Negli ultimi tempi, non solo per il successo del romanzo “M” di Antonio Scurati, si è tornati insistentemente a parlare del periodo dell’ascesa del fascismo. Sull’onda del centenario del 1919 (anno di fondazione dei Fasci di combattimento) anche Mimmo Franzinelli, noto e apprezzato storico del fascismo e dell’Italia repubblicana, è tornato in libreria con il consueto rigore storiografico che contraddistingue le sue ricerche. Fascismo anno zero. 1919: la nascita dei Fasci italiani di combattimento (Mondadori, Milano 2019, pp. 289, € 22,00) indaga proprio i primi passi del movimento mussoliniano, ancora incerti, ondeggianti, perfino contraddittori e non privi di cadute, purtroppo mai rovinose.
Mentre i socialisti continuavano a predicare l’arrivo della Rivoluzione come se fosse stata una necessità della storia, da attendere a braccia aperte senza bisogno di prepararla, il 23 marzo 1919 in piazza San Sepolcro a Milano nascono i Fasci di combattimento, diretti eredi dell’interventismo rivoluzionario, che nella formula dell’”antipartito” mescolano una tensione sovvertitrice delle istituzioni liberali al più urlato patriottismo e a un feroce antisocialismo. Si tratta di un movimento di tipo nuovo che fa della violenza il suo punto d’appoggio strutturale e che, con gli incendi, le bastonature e le uccisioni andrà togliendo nel corso dei mesi e degli anni successivi ogni spazio di agibilità politica agli avversari.
L’adunata milanese è un evento chiave, troppo spesso “sottovalutato o banalizzato dagli antifascisti” (p. 6), ma che sul momento ha ben scarsa risonanza, snobbato da stampa e opinione pubblica. I presenti sono appena duecento, ben poco rispetto alle aspettative, e la riunione si scioglie per stanchezza dell’uditorio dopo una sequela di interventi irrilevanti. Ma Mussolini non si perde d’animo. È un buon giornalista, energico, salace, provocatorio, dotato di un bieco pragmatismo che gli consente di evitare, come diceva Angelo Tasca, “i tranelli mortali della coerenza” e di tenere insieme le contraddizioni interne a un confusionismo rivoluzionario pronto a qualunque deriva. Al suo fianco futuristi e arditi, con le loro intemperanze sempre più chiassose per le strade di Milano contro tutti i “nemici della patria”.
È questo il clima del diciannovismo, che nonostante la propaganda contro i “pescicani” arricchiti non spaventa affatto la borghesia. Anzi, nella difficoltosa navigazione nelle acque del dopoguerra la “stella polare” di Mussolini resta l’antisocialismo, tradotto nel ripudio della lotta di classe per guardare alla collaborazione produttivista tra proletari e padroni, nell’interesse dell’economia nazionale. Per questo, Franzinelli lo rimarca con decisione e ricchezza di dettagli, i Fasci sono fin da subito ben sovvenzionati da industriali e commercianti milanesi, i cui denari risultano indispensabili alla sopravvivenza del movimento: “le sovvenzioni ripagano il supporto fornito alla borghesia sul fronte della guerra di classe” (p. 26).
Il numero di sezioni fasciste effettivamente attive nel 1919 rimane limitato, la loro esistenza è tormentata. La battaglia elettorale di novembre condotta in solitaria nella lista Thévenot (dal nome della bomba a mano in uso agli arditi) è una disfatta clamorosa. L’odiato PSI è il primo partito in Italia, mentre la lista fascista si presenta solo a Milano e si attesta su un umiliante 0,08% dei voti. Se Mussolini prende 9.000 preferenze, Filippo Turati lo surclassa di oltre venti volte, con 190.000 voti. Un corteo socialista sfila sotto casa di Mussolini portando una bara col suo fantoccio.
Ma Mussolini, ancora una volta, invece di leccarsi le ferite attacca e rilancia la guerra del fascismo contro il “nemico interno”; se giocare la carta del sovversivismo patriottico non ha dato buoni frutti, meglio rinsaldare i rapporti con i capitani d’industria e guardare decisamente a destra, anche se vuol dire perdere per strada qualche sansepolcrista di orientamento rivoluzionario. Una svolta a destra che in realtà, come sottolinea Franzinelli, non fa che inverare “dei presupposti d’ordine presenti fin dalla fondazione dei Fasci di combattimento” (p. 163) e che si concretizza nello squadrismo fascista, ovvero in un’offensiva militare che insanguina il Paese e annichilisce la forza numerica delle masse socialiste.
Poi, per circa un decennio, il rivoluzionarismo sansepolcrista viene relegato nell’ombra: lo impone il rafforzamento dell’alleanza con monarchia, Chiesa e industriali. Ma una volta consolidata la dittatura e schiacciati gli oppositori è tempo di edificare il proprio mito delle origini. In particolare nel 1929, decimo anniversario di fondazione, prende avvio la consacrazione dell’epopea nata in piazza San Sepolcro, con la trasfigurazione di quell’adunata in atto fondante dell’Italia littoria.
Franzinelli dedica particolare attenzione alla costruzione di questo mito, che il regime ha più volte riscritto a seconda delle convenienze del momento: eliminando dall’elenco della prima leva fascista nomi divenuti col tempo scomodi (il repubblicano Pietro Nenni, il filosofo Giuseppe Rensi, il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, il maestro Artuto Toscanini, il giurista Silvio Trentin, solo per fare qualche esempio) e aggiungendo i favoriti (Leandro Arpinati, Arnaldo Mussolini e molti altri). Fino a che, nel 1932, “attraverso complesse strategie d’inserimenti e cancellazioni” (p. 165) viene stilato un elenco di 147 nominativi (ulteriori aggiunte si avranno negli anni successivi) a cui è concesso il “brevetto sansepolcrista”. La seconda parte del volume contiene circa 200 dettagliate schede biografiche di sansepolcristi e presunti, ancorché certificati, tali, compilate utilizzando anche documentazione tratta dalle schede personali inedite conservate presso l’Archivio centrale dello Stato.
Insomma, “Fascismo anno zero” è un buon libro, utile a comprendere meglio il 1919 e gli uomini – meno presenti sulla scena pubblica, invece, le donne – che hanno attraversato “una pagina di storia complessa, contraddittoria e ambigua, diversa da come ci è stata raccontata, affollata di attori destinati a rivestire nuove parti nel dramma italiano” (p. 6).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *