Film noir e thriller
Noir
L’aggettivo noir (nero) fa riferimento alla cupezza di queste pellicole, sia per quel che riguarda il loro contenuto, attinto dalle opere letterarie hard boiled, sia per gli aspetti di carattere prettamente formale come un forte uso del chiaroscuro e di inquadrature distorte. In origine ci fu il crollo della Borsa di Wall Street che gettò un alone di sfiducia e alienazione sull’America.
Figli della grande depressione e del proibizionismo furono i gangster movie come Piccolo Cesare (1931) di Mervyn LeRoy e Scarface – Lo sfregiato (1932) di Howard Hawks.
Le atmosfere buie, rivolte a personaggi che da ultimi vorrebbero emergere illegalmente sono il primo germe di un genere che venne definito, a partire dagli anni quaranta, “Noir”.
I personaggi di questo genere sono spesso figure inquietanti e malsane.
diaboliche, donne di malaffare, ubriaconi, scommettitori, mariti brutali, giovani folli e assassini per sete di conquista. A differenza del gi
A questi personaggi si oppongono detective privati, giornalisti, scrittori che, narrando spesso in prima persona le vicende, cercano di debellare queste insane perversioni restandone, a loro volta, invischiati.
Il giallo classico ha personaggi ben definiti, nel noir i personaggi sono oscuri, ricurvi sui loro tormenti e portano avanti storie torbide come le loro coscienze.
Thriller
Il film thriller è un genere cinematografico caratterizzato dalla presenza di ritmi veloci, dalla suspense, dallo scarso utilizzo di contenuti splatter e dai temi psicologici presentati.
Le trame solitamente vedono l’utilizzo dell’antagonista sotto forma di pluriomicida e deviato mentale, ciò differenzia questo genere dal vicino horror. I film thriller hanno avuto origine nei paesi anglosassoni, dove ancora oggi trovano consenso e sviluppo.
I thriller possono essere definiti con lo stato d’animo primario che essi suscitano: eccitazione e paura.
Ci sono vari sottogeneri di thriller: il thriller di spionaggio, thriller d’azione, thriller medico, film poliziesco, thriller romantico, thriller storico, thriller politico, il thriller religioso, thriller ad alta tensione, thriller militare, ecc.
Il Noir thriller è un genere ibrido tra i generi noir e thriller, che si differenzia dal noir in senso stretto per un’attenzione maggiore all’azione rispetto agli aspetti psicologici dell’intreccio. I temi centrali, quindi i crimini, possono essere i più disparati, omicidi, ovviamente, ma anche rapine, aggressioni o sparatorie.
ALFRED HITCHCOCK
Sir Alfred Joseph Hitchcock fu un regista e produttore cinematografico britannico. È conosciuto, grazie ai suoi capolavori thriller, come “maestro del brivido”.Terzogenito di un fruttivendolo, il piccolo Alfred è un bambino pauroso e solitario, con pochi amici: questi elementi, assieme alla avversione per la polizia e alle accuse contro uomini innocenti, maturata in seguito ad un episodio della sua infanzia che lo vede rinchiuso per punizione in un commissariato, saranno molto presenti nei suoi film.
Riceve una rigida educazione religiosa: la sua famiglia è una delle rare famiglie cattoliche dell’Inghilterra Vittoriana, e viene mandato a frequentare una scuola gesuita.
Il giovane Alfred crebbe quindi con delle difficoltà relazionali che porterà dentro tutta la vita e fino ai vent’anni in maniera molto solitaria, derivate dall’educazione dei gesuiti, dalla famiglia di un bottegaio con le sue convinzioni e i suoi riti piccolo-borghesi, e certamente dalla generale fobia sessuale dell’Inghilterra vittoriana. Questo si ripercuoterà nei rapporti con le bellissime donne con cui aveva a che fare, ad esempio Tippi Hedren e la divina Grace Kelly, per la quale pare avesse una vera e propria ossessione. Ma Alfred, seguendo le inclinazioni artistiche e trovando il modo di applicarle in quella macchina in divenire sul piano dei gusti e del costume sociale, ha fatto “tesoro” delle difficoltà e le ha, opera dopo opera, trasformate in una incredibile, illuminante energia. Da questa reazione, formatasi sui set, è partito per fare i conti con l’altro sesso. Alfred non era bello, anzi, era grasso e trasandato, non si curava. Questo nella vita di tutti i giorni. Nel clima di preparazione dei film e delle riprese-non avrebbe mai voluto fermare queste fasi ed era puntiglioso nel produrre con costanza- Hitch ritrovava il dominio delle situazioni, in particolare le situazioni relative alle donne. Le voleva belle, asciutte (non gli piacevano le donne prosperose), con gli occhi azzurri e i capelli biondi, avvenenti ma non aggressive eppure desiderabilissime, ovvero fuoco sotto la cenere.
