E’ dai tempi della scuola media, dalle prime volte che ho sentito parlare di Darwin e degli “strani” animali che ci sono alle isole Galàpagos, che “bramavo” di venire a visitare questi posti, dall’altra parte del mondo con animali e uccelli che si possono ammirare solo qui. Ci ho impiegato quasi 30 anni, visto centinaia di documentari, letto decine di articoli, report e diari di chi ci era già stato ma alla fine ho coronato questo mio sogno
E per unire il dilettevole ad altro dilettevole, ho “allegato” al desiderio primario di andare alle Galàpagos il tour dell’Ecuador continentale, con la visita delle principali città seguendo la Via dei Vulcani
Ho organizzato il viaggio per corrispondenza, tramite e-mail con Fabio Tonelli, un italiano che vive in Ecuador da quasi vent’anni, dove si è re-inventato come tour operator , facendolo molto bene ed avendo un discreto successo
Quito
Vi arriviamo alle 9 del mattino dopo la lunga traversata oceanica con scali alle Antille Olandesi ed a Guayaquil, la seconda città dell’Ecuador. Un viaggio lungo ma abbastanza buono, grazie anche al fatto di aver fatto il check in on-line ed aver scelto i posti sull’aereo. Nell’ultima tratta del volo, da Guayaquil a Quito, abbiamo già un piacevole assaggio delle meraviglie andine che ci aspettano, ammirando dal finestrino dell’aereo il perfetto cono del vulcano Cotopaxi
All’uscita dall’aeroporto ci aspetta il buon Fabio che, dopo i soliti convenevoli durante il trasporto a casa sua ci parla di sé, della famiglia, della sua vita “italiana” ed “ecuadoriana” e di tutti gli ospiti più o meno famosi che hanno usufruito dei suoi servigi e che si sono trasformati da clienti ad amici veri. Preso possesso della camera che ci ha preparato per questa prima notte, ammiriamo il panorama che offre il suo terrazzo su tutta la città. Siamo a 2800 mt s.l.m e ce ne accorgiamo subito dal fiatone che ci viene per aver fatto una sola rampa di scale con valigia e borsone… Alle 10, puntualissimo, ci raggiunge Guillermo, sarà la nostra guida durante il tour continentale. Iniziamo con lui la visita di Quito e dintorni. Scopriamo subito che Guillermo è molto preciso nelle sue spiegazioni ed indicazioni ed inizia la nostra scoperta di questo paese partendo proprio dalla nascita di Quito e dai tempi della conquista spagnola. La prima tappa è la Mitad del Mundo, ossia il museo che sorge esattamente dove passa la linea dell’equatore. Visitiamo il piccolo e caratteristico museo, dove la guida locale ci coinvolge anche in simpatici “esperimenti” da fare “nei due emisferi” ed esattamente sulla linea stessa dell’equatore, dove riusciamo pure noi a far stare l’uovo in piedi su un chiodo
Avvistiamo anche il primo colibrì, con il suo caratteristico “ronzio” dovuto al velocissimo battito delle ali. A fianco al museo sorge il monumento all’equatore, di dubbio gusto e tra l’altro non passante precisamente sul parallelo… Lasciato il museo raggiungiamo il belvedere del vulcano Pullulahua, l’unico in Ecuador con la caldaia abitata. Il terreno è molto fertile e la caldaia è completamente coltivata. Sul ciglio del vulcano sorge il ristorante El Crater (!?) dove abbiamo il primo approccio con la cucina ecuadoriana. Il primo impatto è positivo ma teniamo conto che comunque questo è un ristorante di lusso per gli standard di questo paese. Dopo pranzo, assonnatissimi grazie al mix “viaggio, altitudine, digestione”, attraversiamo una trafficatissima Quito per salire sul Panecillo (il piccolo pane), una collinetta che domina la città la cui vista si perde per km e km da nord a sud. Quito conta solo 1.500.000 abitanti ma si allarga per una quarantina di km, la maggior parte delle case non ha più di due piani e le abitazioni vengono costruite su ogni lembo di terra disponibile, senza regole urbanistiche.
