Proprio al centro del Mar Baltico c’è un’isola di monoliti lunari che escono dall’acqua cristallina come attori dormienti in attesa di un segnale dal loro regista: Ingmar Bergman che, dagli anni ’60, fece di Fårö la sua casa. È lui stesso che racconta l’arrivo sull’isola per trovare la location ideale per il primo film della trilogia del silenzio di Dio: Come in uno specchio (1961): «Stavo lavorando a un film di quattro persone su un’isola. Senza essere mai stato lì volevo ambientarlo sulle isole Orcadi in Scozia, ma i finanziatori del film non erano d’accordo. Io ero determinatissimo, poi uno di loro suggerì Fårö. […] Arrivammo lì in un giorno tempestoso di Aprile. […] Un taxi ci portò alle steli, colonne di roccia sul lato nord dell’isola che resistevano alla potenza degli elementi. Siamo rimasti in piedi a fronteggiare il vento pur di osservare questi idoli misteriosi e reticenti che si confrontavano con le onde e il cielo oscuro. Non so davvero cosa accadde […] avevo trovato il mio paesaggio, la mia casa.»
Qualcosa di potente e misterioso si avverte arrivando in questa piccola isola fin dal mare che la circonda. Qualcosa che la differenzia brutalmente dalla vicina isola di Gotland. Niente mura medievali a difesa di antiche città a Fårö, niente chiese romaniche e crocifissi intagliati, niente foreste lucide e prati infiniti. Basta prendere una delle navi piatte e gialle che collegano Fårösund a Broa per capire che qualcosa sta cambiando. Il mare sull’isola di Gotland sembra dipinto da Seraut: è placido, avvolgente e potrebbe risucchiarti in un attimo nel silenzio che ammanta l’isola. Quello di Fårö invece è come un Seraut che nasconde sotto la superficie un Pollock: è tumulto e rabbia, nascosto sotto un’apparente immobilità. È contrasto stridente fra il “fuori” e il “dentro”. Lo stesso contrasto su cui Ingmar Bergman ha costruito la sua cinematografia.
Come in uno specchio (1961), Persona (1966), Vergogna (1968), Passione (1969) e Scene da un matrimonio (1973), sono tutti film girati sull’isola di Fårö, dove il regista, sceneggiatore e drammaturgo svedese (Bergman ha iniziato con il teatro e molti suoi film, anche Il settimo sigillo, sono adattamenti di sue pièce teatrali) ha abitato fino alla sua morte nel 2007. Luogo dai forti contrasti, Fårö risucchia il viaggiatore in un giorno senza tempo e senza troppe parole, lasciandolo vagare fra il brullo paesaggio in bianco e nero (tanto caro a Bergman prima e a Woody Allen poi) di Langhammars, immerso in un silenzio solido e onnipresente, e le morbide spiagge di Sudersand, con il mare cristallino e i bambini biondi con capelli di luce che corrono a bassa voce fra le dune.
È in quest’isola che molti artisti oggi si recano, non soltanto per passeggiare e contemplare ciò che Ingmar Bergman ha contemplato, ma anche per staccarsi dal mondo esterno e creare. La fondazione Bergman proprio a Fårö accoglie ogni anno scrittori, cineasti, fotografi e artisti per offrire loro una bolla di silenzio in cui muovere la propria creatività in modo differente, perché non debba piacere al loro editore, produttore, agente, ma soltanto a loro stessi e al desiderio di creare cui è facile sfuggire in una società dai mille “distrattori”, come quella in cui siamo immersi e cui siamo fatalmente connessi.
Seduti su una roccia pensosa, aggrappata ad acque più leggere del vento, respireremo quel giorno che Ingmar Bergman ha chiesto con la sua opera di vivere anche a noi. Pronti a fronteggiarne le conseguenze, come i monoliti di Fårö.