Una sola attrice rifiutò di lavorare con lui: fu la moretta Audrey Hepburn, scandalizzata per aver ricevuto dal grande maestro la proposta di recitare una scena di violenza carnale. Hitchcock non si preoccupò molto: aveva in testa il ricordo della abbagliante Grace Kelly e ripiegò su Tippi Hedren (“Gli uccelli”) che lavorò con lui ma poi gli voltò le spalle e interruppe la collaborazione. Perché? Perché Hitch aveva inserito, forse per vendetta, un uccello vero in una voliera meccanica e l’uccello vero ferì e lasciò per sempre una cicatrice su una palpebra di Tippi.
Il MacGuffin
Il MacGuffin è un artificio introdotto nello svolgimento della trama del film, di scarsa rilevanza per il significato della storia in sé, ma che è necessario per sviluppare certi snodi fondamentali della trama.
Si tratta di un concetto del tutto peculiare nel cinema di Alfred Hitchcock e viene descritto dal regista in una piccola storiella:
Due viaggiatori si trovano in un treno in Inghilterra. L’uno dice all’altro: “Mi scusi signore, che cos’è quel bizzarro pacchetto che ha messo sul portabagagli? — Beh, è un MacGuffin. — E che cos’è un MacGuffin? — È un marchingegno che serve a catturare i leoni sulle montagne scozzesi. — Ma sulle montagne scozzesi non ci sono leoni! — Allora non esiste neppure il MacGuffin!”
Hitchcock si serve, dunque, di questo espediente per manipolare lo spettatore e per far sì che si immedesimi nella stessa paura provata dall’eroe o dall’eroina del film.
Il MacGuffin («scappatoia, trucco, espediente», come lo definisce il regista) è un elemento della storia che serve come inizializzazione o come giustificazione ma che, di fatto, si manifesta senza grande importanza nel corso dello sviluppo della trama del film.
Alcuni esempi di MacGuffin:
• In Psycho (1960) il MacGuffin è rappresentato dal denaro sottratto da Marion al suo datore di lavoro all’inizio del film; l’episodio costituisce un pretesto narrativo per condurre Marion al motel di Norman Bates; quest’ultimo la ucciderà non sapendo nemmeno dell’esistenza del denaro.
• In Notorious (1946), il MacGuffin è l’uranio contenuto nelle bottiglie di vino. È il motivo per cui la storia si sviluppa ma non è importante che nelle bottiglie ci sia necessariamente dell’uranio. Infatti, durante la realizzazione del film si era discusso di sostituire l’uranio con dei diamanti.
• In Intrigo internazionale (1959), il MacGuffin è la non meglio precisata informazione segreta di cui avrebbe dovuto essere a conoscenza Kaplan, l’uomo per cui è scambiato Roger Thornhill (Cary Grant). Grant, per gran parte del film cerca di trovare il fantomatico Kaplan senza capire che in realtà non esiste.
• In La finestra sul cortile (1954), il MacGuffin è la gamba rotta del protagonista, non è importante come e perché si è rotta serve solo per farlo stare davanti alla finestra.
Sorpresa e suspanse
Due elementi fondamentali del cinema di Hitchock sono la sorpresa e la suspance che, alternate e dosate nel modo giusto, riescono a creare un connubio perfetto.
La suspense, ben distinta dalla sorpresa (più caratteristica del genere horror) ed a cui Hitchcock la preferisce, è ottenuta grazie ad uno scollamento tra ciò di cui è a conoscenza lo spettatore e ciò di cui è a conoscenza il personaggio sulla scena; lo spettatore si trova così in uno stato di ansiosa attesa, spesso rinforzata da temi musicali accentuati, ombre o luci particolari.