Scesi dal Panecillo visitiamo il centro storico con le sue innumerevoli chiese ed i palazzi stile coloniale. Oltre che sui monumenti, la nostra attenzione ricade ovviamente anche sulla popolazione e sulla vita della città. Metà delle donne è vestita coi costumi tipici indios, l’altra metà in stile occidentale. Gli uomini invece praticamente tutti in stile occidentale. C’è polizia ad ogni angolo ed ogni ufficio, banca o attività importante è presidiata la guardia privata con tanto di cannone…
Molte donne indigene scendono dai loro paesi in città a vendere i loro prodotti, agricoli o artigianali, altre purtroppo, vengono a fare elemosina, costrette dalla miseria in cui vivono. E’ sempre triste vedere persone implorare una questua, ma colpisce particolarmente.soprattutto quando si tratta di anziani.
Sono oramai le 18 ed il sole è tramontato, Guillermo ci consiglia di rientrare e la nostra prima giornata finisce con l’ottima cena a casa di Fabio, ospiti della sua famiglia.
El Angel
Partenza di buon’ora, abbiamo molta strada da fare. Dirigiamo verso nord, nelle provincie di Imbabura e Carchi, ai confini con la Colombia. Prima tappa del viaggio è al belvedere del vulcano Taita Imbabura.
Fa freddo ed al “bar” del belvedere ci rifocilliamo con del maté de coca e dei biscotti caldi accompagnati da formaggio; non si direbbe ma l’accoppiata regge… Riprendiamo il viaggio e dirigiamo alla Riserva Ecologica di El Angel che si trova nel Paramo. Non è uno stato, un lago o una provincia ma bensì un habitat particolare che si crea ad una certa altitudine e con certe condizioni climatiche tipiche della regione andina ecuadoriana. La caratteristica di questo parco è la foresta di Frailejones, piante grasse molto particolari.
La strada per arrivarci è terribile, gli ultimi 15 km sono una pietraia e impieghiamo quasi un’ora per percorrerli (in auto…). Intanto più saliamo più entriamo dentro le nubi ed una nebbia fittissima ci avvolge.
Ci incamminiamo all’interno della riserva circondati da questi Frailejones che osservano il nostro cammino, un luogo molto inquietante ma al tempo stesso affascinante.
Siamo abituati alle nostre nebbie padane e questa è proprio del tipo che si taglia con il coltello; è fittissima, intorno tutto silenzio e siamo ormai rassegnati ad essere aggrediti da: “il mostro della laguna nera”, King Kong o un T-Rex.
Per tornare all’auto facciamo un sentiero il cui nome è tutto un programma: “il sentiero dei cuori sani”. Infatti si inerpica in pochi metri dai 3700 slm a 3800… Sarà il freddo, sarà la prima esperienza di sforzo fisico a queste altitudini ma l’impresa si rivela abbastanza dura. Giungiamo all’auto completamente fradici di un mix di acqua e sudore… La discesa è nuovamente molto lunga e sembra non finire mai. Arriviamo ad El Angel giusto all’ora di pranzo e ci fermiamo a mangiare in una marisqueria!!! Sulle Ande, ad oltre 3000 mt di quota, noi troviamo da mangiar molluschi! Ma la fame è molta e va bene lo stesso, tanto più che mangiamo molto e soprattutto bene, nonostante sia uno di quei posti che io battezzo come “chiudi gli occhi e mangia”.
