono soprattutto sua madre e la sorellina che ormai è diventata una bella giovane donna che passa il suo tempo a non far nulla e a fumare canne. Invece il fratello è rimasto un uomo scontroso e forse violento mentre sua moglie è una riservata e timida donna di campagna. La famiglia lo attende nervosa e un po’ isterica, mentre nell’aria resta tutto ciò che non si sono mai detti e che ha provocato più di una ferita. Lui giunge dal lontano aeroporto in taxi e viene accolto dalla sorella Suzanne, poi è la volta della madre, sempre un po’ sopra le righe, quindi cattura l’attenzione Catherine, la cognata, nella sua insicurezza parla, balbetta, cincischia su verità e abitudine di paese e senza importanza. E poi c’è Antoine, il fratello maggiore, che prova un forte rancore che a fatica controlla e si sente ancora minacciato dal giovane fratello. Fratello che in adolescenza era il cocco di famiglia e che oggi riappare ed è di nuovo al centro dell’attenzione delle sue donne. La tensione è palpabile, il procedere durante la giornata e un continuo di alti e bassi, scontri inutili e corpo a corpo che si avvitano su se stessi. La madre vorrebbe che le cose funzionassero almeno per un giorno e che tutto fosse dimenticato, ma i tre figli sono tre isole nella corrente che invece di comunicare se ne restano sul loro fronte. E quelle poche ore si trascinano tra il pranzo domenicale, una chiacchierata-scontro dei due fratelli che vanno a comprare le sigarette, una richiesta d’aiuto della sorellina che però consiste solo in un bisogno di ritrovare un fratello. Insomma, in questa domenica estiva, Luis è ritornato per due motivi in famiglia; il primo, dare una terribile notizia sulla sua vita, il secondo è per ricevere un po’ d’amore e di solidarietà dai suoi cari. Ma ripartirà senza essere riuscito in nessuna delle due.
Una pura messa in scena teatrale, in cui al centro ci sono le schermaglie familiari e personali, un dramma però senza una profondità di analisi psicologica, come fosse la punta di un iceberg, o peggio si dà per scontato il back ground che ha portato a questi rapporti familiari. Un film un po’ presuntuoso, che Dolan gira come se già si sentisse un Fassbinder o un Cassavetes, tuttavia è ancora distante dal raggiungere la maturità artistica di quei due grandi registi del secolo scorso. Ma sembra che non gli sia nemmeno ben chiara la messa in scena che ha allestito, si perde nella direzione degli attori e nella complicata verbosità senza profondità e originalità, che in fondo non mostra mai una direzione narrativa.