Mentre l’effetto sorpresa consiste nel far apparire improvvisamente un qualcosa (o un qualcuno) che lo spettatore non si attende, nei film di impronta hitchcockiana l’effetto ansiogeno e di paura dello spettatore sono commisurati al grado di consapevolezza o di incoscienza del pericolo che grava sul personaggio.
Le apparizioni
Caratteristica comune a quasi tutti i film di Hitchcock, ad eccezione di quelli girati in Inghilterra nel periodo giovanile, è la sua presenza in almeno una scena. Il regista riferì che all’inizio della sua carriera si prestava per presenze casuali, laddove ci fosse stato bisogno di una comparsa; successivamente, le sue apparizioni cameo divennero una consuetudine scaramantica e, infine, una specie di gioco per gli spettatori, che, a ogni uscita di un nuovo film, dovevano cercare d’individuare in quale inquadratura si fosse nascosto. Memorabili gli espedienti usati per le apparizioni nei film “claustrofobici”, in cui il set era interamente costituito da un’unica scena ed era difficile inserire una “comparsata”, come ad esempio in Nodo alla gola, film girato tutto in un appartamento in cui appare due volte: nella prima inquadratura attraversa una strada con una donna e poi in maniera virtuale mediante un’insegna al neon che riproduce il suo profilo, posta sul tetto dell’edificio di fronte. In Intrigo internazionale appare come passeggero che non riesce a salire su un autobus alla fine della sigla iniziale. Ne La finestra sul cortile invece appare in una scena insieme al musicista che suona al pianoforte, proprio di fronte l’appartamento di James Stewart.
Il linguaggio cinematografico
Hitchcock era uno dei pochi registi che arrivava al momento di girare con degli storyboard (disegno delle inquadrature di un’opera filmata) dettagliatamente disegnati da lui stesso ma, pur nel rigore dei suoi lavori minuziosamente studiati, è stato un geniale sperimentatore di linguaggi visivi nuovi: basti pensare alla sequenza onirica di Io ti salverò, al montaggio della famosa scena della doccia in Psycho, che si compone di ben 70 inquadrature in soli 45 secondi di durata.
Nodo alla gola si svolge apparentemente senza tagli di montaggio: in realtà i tagli ci sono (dovuti necessariamente alla durata di un rullo di pellicola che all’epoca era all’incirca di dieci minuti), ma sono abilmente mascherati da movimenti della macchina da presa o degli attori che vi passano davanti. Le zoomate improvvise sui volti dei protagonisti, o le inquadrature in soggettiva di immagini distorte o turbinanti, che oggi sembrano banalità, sono invenzioni registiche di Hitchcock, così come l’effetto ricavato combinando una carrellata all’indietro con lo zoom, usato in La donna che visse due volte per dare il senso di vertigine. In un’epoca in cui gli effetti speciali non erano avanzati come ai giorni nostri, le sue innovazioni, anche apparentemente banali come la lampadina nascosta nel bicchiere di latte, ne Il sospetto, per attirare meglio l’attenzione dello spettatore, hanno costituito modelli irraggiungibili nella loro perfezione tecnica e nella resa narrativa del lavoro cinematografico.
Gli attori prediletti
Per le parti femminili, come già detto, Hitchcock prediligeva donne alte, bionde, magre e poco formose, dotate di una bellezza quasi algida come erano Tippi Hedren, Grace Kelly e Ingrid Bergman. I due attori che Hitchchock preferì in assoluto furono Cary Grant e James Stewart. Il primo, inglese come Hitchcock, conferiva una nota ironica, divertente ai suoi film, mentre il secondo, americano, dava un tocco di dramma.
Temi ricorrenti:
• l’ossessione per una figura femminile tipica: si tratta di solito di una giovane donna alta e bionda, dai lineamenti sottili e dall’aspetto rassicurante, che a volte si rivela un personaggio ambiguo o malvagio.
• l’analisi della figura materna, posta in contrapposizione con i figli, presenza incombente e inquietante: emblematiche le figure della madre che ha paura di essere abbandonata dai figli.
• il cibo: ad esempio il desiderio di Norman Bates per Marion Crane in Psycho cresce quando usa il pretesto di portarle dei sandwich per poter parlare con lei. L’invito a cena rappresenta spesso il desiderio, da parte di uno dei personaggi, di approfondire la conoscenza e di andare oltre, come, ad esempio, in La donna che visse due volte, quando Scottie invita Judy o come ne La finestra sul cortile, quando la donna gli serve la cena: “Perfetta, come sempre.”.