Dopo pranzo, sulla via del ritorno ci fermiamo al paesino di Mascarillo, nella valle del Chota, dove vive una comunità nera che conserva le antiche tradizioni africane. Questa comunità discende dagli schiavi neri d’Africa portati qui dagli spagnoli. Qui troviamo un italiano che svolge opera di volontariato per aiutare queste persone a mantenere intatte le loro origini e nello stesso tempo “impegnarli” in un occupazione, in quanto sono un po’ isolati sia geograficamente che come integrazione con il resto della popolazione. Assistiamo casualmente, in quel che sembra un circolo di ritrovo, ad una danza ballata da alcune ragazze, con suoni particolari che racchiudono sia la musica afro che quella andina. Il ritmo ed i movimenti di questo ballo ci “rapiscono” ed alla fine ci ritroviamo quasi in trance…
Dopo esser ripartiti, andiamo a visitare il paese di San Antonio Ibarra, la cui caratteristica è di essere pieno di artigiani che lavorano il legno. Visitiamo qualche laboratorio e Laura, che adora lei stessa intagliare il legno, non si fa scappare una bellissima mano grezza. Da San Antonio raggiungiamo il posto dove passeremo la notte, l’Hosteria Chorlavì, un ex convento gesuita “convertito” ad hotel, veramente carino e caratteristico. E’ il primo dei posti con architettura spagnola coloniale in cui ci “aspettiamo” che compaia Zorro dal tetto pronto a saltare sui tipici balconcini.
Quicocha e Otavalo
Il mattino ha l’oro in bocca, invece noi alle 6 e 30 abbiamo già in bocca anguria e papaia per la colazione…
Partiamo per la laguna di Quicocha, un lago formatosi all’interno del cratere di un vulcano. Abbiamo appuntamento con una guida locale, una specie di sciamano che conosce ed utilizza tutte le erbe particolari che crescono intorno al cratere, purtroppo però dopo una discreta attesa, il figlio ci dice che è impossibilitato a raggiungerci… Poco male, il nostro Guillermo conosce anche alcune piante medicinali, così durante il trekking panoramico, ci spiega lui stesso per cosa vengano utilizzate.
Soffia un vento fortissimo e non fa per nulla caldo, siamo costretti a ricorrere a pile ed anche alle fascette da sci per poter trovare un po’ di sollievo sulla cabeza helada…
La laguna è splendida, perfettamente circolare, al centro due collinette che fanno da tappo al cratere.
Prima di risalire in macchina ci ritempriamo al bar dell’Hosteria dove abbiam lasciato l’auto, “pagando” il parcheggio con una consumazione, a quel punto però molto gradita.
Dalla laguna di Quicocha scendiamo al paese di Cotocachi, situato ai piedi dell’omonimo vulcano e rinomato per la lavorazione della pelle. L’attrazione di questo posto è unicamente la via centrale dove sorgono laboratori e negozi di articoli in pelle, vestiario, e quant’altro si può produrre con la pelle… Da buon spendone non mi faccio scappare l’occasione di acquistare un bel giubbotto alla “modica” cifra di 90 usd.
Dopo Cotocachi raggiungiamo Otavalo per visitare il famoso e caratteristico mercato. Ed anche questo non ci delude: è un esplosione di colori, profumi ed…odori. Le donne indigene vestono i loro abiti caratteristici e molte giovani portano sulla schiena i loro piccoli, avvolti dentro questi particolare scialli da cui spuntano solo grandi occhini dentro un faccino tondo tirabaci. Vaghiamo fra le bancarelle come in trance, rapiti dal colore e dal calore di questo posto osservando cose e persone, cercando di “rubare” con la macchina fotografica e soprattutto con la mente, queste impagabili momenti della vita del mercato.
Anche qui non mi sottraggo ai miei doveri/piaceri di acquirente e ne approfitto per “impadronirmi” di maglioni di alpaca fatti a mano e di splendidi piccoli arazzi da apporre alle pareti di casa. I costi per noi occidentali sono veramente bassi e cerco di limitare quindi l’uso della “contrattazione” del prezzo…
Pranziamo in una piccola trattoria del centro, dove l’igiene come la conosciamo noi non esiste proprio, ma il nostro must è sempre quello di provare locali e piatti caratteristici dei posti che visitiamo, quindi non ci facciamo particolari remore. Terminato il pranzo ripartiamo subito in quanto ci aspetta un lungo trasferimento per tornare a Quito, dove passeremo la notte. Qui però approfittiamo del consiglio di Guillermo e ceniamo in un locale cubano dove suonano musica dal vivo. Trascorriamo un piacevole serata a lume di candela, ascoltando il bravo cantante sciorinare il miglior repertorio ecuadoriano e sudamericano.
