Tra artisti e scrittori, i rancori sono ricorrenti e tenaci. Gelosie e cattiverie agitano da sempre il microcosmo delle arti e delle lettere, alimentando invettive ironiche e giudizi al vetriolo. In tutti i tempi e a tutte le latitudini. Il campionario delle definizioni impietose e taglienti è talmente vasto che lo scrittore francese Pierre Chalmin ha deciso di proporne un´eloquente antologia, mandando in libreria un assai gustoso Dictionnaire des injures littéraire (L´Éditéur, pagg. 730, 29 euro). Da Apollinaire a Zweig, da García Márquez a Houellebecq, da Faulkner a Sartre, sono diverse centinaia gli scrittori – ma anche i filosofi, i cineasti, i musicisti, i pittori e i personaggi storici – che figurano in questa sorprendente carrellata di «ingiurie letterarie», dove il gusto per la definizione icastica e l´ironia sofisticata coesistono con le più imbarazzanti cadute di stile e gli insulti veri e propri. In genere, più sono lapidari, più i giudizi risultano efficaci. Ne sono un esempio le celebri parole di Savador Dalí su Louis Aragon: «Così tanto arrivismo per arrivare a così poco», ma anche quelle del critico Matthieu Galay su William Burroughs, liquidato come «il Buster Keaton dei paradisi artificiali». Talvolta la valutazione estetica impietosa è figlia di un´idiosincrasia tutta personale, come mostra un commento di Nabokov su Conrad: «Non sopporto lo stile da negozio di souvenir, le navi in bottiglia e le collane di conchiglie dei suoi cliché romantici».
Altre volte la battuta sferzante nasce dalla delusione di un entusiasmo tradito, come quello di Angelo Rinaldi – critico letterario francese – nei confronti delle opere di Kundera scritte in Francia: «Si è illuminato nell´esilio per spegnersi nella Ville Lumière. (…) E´ un artista che abbiamo accolto e festeggiato, ma si è trasformato in un intellettuale parigino».
E se Rinaldi non teme di scrivere apertamente ciò che pensa, altri preferiscono affidare i commenti poco lusinghieri sui colleghi alle segrete pagine dei diari privati. Così, il giorno della scomparsa dell´autore dei Sotterranei del Vaticano, Paul Claudel lascia nei suoi taccuini due righe senza appello: «Morte di André Gide. La moralità pubblica ci guadagna molto e la letteratura non ci perde tanto». Mentre Jules Renard nel suo diario non esita a definire George Sand « la vacca bretone della letteratura », un commento la cui misoginia ricorda quella di Céline nei confronti di Françoise Sagan: «Une fenomeno pubblicitario! Una servetta degenerata! Non ha cosce. Guardatene l´anatomia! Da un punto di vista medico, vale appena cinque su venti!». Più sono famosi, più gli autori si attirano le stroncature e il risentimento altrui, come accade a Baudelaire, di cui Walter Benjamin scrive senza mezze misure: «Riunisce in sé la povertà dello straccivendolo, il sarcasmo del mendicante e la disperazione del parassita». Al festival della cattiveria, i filosofi non sono da meno. Basti vedere gli sprezzanti giudizi collezionati da Descartes, considerato da Pascal «inutile e incerto» e da Voltaire «un felice ciarlatano». Anche nel mondo del cinema, non mancano i commenti spietati, come questo di Godard sul regista di Novecento: «L´altro giorno sono andato a vedere l´ultimo Bertolucci, e mi sono appisolato durante la pubblicità. Quando mi sono svegliato, il film era già cominciato. La differenza non mi ha colpito».
Proprio Godard, per altro, è un regista abbonato alle stroncature, tra cui una delle più violente è quella del critico Christian Charrière: «Godard, si sa, è un melone gonfio d´acqua, gonfiato all´eccesso dagli elogi e la cui polpa deludente ha la consistenza del liquido triste che la riempie come un lavandino ingorgato». Insomma, come scrive il curatore di quest´opera istruttiva, «l´odio, a differenza dell´amore, è spesso reciproco», ma sarebbe bene che le battaglie critiche non degenerassero nell´insulto. La lettura del Dictionnaire des injures littéraire da questo punto di vista è un monito salutare.
2 – ECCO ALCUNE DELLE STRONCATURE…
Faulkner Su Hemingway: Non è mai stato famoso per aver scritto una sola parola che obblighi il lettore a consultare un dizionario Virginia woolf su Joyce: L’ Ulisse mi sembra un libro rozzo e volgare, il libro di un manovale autodidatta, e sappiamo tutti quanto questi siano deprimenti, egocentrici, insistenti, frusti, inverosimili e soprattutto nauseanti
Julien Green su Yourcenar: Una Sagan dell’antichità, un piedistallo senza la statua… Quello che si scambia per marmo non è altro che strutto
Leon Bloy su Rimbaud: Un bambino che piscia contro l’Himalaya
Maurice Barrès su Proust: Un poeta persiano in una portineria
Twain su Petrarca: Quel signore che amò la Laura di un altro e le prodigò durante tutta la vita un amore che era un vero spreco d’energia
Jules Renard su Mallarmé: Intraducibile, perfino in francese
Matthieu galey su Barthes: Il fallimento più riuscito della sua generazione
Flaubert su Dante: Come molte belle cose considerate sacre, non si osa mai dire che ci annoiano
Voltaire su La Fontaine: Il carattere di quest’uomo era talmente semplice che nelle conversazioni non si mostrava mai al di sopra degli animali che faceva parlare
Mauriac su Robbe-Grillet: Se un giorno scriverà qualche libro importante, ciò non sarà dovuto alle leggi che ha dettato, ma solo al fatto di averle dimenticate
Borges su Wilde: Un signore tutto votato al misero progetto di stupire con le sue cravatte e le sue metafore
Karen Blixen su Dickens: Secondo me è noioso da morire
Karen Blixen su Tolstoj: Una buona parte di ciò che ha scritto francamente mi disgusta e preferirei mille volte la morte a un mondo dove i suoi ideali si fossero realizzati
Anais Nïn su Musil: Come si è potuto paragonarlo a Proust? E’ pesante, opaco, noioso e senza intuizione psicologica