• il doppio, inteso come scambio di persona: presente anche in film come Intrigo internazionale, tocca il suo apice nel patologico Norman Bates in Psycho.
• la persona accusata ingiustamente: ricorre Intrigo internazionale, Frenzy, Io ti salverò ed in moltissimi altri.
• la psicoanalisi: in Io ti salverò, Psyco, Nodo alla gola.
• il treno: in L’ombra del dubbio, Intrigo internazionale, Delitto per delitto, Il sospetto, Io ti salverò.
• il mare: in Rebecca, la prima moglie, ecc…
• i personaggi appesi ad un edificio o sospesi nel vuoto: in La donna che visse due volte, La finestra sul cortile, Intrigo internazionale, Io ti salverò, L’uomo che sapeva troppo…
• le scale: in Psycho, Notorious, l’amante perduta, La donna che visse due volte, L’uomo che sapeva troppo, La scala a chiocciola e molti altri.
Rebecca, la prima moglie (Rebecca) (1940)
A Monte Carlo una giovane dama di compagnia conosce e sposa il ricco Massimo de Winter. Massimo è vedovo della prima moglie, Rebecca, con cui ha vissuto tanti anni nella villa a Manderley, in Inghilterra. Nella magione il ricordo ossessionante di Rebecca induce la ragazza a diventare gelosa di tutto quello che la riguardava. Poi l’ammirazione che aveva per lei la signora Danvers, la governante, che snobba la nuova arrivata, la porta sull’orlo della follia[2]. Si credeva che Rebecca fosse morta per un naufragio del suo piroscafo; il marito, che l’aveva soccorsa, aveva riconosciuto il cadavere e la moglie era stata seppellita nella cappella di famiglia. Un giorno un natante affonda proprio vicino al piroscafo di Rebecca. Durante le ispezioni si scopre che il corpo di Rebecca è ancora lì. Massimo è costretto ad affrontare un nuovo processo affinché venga accertata la verità. Al processo Massimo ribadisce che la morte di Rebecca fu dovuta a una disgrazia. Ma non dice la verità: racconta infatti alla nuova moglie di averla uccisa lui, incidentalmente. Mentre erano nel casolare di famiglia, sul mare, lei gli aveva confessato di essere incinta di un altro, ed aveva provocato in lui uno scatto d’ira che gli aveva fatto colpire Rebecca, la quale cadendo su un maglio era morta. Massimo poi aveva affondato il panfilo della moglie e si era procurato il cadavere di una sconosciuta. Rivela anche che sebbene il suo matrimonio in apparenza sembrasse perfetto, in realtà Massimo e Rebecca erano arrivati ad odiarsi sin dai primi tempi. Rebecca aveva anche un amante. La gelosia della “nuova” signora De Winters quindi era del tutto infondata.
Decide di aiutare Massimo e diventa una donna decisa, cosa che cambierà anche il suo modo di vestire da sottomesso a elegante, ma quando le indagini portano alla rivelazione che Rebecca era in realtà malata terminale di cancro, cosa che neanche l’amante di lei e la Danvers sapevano, e la notizia permette al giudice di chiudere il caso come un suicidio, la signora Danvers, completamente impazzita, dà fuoco a Manderley, morendo lei stessa nell’incendio. La protagonista, senza nome, ha ventun anni, è bella e intelligente, ama disegnare come suo padre pittore, è orfana e di modeste condizioni. Per mantenersi fa la dama di compagnia di una ricca signora. L’incontro casuale con l’affascinante lord vedovo trasforma la sua vita in una favola: da dama di compagnia a castellana di Manderley. La necessità di conquistare l’amore del marito, di indovinarne e realizzarne i desideri inespressi, la conduce ad indagare sul suo passato. Questa curiosità avrà l’effetto di allontanare l’uomo, che desidera esattamente il contrario: nascondere e rimuovere quel passato. Da stralci di conversazioni, carpiti qua e là, emerge un ritratto ideale e irraggiungibile della prima moglie. Ciò esaspera il complesso di inferiorità e la gelosia della giovane sposa.
Schiacciata da un confronto impari, con tenacia non si arrende, continua la sua indagine, ma senza volerlo cede all’impulso inconscio di imitare di Rebecca.
L’episodio culminante è il ballo mascherato e lo sventurato travestimento. Convinta di fare una sorpresa gradita a Max e consigliata malignamente dalla Danvers, sceglie come costume l’abito dell’ava Lady Carolina De Winter, lo stesso indossato l’anno prima da Rebecca. Max reagisce inorridito all’apparizione sconvolgente del fantasma di Rebecca.
Al massimo dell’umiliazione e della sconfitta, completamentte annientata, la giovane rischia il suicidio, incoraggiata diabolicamente dalla Danvers. Il colpo di scena del ritrovamento del panfilo naufragato e del corpo di Rebecca produce una metamorfosi: apprendere che Max odia la prima moglie e l’ha assassinata, anziché spaventarla, la libera dall’incubo della gelosia. Può finalmente essere se stessa e da bambina insicura e angosciata si trasforma in donna forte e coraggiosa. Da questo momento sarà lei a sostenere il marito.
Hitchcock racconta una storia filtrata dalla soggettività della persona che la vive. È attraverso i suoi occhi, le sue reazioni, il suo punto di vista che lo spettatore entra nella storia e interpreta gli eventi. Questa tecnica non permette allo spettatore di essere neutrale, lo costringe ad essere coinvolto emotivamente.
Il sospetto (1941)
Il soggetto è tratto dal romanzo Before the Fact di Anthony Berkeley Cox.
La giovane aristocratica inglese Lina Mackinlaw sposa, contro il volere dei genitori, John Aysgarth (Cary Grant), un playboy che vive di espedienti. Ma dopo il matrimonio Lina matura il sospetto che John sia un assassino e che voglia ucciderla per intascare l’assicurazione. A differenza dal romanzo il film ha un lieto fine: si scopre infatti che John non aveva mai tentato di uccidere la moglie.
Il romanzo è la storia di una donna che scopre di aver sposato un assassino e si lascia uccidere per amore; il film è la storia di una donna che sospetta che il marito sia un assassino. Il film ha “un valore psicologico più grande del romanzo.
Hitchccok crea la suspense sfruttando la soggettiva. Lo spettatore osserva il comportamento del protagonista dal punto di vista della moglie. La tensione nasce dal conflitto fra il desiderio di credere alle giustificazioni dell’uomo e di avere fiducia in lui e le ripetute smentite dei fatti che alimentano il dubbio e l’angoscia. L’ altalena emotiva mina l’equilibrio psicofisico della donna e tiene avvinto lo spettatore in crescendo fino alla scena finale.
Diventò meritatamente celebre la scena in cui John sale le scale per portare il bicchiere di latte forse avvelenato a Lina che giace ammalata nella camera da letto al piano superiore, Alfred Hitchcock racconta a Truffaut che aveva fatto mettere dentro il bicchiere una luce perché bisognava che lo spettatore guardasse solo quello
L’ombra del dubbio (1943)
Lo zio Carlo fugge dalla città in cui si nasconde in una camera ammobiliata, pedinato da due poliziotti, a Santa Rosa (California), col pretesto di far visita a sua sorella, il marito di lei ed i suoi tre figli. Lo zio porta doni a tutti ed è molto amato, in particolare dalla nipote adolescente Carla che si chiama come lui. Tuttavia lo spettatore è già edotto sul fatto che lo zio nasconde qualcosa di molto inquietante e sa che la sistemazione californiana è solo un tentativo di trovare un rifugio. Ma due poliziotti, gli stessi dell’inseguimento iniziale, lo hanno scovato seguendolo da Philadelphia, in cui risiedeva, e sotto il pretesto di fare un servizio fotografico presso la casa in cui zio Carlo è ospitato, cercano informazioni importanti che riguardano il misterioso ospite. Cosa nasconde lo zio Carlo e che significato può avere il motivetto de La vedova allegra di Franz Lehár che per telepatia risuona nella mente della nipote e che Carlo volutamente confonde con il celebre Danubio blu di Johann Strauss?
È ricercato per l’omicidio di alcune vedove alle quali avrebbe sottratto il patrimonio, ma quando nel nord-est un altro viene catturato, il caso è apparentemente risolto, ma non per Carla che ha invece conferme che è proprio lui l’assassino. Lo zio tenta di ucciderla tre volte (lima un gradino, la chiude in garage col tubo di scarico dell’auto che sprigiona i gas e tenta di buttarla giù da un treno), ma alla fine sarà proprio Carla, difendendosi, a far cadere lo zio dal treno e poter poi vivere la sua storia d’amore col poliziotto, mentre le convenzioni locali sono salve dallo scandalo, visto che lo zio viene ricordato in un solenne funerale come uomo integerrimo dalla popolazione totalmente ignara del fatto che sia il vero assassino delle vedove.
Il film è costruito sul tema del doppio: lo zio Charlie e la nipote che, non casualmente, porta lo stesso nome sono le due facce della stessa realtà, il male e il bene, la colpa e l’innocenza. Lei telepaticamente anticipa le sue intenzioni: gli vuole mandare un telegramma e lo riceve da lui, canticchia il motivo del valzer e lui lo sta pensando nella sua testa. Nei primi incontri “Siamo gemelli noi due” dice lei e nel dialogo al bar “Siamo uguali” afferma lui; le ha portato in dono l’anello con la pietra di smeraldo quasi a legarla con una promessa reciproca.
Due sono le scene di chiesa, due le scene di garage, due le visite dei poliziotti, due i sospettati, due tentativi di omicidio, due pranzi, due scene alla stazione.
Nodo alla gola (1948)
Il soggetto, tratto dalla pièce Rope di Patrick Hamilton, è ispirato a un avvenimento di cronaca nera, l’assassinio di un bambino commesso da una coppia di giovani uniti da un legame omosessuale. Il delitto sconvolse l’America per la sua assoluta “gratuità” (la vittima fu scelta a caso, e il crimine aveva il solo scopo di “commettere un delitto” per il gusto estetico di compierlo). Il film si limita tuttavia unicamente a prendere spunto dal “gesto gratuito” della coppia, poiché il delitto Leopold-Loeb ebbe esecuzione totalmente diversa da quella presentata dalla trama del film.
Brandon Shaw e Phillip Morgan, due giovani studenti, uccidono il loro amico David Kentley, strangolandolo con una corda, e ne nascondono il corpo in un baule antico sul quale imbandiscono la tavola per un party.
Inizia una singolare festa, a cui sono chiamati a partecipare anche il padre del ragazzo ucciso e la sua ragazza Janet Walker, che in precedenza aveva avuto una relazione con Brandon.
Brandon ha invitato anche il suo ex professore Rupert Cadell (James Stewart), sperando che egli esponga durante la serata le sue teorie sull’omicidio come privilegio riservato a pochi eletti. Brandon non perde occasione per far battute a doppio senso in modo da dimostrare la sua superiorità intellettuale, sperando che il professore le colga e apprezzi il gesto da lui compiuto.
Phillip invece si abbandona all’alcool per tentare inutilmente di nascondere il suo nervosismo: è pentito di quel che ha fatto, ha paura di essere scoperto e, in alcuni momenti, questo fa vacillare la sua sudditanza psicologica nei confronti del disinvolto Brandon.
Mentre tutti gli invitati si interrogano sull’assenza di David, Brandon si diverte a cercare di far cadere Janet nelle braccia del suo ex fidanzato Kenneth.
Cadell intuisce che si è consumato un delitto e cerca conferme ai suoi sospetti. Ritornato in casa con un pretesto dopo la fine della festa, il professore induce Brandon a confessare e poi condanna le sue azioni, assicurando i due assassini alla giustizia.
Va dato atto del fatto che Hitchcock riesce, nonostante il Codice Hays allora in vigore proibisse espressamente la rappresentazione di omosessuali sul grande schermo, a dar conto del legame fra i due personaggi. Lo fa attraverso dettagli e sottili allusioni che non sarebbero sfuggiti né allo spettatore avvertito dell’epoca (anche se erano destinati a non essere colti dal grande pubblico), né allo smaliziato spettatore di oggi, più abituato a dover decifrare microscopici indizi allusivi.
La versione italiana ed il relativo doppiaggio stravolgono il senso dell’omicidio: nella versione originale i due assassini commettono il delitto per il puro piacere estetico di compierlo, mentre nella versione italiana, fin dai primi minuti, il dialogo stravolge questo presupposto, lasciando invece intuire che l’omicidio sia avvenuto senza intenzionalità, ma solo per una fatalità indotta dal cattivo comportamento della vittima verso i suoi assassini. Ciò contrasta comunque con il
Cinema bellico
Il cinema bellico è un genere cinematografico che tratta in vari modi il tema della guerra.