Salita al Cotopaxi
E’ il giorno della salita la Cotopaxi, il vulcano attivo più alto del mondo. Il suo nome significa “collo di luna”, questo perché nel plenilunio di marzo la luna, vista dalla valle di Latacunga, si trova proprio sulla bocca del vulcano così da dare l’impressione di vedere un viso con sotto il collo…
Per oggi cambiamo guida, veniamo infatti “recuperati” all’alba dal simpatico Oleguer, guida naturalistica del Parco del Cotopaxi, secondo parco in Ecuador per estensione, dopo quello delle Galàpagos. Lasciata molto presto la Panamericana, la principale strada sudamericana che attraversa tutto il continente, ci inerpichiamo per una strada che definire sterrata è un eufemismo… La giornata è abbastanza limpida ed il cielo terso, a parte le solite nubi bianche cui ormai siamo abituati; ciò favorisce la visione di paesaggi magnifici che ci regalano foto da cartolina.
Giungiamo su di un altipiano immenso, con cavalli selvaggi liberi di scorrazzare dell’immensa prateria. Sembra Campo Imperatore (Gran Sasso) ma all’ennesima potenza… Passiamo la sbarra che delimita la salita al parcheggio ai piedi del vulcano e magicamente finalmente le nubi che lo circondano si diradano un attimo per permetterci di ammirare il suo cono perfetto in tutta la sua maestosità.
La “strada” continua a salire, in alcuni tratti facciamo molta fatica nonostante siamo seduti su una jeep 4×4, ma i nostri occhi strabuzzano quando raggiungiamo via via auto come Uno, Corsa ed anche un Maggiolone. Raggiungiamo finalmente il parcheggio posto a 4500 mt slm, ci vestiamo con pile, giubbotti, cappelli e k-way. C’è un vento fortissimo, ma nonostante qualche tentennamento iniziale dovuto alla mancanza di ossigeno dovuta all’altitudine ed accentuata dalle forti raffiche, iniziamo la nostra avventura : salire al rifugio Josè Ribas a 4800 mt slm.
Sono solo 300 mt di dislivello spalmati su un sentiero di 600, ma la fatica a farli è pazzesca.
Il sentiero sale a zig zag (la salita diretta è molto ripida ma qualche “loco” la fa lo stesso) ed ogni 2 rampe ci fermiamo per rifiatare ed abituare il corpo all’altitudine. Dopo 45’ giungiamo stravolti ma trionfanti al rifugio.
Ci abbracciamo con Oleguer per ringraziarlo per questa incredibile avventura, per noi è stata veramente un’impresa salire fin quassù. A 4800 (come essere sul Monte Bianco) ti sembra di avere il mondo ai tuoi piedi, ma la vastità dell’immenso altipiano andino che circonda il Cotopaxi e la maestosità delle altre montagne ci fanno sentire delle formichine e ci fan capire una volta di più quanto piccolo sia l’uomo di fronte al resto del creato. A questa altitudine comincia anche ad esserci la neve e poco più su, i ghiacciai che coprono la parte finale del vulcano; purtroppo anche qui, come in Europa si stanno restringendo a causa dell’effetto serra.
La discesa la prendiamo diritta, è molto rapida e divertente, scivoliamo giù lungo il ghiaione di pietre laviche anche spinti dal vento ed in solo 10’ siamo di nuovo alla macchina. Ripartiamo per la lunga discesa ma dopo pochi minuti Oleguer ci chiede se vogliamo fare un tratto a piedi, passando attraverso il paramo del parco. Non ce lo facciamo dire due volte e soli soletti ci incamminiamo lungo un sentiero che ci indica la guida, lui ci aspetterà alla fine del percorso. La passeggiata dura circa mezz’ora e ci dona anche questa delle belle sensazioni : noi due soli, a 4000 mt di quota, tra fiori e piante a noi sconosciuti, con il Cotopaxi alle spalle ed un panorama pazzesco verso la vallata sotto un cielo azzurro pastello. Un momento indimenticabile.
