Bisognerebbe stare più attenti ai salti semantici e ricordarsi quando si è passati a definire la “piccola editoria” “editoria indipendente”. All’inizio – sono circa gli anni ’90 del secolo scorso – nascono tanti piccoli editori che, sull’esempio di Adelphi e poi di Sellerio, propongono un’editoria di ricerca, alternativa. Libri belli, curati, che scoprono nicchie non ancora coperte dall’editoria italiana (in realtà sempre piuttosto aggiornata) e cercano i lettori anche attraverso nuove occasioni di incontro (paradigmatica la Fiera di Belgioioso) dove espongono cataloghi che, anno dopo anno, crescono.
I nomi sono noti: Minimum Fax, Iperborea, Marcos y Marcos, E/O, Quodlibet a cui si aggiungono negli anni Keller (Zandonai), Hacca, La Nuova Frontiera, Nottetempo, Voland e tanti altri che compongono un pulviscolo di iniziative, a volte baciate dalla fortuna e dall’abilità di avere un autore che va in classifica e che desta l’attenzione dei media e dei librai. Dopo il 2000 cominciano le concentrazioni editoriali, alcuni piccoli-medi editori sono acquisiti in grandi gruppi, spesso mantenendo la propria indipendenza (La Tartaruga, Archinto ecc.).
Il nodo principale, nel momento in cui le tecnologie aiutano a contenere i costi di produzione e gli stipendi (se esistono) sono sempre stati modesti, resta la distribuzione. Il libraio, figura mitica di cui tutti vorrebbero essere amici, è spesso pigro e diffidente, oppure lavora per le Feltrinelli o altre librerie di catena, dove nel frattempo la decisione su quante copie acquistare di un singolo libro è stata centralizzata. I distributori sono pochi – e la notizia recente che Messaggerie, massimo distributore italiano, acquista PDE, cioè uno dei principali ‘concorrenti’, non è delle più incoraggianti – e, a loro volta, poco interessati al volume d’affari della piccola editoria e poco lungimiranti nel volerlo far crescere.
All’inizio della crisi economica (2008), il comparto libro sembrò non risentirne, si affermava che il libro era un bene “anticongiunturale”, poi anno dopo anno, mese dopo mese, arrivavano notizie di chiusura di librerie, anche storiche, con la conseguente diminuzione di fatturato. Grandi città come Venezia si riducevano ad avere un numero di librerie che si contano sulle dita di una mano. Nel frattempo si sviluppava il commercio librario online che conquistava lentamente quote di mercato con sconti fissi (15% e più) e condizioni favorevoli. Anche questo ecosistema in crescita veniva sconvolto dall’arrivo di Amazon Italia che ora sta lasciando nicchie agli altri siti. Un altro monopolio che nasce.
Il 2014 sembra l’anno in cui i nodi vengono al pettine: case editrici in vendita (Voland), prenotazioni delle novità calate del 50%, librerie che chiudono, ulteriore contrazioni nella spesa di consumi culturali, nuove forme di fruizione del libro (Kindle, tablet), sbandamento dell’associazione degli indipendenti “Mulini a vento” che dopo la nuova legge sul libro e una (si fa per dire) disciplina sugli sconti ha perso vigore, preoccupazione e nervosismo generali.
Ricette ? Buone pratiche? Difficile fare piani a lunga scadenza, ma ricordarsi che in tutti i periodi di crisi c’è chi ha fatto buoni affari. Accanto a librerie che chiudono, c’è qualche esempio (a Milano Gogol & Company) di libreria che instaura un rapporto attivo col territorio, eredita lettori da librerie che chiudono. Per gli editori è più dura: credo che il futuro passi attraverso nuovi modelli distributivi (è quello che fa Marco Cassini con SUR che, dopo aver battuto l’Italia, ha scelto le librerie con cui lavorare direttamente, ed è, in parte, quello che fa Beniamino de’ Liguori con le risorte Edizioni di Comunità), nuove forme di promozione (la pletora di manifestazioni letterarie andrebbero in qualche modo coordinate).
C’è in realtà un Centro per il Libro di derivazione ministeriale. Per ora non ha dato grandi segnali di vita, speriamo che il nuovo direttore, un uomo pratico come Romano Montroni, abbia delle buone idee e le sappia mettere in atto. Per gli editori indipendenti non c’è che difendere le proprie nicchie.
Se dovessi indicare un modello, direi Iperborea: un progetto culturale connotato, progetto grafico subito riconoscibile, lavoro in profondità su un numero limitato di paesi, creazione di manifestazione di sostegno, aiuto economico dai paesi i cui libri vengono tradotti. L’editore indipendente deve lavorare prima di tutto sulla propria identità e non spaventarsi davanti a grandi progetti (come L’Orma editore che riprende in mano la traduzione di un capolavoro assoluto del XX secolo come I giorni e gli anni di Uwe Johnson).
Il problema dei problemi è appassionare i giovani (ma forse tutti quanti) alla lettura. Far comprendere che la lettura è uno strumento di libertà, una possibilità di utilizzare il proprio libero arbitrio. Ci sono iniziative meritevoli come “I piccoli maestri” in cui uno scrittore va nelle scuole e parla del suo libro preferito. Ma è giusto, credo, concentrarsi sulla lettura. Marino Sinibaldi in Un millimetro più in là, libro-intervista con Giorgio Zanchini uscito ora da Laterza, ricorda come fosse stato importante, cresciuto in una casa senza libri, sapere che altre persone, altri coetanei leggessero, compiendo la stessa esperienza solitaria nello stesso momento.
Dovrebbero quindi crearsi ambienti favorevoli di lettura condivisa come la bellissima Biblioteca di San Giorgio di Pistoia, divenuto “il” luogo di aggregazione giovanile della città. Gli editori indipendenti, oltre a trovare nuove forme cooperative, dovrebbero utilizzare il loro entusiasmo, la loro libertà, non per snobistici confronti col mondi di ieri come la nobiltà francese ai tempi di Luigi Filippo, ma saperli comunicare a lettori vecchi e nuovi. Possibilmente non organizzando nuovi corsi di editoria, ma facendo, ad esempio, conoscendo i progetti, gli autori, i grafici, come nasce un libro. Sarebbe già qualcosa.