Rientrano generalmente in questa classificazione i film che ricostruiscono battaglie navali, aeree o terrestri, campagne militari, operazioni segrete e altri soggetti correlati.
Il genere può anche raccontare la guerra senza mostrare le battaglie, come nel caso degli addestramenti militari e della vita civile durante la guerra.
Il racconto può essere di finzione oppure basarsi su ricostruzioni biografiche e storiche, così come mischiare entrambi gli aspetti (ad esempio narrando storie di finzione che si svolgono sullo sfondo di celebri episodi bellici). La narrazione può avere la prospettiva dei comandi militari, dei soldati, dei prigionieri di guerra, dei civili. Molti film di guerra possono inoltre includere nella trama storie d’amore.
Il war film americano è un «super-genere» cinematografico, un’etichetta convenzionale che consente alla memoria cinefila di attraversare la prima e la seconda guerra mondiale, proseguendo per l’intervento in Corea e in Vietnam: al suo interno vengono sviluppati tematiche, stili e periodi assai diversi da una pellicola all’altra.
Molti film americani di guerra si basano su questi due elementi:
1. l’esercitazione, che segna il passaggio dalla vita civile a quella militare;
1. la prova, in cui i personaggi devono mettere in pratica ciò che hanno imparato.
All’inizio i nemici nei film sulla Secondo Guerra Mondiale, che potevano essere i tedeschi nazisti, detti nazi o i giapponesi, detti musi gialli, venivano visti senza alcuna differenziazione individuale: sono soltanto un insieme senz’anima o pensieri che forma una mortale macchina bellica.
Privare il nemico di un volto, di una storia, di sentimenti e ritrarli come essere spietati era anche una brillante mossa propagandistica.
L’America e l’esercito americano sono invece costituiti da singoli individui: ogni soldato ha la sua personalità ed è indispensabile nella sua la sua unicità.
In seguito, così come era accaduto per la figura degli indiani nel cinema western, anche il nemico viene umanizzato, come possiamo notare in film come La sottile linea rossa di Malik, in Impero del sole di Spielberg o in Lettere da Iwo Jima di Eastwood, il regista che più si è immedesimato nell’anima dell’altro.
Il cinema di guerra si divide essenzialmente in:
1. film sulla fanteria, quelli più classici
1. film sull’aviazione, che puntano essenzialmente sulla velocità, sul dinamismo, sull’adrenalina
1. film sulla marina, più lenti e statici: una nave è pesante e contiene un intero equipaggio
Pearl Harbor (2001) di Michael Bay
Film che mostra uno scontro aeronautico realmente accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale. Il 7 dicembre del 1941 il Giappone attaccò la base navale di Pearl Harbor, nelle Hawaii, e distrusse gran parte della flotta americana. Gli Usa incassarono il durissimo e proditorio colpo ed entrarono in guerra. Buona parte del film racconta l’attacco a Pearl, con un dispiego di mezzi come non si era mai visto, e anche con un buon risultato di verità. Viene in seguito mostrato l’attacco di ritorsione degli USA su Tokyo, nel 1942. Il privato è invece incentrato sulle vite di Rafe (Ben Affleck) e Danny che vediamo, ancora bambini, baloccarsi su un vecchio biplano, poi diventare piloti e infine innamorarsi della stessa donna.
I documentari propagandistici sulla Seconda Guerra Mondiale
Gli Stati Uniti tra il 1923 e il 1945 scatenano Hollywood a fini di produrre film e documentari di propaganda.
Per film propagandistico si intende un’opera cinematografica il cui scopo è quello di avvalersi della potenza del mezzo visivo per colpire l’immaginazione degli spettatori e convincerli ad appoggiare una determinata tesi
I più importanti registi – Frank Capra e John Ford in testa – sfornano film a favore dell’entrata in guerra della potenza: in ballo c’è la libertà dell’Europa e non solo.
Cinema anti-bellico
Il cinema anti-bellico è un sottogenere del cinema di guerra, costituito da quei film che mostrano l’inutilità della guerra e le sue atrocità, oltre ad un desiderio spiccato di pace.
Lo sfondo e il contesto sono quindi gli stessi del cinema bellico, ma è il messaggio che viene trasmesso, in maniera più o meno velata, ad essere completamente opposto.