Nel tardo pomeriggio raggiungiamo l’Hosteria La Ciniega, un altro ex convento vecchio più di 400 anni, un altro luogo magico, con un viale d’ingresso lungo almeno 200mt pieno di eucalipti secolari, alti decine di metri, che “cantano” sferzati dal vento emettendo un suono lamentoso.. La camera è enorme oltre che deliziosa e c’è pure il camino che prontamente accendiamo per dare un po’di tepore al gelido ambiente…
La cena è degna del resto del convento, si mangia benissimo.
La leggenda narra che in questo luogo si aggiri un fantasma che mette in fuga i turisti, Laura per evitare ogni problema, decide di dormire con la luce accesa…
Laguna di Quilotoa e Banos
Lasciamo La Ciniega al mattino presto, la meta di oggi è la laguna di Quilotoa. Per raggiungerla ci vogliono 3 ore di viaggio, ma passono velocemente perché attraversiamo un tratto di Sierra Andina tra i più belli del Paese. Nonostante sia così dall’inizio del viaggio, ci stupiamo una volta di più dei paesaggi che ci regala questa terra, il comune denominatore è sempre lo stesso: cielo blu con nuvole bianche come quelle che si vedono nei cartoni animati, visibilità nitida per km e km, terreni coltivati quasi in verticale fino quasi alle cime dei monti, tutti lavorati a mano dalla donne indigene. Anche la popolazione, ci confida Guillermo, è molto più simpatica e graziosa del resto del Paese. I bambini al nostro passaggio ci salutano con entusiasmo. La laguna di Quilotoa è la più bella di tutto l’Ecuador, la foto compare su tutte le guide per la sua quasi perfetta rotondità e per il colore delle sue acque. Quando vi arriviamo non rimaniamo delusi da ciò che ci aspettavamo di vedere…un paesaggio da togliere il fiato!
Dopo le foto di rito al belvedere iniziamo la discesa dentro il cratere, Quilotoa è infatti un altro vulcano spento dove nel cratere si è formato un lago. Il sentiero è molto ripido, sabbioso, impegnativo; il ritorno dovremmo percorrerlo a dorso di un mulo…
Raggiungiamo la laguna, l’acqua è verde smeraldo, che si scurisce leggermente al passaggio di qualche nuvola.. L’acqua non è molto fredda, è leggermente salata, una via di mezzo tra mare ed acqua dolce. Al momento di risalire abbiamo un’amara sorpresa: purtroppo i muli che ci dovrebbero riportare su oggi non sono disponibili perché i ragazzi che li conducono sono impegnati nella riunione della comunità locale. Quindi dobbiamo risalire 200 mt di dislivello a piedi!!!
E’ durissima, peggio che al Cotopaxi, infatti qui la salita è molto più ripida, sulla sabbia e siamo sempre intorno ai 4000 mt slm.. Stremati, con la lingua fuori raggiungiamo il ciglio del cratere. Ad attenderci la solita ottima “Sopa di verdure”. Al pomeriggio ripercorriamo la medesima spettacolare strada dell’andata fino a riprendere la Panamericana e raggiungere Banos.
Questa è una cittadina termale nota in tutto il continente sudamericano e si trova ai piedi del vulcano Tungurahua. Prima di arrivare in città percorriamo centinaia di metri di strada “strappata” alla colata lavica scesa durante l’eruzione del febbraio scorso, un fiume lungo chilometri e con un fronte di quasi 300 mt. Il vulcano al momento è ancora attivo, ma purtroppo per noi, non è visibile il pennacchio di fumo per via delle solite nubi che circondano le vette dei vulcani.
L’hotel è “meno bello” del solito ma offre altri agi, come ad esempio un mini centro termale di cui approfitto appena scaricate le valigie. Anche il servizio lascia un po’ a desiderare e dopo un’ora e mezza di attesa per esser serviti per la cena, decidiamo di uscire a cenare fuori. Troviamo un ottimo localino nella piazza del paese dove degustiamo i piatti locali con grande soddisfazione.
Alle porte dell’Amazzonia
Da Banos dirigiamo verso la giungla amazzonica lungo la “Via delle Cascate”. Il clima cambia completamente diventando molto umido, anche la vegetazione è ovviamente diversa da quella che abbiamo incontrato sinora. Ci troviamo a 1500 mt, a quote europee, ma se non è l’altitudine a darci problemi qui le subentra l’umidità… e meno male che siamo nel periodo secco. La strada corre sul ciglio del canyon del fiume…in direzione di Puyo, sull’altro lato del canyon cascatelle più o meno importanti legittimano il nome di questa strada. Ci fermiamo per attraversare il canyon con una piccola ed improbabile teleferica. Il cestello ha una sola fune e scorre ad un’altezza di 130 mt sopra il fiume.
Visitiamo la piccola comunità che vive qui, praticamente isolata in quanto l’unico modo di collegarsi al resto del mondo è questa piccola teleferica, in alternativa farsi una lunga camminata verso la valle ed attraversare il fiume su di un ponte di legno simil tibetano, con assi discretamente pericolanti. Ritorniamo indietro di nuovo con la teleferica e proseguiamo in auto fino all’ingresso del Parco del Paillon del Diablo, una cascata naturale considerata tra le sette più belle del mondo. Per raggiungerla facciamo un sentiero nella foresta dove possiamo ammirare enormi piante di felce, orchidee selvatiche e delle libellule di un colore azzurro brillante veramente bello. La cascata è spettacolare, il frastuono delle acque molto forte, ma inserirla tra le sette più belle del mondo sinceramente ci lascia perplessi.. Comunque indossiamo il k-way e ci avviciniamo al salto d’acqua. Il fragore è impressionante e si rimane incantati ad osservare l’incredibile potenza dell’acqua quando raggiunge la base della cascata… Proseguiamo il trekking passando sopra ad un ponte sospeso, portata massima 5 persone; ad ogni passo si dondola un pochino ed attraverso le traballanti e precarie assi di legno si intravede il fondo del canyon con le sue acque spumeggianti. Prima di andarcene ci concediamo al… “bar capanna” un ottimo succo di pomodoro d’albero, un frutto rosso che nulla ha a che vedere col pomodoro insalataro, solo il nome ed il colore. Cresce sugli alberi e non si può mangiare crudo, si beve solo il succo dopo averlo spremuto per bene. Gustosissimo.
Riprendiamo la strada per Banos e dirigiamo per Riobamba, dove dobbiamo arrivare entro le 15.00 per prendere il biglietto per il Trenino delle Ande del giorno dopo. C’è una discreta coda, tutti turisti, il numero di posti è limitato quindi appena apre la biglietteria c’è l’assalto. Ma non sarà l’unico, infatti alla partenza dovremo esser presenti all’alba per accaparrarci i posti migliori, lato burroni… Alla sera ceniamo e pernottiamo all’Hacienda Las Andaluza, non è un convento come ormai ci eravamo abituati ma è comunque molto bella e caratteristica. La cena è allietata da un gruppo che suona con strumenti indios sia musica indigena tipicamente andina sia grandi successi tradizionali, “convertiti” dal suono particolare dei loro strumenti.
Trenino delle Ande
E’ il giorno del trenino. Ci alziamo alle 5 per essere alla stazione di Riobamba molto presto : obbiettivo i posti alla destra del treno perché sono quelli “lato precipizio”, quindi i più spettacolari. Le tre carrozze sono piene di turisti ma vi trovano posto anche alcuni locali, altri si caricano delle sedie di casa sulla motrice e siederanno insieme al macchinista, il quale ci informa che viaggeremo ad una velocità di 20/30 km/h e che impiegheremo circa 7 ore per fare 120 km!!!
La ferrovia a volte costeggia la strada, altre si addentra solitaria in mezzo a gole e vallate. E’ molto bello quando attraversiamo piccoli paesi sperduti in mezzo alle montagne : per i bimbi è una festa il passaggio del treno, tutti ci salutano e corrono a fianco dei vagoni.
Qualche anziana donna, vestita nel tradizionale costume colorato, smette per qualche istante di lavorare la terra ed osserva il nostro rumoroso passaggio. In un paio di questi paesini facciamo la sosta dove si approfitta per fare acquisti alle coloratissime bancarelle predisposte lungo il binario dai locali, piene di ponchi, cappelli, maglioni, borse ma anche di merende tipiche quali banane fritte, latte col mais, frittelle con formaggio, pollo e maiale…
L’ultima tratta del viaggio è la più spettacolare, si va alla Nariz del Diablo : un luogo dimenticato dal Signore dove la ferrovia scende fino in fondo al canyon facendo zig zag, ovvero dove il treno per due volte procede in retromarcia sulla parete della montagna perché qui non esiste alcuno spazio per effettuare una curva.
Questo dovrebbe essere il momento più bello della gita, ma sinceramente a noi è piaciuto di più il resto del viaggio, con l’attraversamento dei piccoli “puebli”, le vallate con le terre coltivate a mano dalle donne soprattutto anziane, il solito incredibile paesaggio che offre la Sierra Andina.
Al ritorno dalla Nariz del Diablo il treno deraglia! Sembra che ciò accada frequentemente ed è dovuto al fatto che mancano molti traversini dei binari, che dicono vengano rubati dai locali per far legna e scaldarsi e più rimpiazzati per via della scarsa manutenzione…
Molto interessante vedere come l’equipaggio rimette il treno sui binari: scavano una buca all’interno della rotaia, vi mettono una grossa pietre che serve per bloccare un pezzo di rotaia piegato, tipo quello per gli scambi e che tengono sempre sul treno, pronta per questa evenienza. Una volta fissato il binario “scambio” a fianco di quello regolare, fanno avanzare il treno molto lentamente e quando le ruote di motrice e vagoni raggiungono la pietra con il pezzo incastrato tra essa ed il binario, magicamente le carrozze ritornano sulla rotaia.
Dopo il divertente fuori programma, raggiungiamo il capolinea ad Alausì, dove Guillermo ci aspetta per portarci ad Ingapirca e quindi a Cuenca dove passeremo la notte. Il viaggio per arrivarci è lungo, la Panamericana per molti tratti è sterrata, inoltre ci troviamo una nebbia fittissima che ci costringe ad avanzare a passo d’uomo. Poco prima del tramonto arriviamo ad Ingapirca, il più importatane sito Inca dell’Ecuador. La luce rossa del sole che sta calando aiuta a creare una certa atmosfera e dona una bella colorazione alle antiche mura ed a tutto ciò che ci circonda.
Gli Inca non distruggevano le costruzioni delle popolazioni che conquistavano ma costruivano i palazzi ad un livello superiore a quelli esistenti, per dimostrare la loro supremazia. E’ così che in questo luogo si conservano sia parti di costruzione Inca, sia della cultura che li ha preceduti, ossia la Canaris. Fortunatamente c’è poca gente, più qualche lama che pascola liberamente sui prati intorno alle rovine. Arriviamo a Cuenca in serata quando oramai è già buio, abbiamo solo il tempo di cenare ed andare a letto, cotti a puntino…
Cuenca e Guayaquil
La mattina la passiamo a visitare Cuenca, probabilmente la più bella città dell’Ecuador, coi suoi palazzi coloniali ancora intatti, le vie del centro pulite, la città è tenuta molto bene. La guida ci dice che i Cuencani sono molto orgogliosi della loro città e si sentono un po’ superiori rispetto al resto del Paese, anche perché Cuenca è considerata la capitale culturale. In centro visitiamo l’imponente cattedrale, che rimarrà incompiuta, senza campanili che non potranno essere costruiti perché le mura della chiesa non ne reggerebbero il peso a causa di calcoli errati durante la costruzione. All’interno svetta una bella statua di Giovanni Paolo II che ha visitato la città nei primi anni del suo pontificato ed a cui i cuencani sono molto devoti. Certo fa un certo effetto vedere una statua di quello che è stato il Papa della nostra generazione, venerato come gli altri santi che si trovano normalmente in tutte le chiese.
Dopo la cattedrale visitiamo il Museo d’Arte Precolombiana, ricco di monili di tutte le culture ecuadoriane precedenti l’arrivo degli spagnoli. Poi Guillermo ci porta a casa di una signora che vende antiquariato e che conosce personalmente. Per 1 dollaro ci permette di visitare la sua dimora costruita 190 anni fa dai suoi antenati e ricca di oggetti pregiatissimi prelevati qua e là per il mondo. Anche lei in realtà si può considerare un pezzo di antiquariato.
All’uscita ci facciamo portare in taxi alla fabbrica dei famosi cappelli Panama.
Al contrario di quanti possono credere, i cappelli Panama che vengono fabbricati proprio qui in Ecuador, devono il loro nome al fatto che questo copricapo veniva fornito ai lavoranti durante la costruzione dello stretto di Panama. La visita alla fabbrica è veramente interessante, viene mostrato ogni passo della lavorazione del cappello, dall’intreccio iniziale fatto ad opera delle donne indios, che poi vendono il manufatto in fabbrica al completamento della lavorazione.
Prima di mezzogiorno partiamo per Guayaquil ed attraversiamo il Parco nazionale del Cajas, una zona di alta montagna la cui caratteristica è che il terreno è perennemente intriso d’acqua, anche quando non vi piove da tempo. E’ una zona ricca di allevamenti di trote e ci fermiamo per il pranzo in una di queste haciendas x gustare la trucha a la plancia. Proseguiamo quindi il nostro viaggio e dopo pochi km scolliniamo il passo Cajas, da qui in avanti sarà tutta in discesa fino a Guayaquil, da 4000 mt slm a..4 mt slm . In alcuni momenti sembra di stare su un aereo anziché in auto, perché la strada scende lungo il costone della montagna e ci troviamo al di sopra delle nubi che coprono tutta la pianura sottostante.
Il clima cambia e ritroviamo l’umido che avevamo “assaporato” a Banos, la vegetazione è totalmente diversa, è quella della foresta tropicale. La pianura è ricca di colture di banane, cacao e riso… Sono le grandi coltivazioni industriali.
La strada per Guayaquil è larga e ben asfaltata ma il traffico è terribile e guidano tutti come pazzi! Abituati a velocità da 50/60 km/h sulla Sierra, ci ritroviamo superati e stretti sul ciglio della strada da furgoni e TIR che viaggiano ad oltre 100 km/h!
Giunti a Guayaquil sani e salvi, lasciamo subito i bagagli, documenti e qualsiasi cosa che abbia un valore superiore a 10 dollari nella cassetta dell’hotel. Questa città ci è stata descritta da molti come la più pericolosa dell’Ecuador, il 90% dei reati avviene qui… Un po’ intimoriti, con addosso solo maglietta e jeans, passeggiamo per il lungomare. E’ molto moderno, appena ricostruito completamente nel 2000 dall’intraprendente sindaco locale che chiede anche uno statuto speciale al governo centrale in quanto considera Guayaquil, forse a ragione, la città economicamente più importante per il paese. Questo luogo è pieno di vita e di locali, ma anche di molta polizia, il che ci rassicura ed al tempo stesso intimorisce.
La giornata volge ormai al termine ed il nostro pensiero è già a domani, quando partiremo per le Galàpagos.