ROBERT ALDRICH
Prima linea (1956)
Questo film, nella versione originale Attack!, mostra l’esercito americano sul fronte occidentale, durante la Seconda Guerra Mondiale. A causa della vigliaccheria del capitano Cooney, che per altro ha ottenuto il grado per raccomandazione, muoiono molti uomini in un’azione militare.
Il protagonista è il tenente Costa che si troverà costretto ad uccidere il capitano prima di morire lui stesso.
Il film è costruito interamente intorno a queste due posizioni: da una parte l’inetto capitano Cooney che manda senza scrupoli i suoi uomini allo sbaraglio, dall’altra il tenente Costa che combatte fino alla morte con coraggio. Il tutto avviene nel ’44, quando gli alleati si trovano a resistere in terra francese agli ultimi colpi dell’esercito tedesco. Lo spregevole personaggio di Cooney è l’emblema dell’irresponsabilità e dell’incompetenza fatte persona, che soltanto l’illegale appoggio politico può spingere avanti e sostenere. Nemmeno la sua morte è gloriosa, e i suoi uomini sparano senza remore sul suo corpo senza vita per sfogare il loro odio.
Il film pone in conflitto non solo i grandi eserciti ma anche e soprattutto due diverse visioni del mondo
STANLEY KUBRICK
Orizzonti di gloria (1957)
È il quarto lungometraggio di Stanley Kubrick che per la prima volta si misura con scenari di guerra e con quel mondo militare
La storia prende ispirazione da alcuni episodi realmente accaduti all’interno dell’esercito francese durante la prima guerra mondiale. Prima guerra mondiale, 1916, fronte occidentale. La prospettiva di una promozione in caso di successo vince le perplessità del generale francese Mireau sull’opportunità di sferrare un attacco al famigerato “formicaio”, strategica e munitissima postazione in mano ai tedeschi, posta su una collina difficilmente espugnabile. Per caricare i soldati, il generale passa personalmente in rassegna le truppe sistemate in interminabili trincee, cercando di spronarle e motivarle dopo mesi di logorante stallo. Il comando delle operazioni è affidato al colonnello Dax, fermamente contrario ad un’azione che avrà un prezzo umano altissimo e un risultato alquanto incerto, ma che si vede costretto ad obbedire. Come previsto, l’attacco è un fallimento totale. Nessun francese riesce a raggiungere le posizioni tedesche e addirittura un terzo dei soldati rifiuta di uscire dalle trincee o ne è letteralmente impossibilitato dal fitto fuoco nemico. Informato della situazione, Mireau interpreta questo comportamento delle sue truppe come codardia e ordina che venga aperto il fuoco contro le proprie retrovie, a modo di punizione/esortazione. Il comandante dell’artiglieria si oppone all’ordine pretendendo che gli venga recapitato per iscritto. Così, ben prima che un ordine scritto possa mai giungere a destinazione, l’offensiva si esaurisce miseramente. Mireau, per dimostrare fermezza e scaricare la colpa dello scriteriato attacco sulle truppe, sostiene con il Comando la tesi della codardia e propone la fucilazione di 100 uomini presi a caso. Il generale Broulard, suo superiore, gli concede di prenderne tre, uno per ogni compagnia coinvolta, che saranno sottoposti al giudizio di una regolare corte marziale. Di fatto i tre prescelti sono solo in parte presi a caso. Il caporale Paris è vittima di un conto aperto con il suo diretto superiore, il soldato Ferol è indicato dai suoi stessi commilitoni, in quanto bollato come “asociale”, mentre il soldato Arnaud è uno degli elementi più coraggiosi e la sua scelta a sorte, l’unica, è davvero un beffardo scherzo del caso.
Il colonnello Dax, valente avvocato parigino prima della guerra, assume la difesa dei suoi tre uomini, sebbene sia cosciente che la sentenza è praticamente già scritta. Nel processo rivolge le sue accuse verso il generale Mireau, il vero responsabile del fallito attacco, il quale non contento di aver commesso un errore, aveva persino ordinato di sparare contro le sue stesse truppe.
L’accorata difesa del colonnello Dax non è sufficiente, e così, sgomenti e increduli, i tre vengono condannati a morte per codardia. A rendere ancora più incredibile l’epilogo di questa storia c’è la condizione del soldato Arnaud, portato alla fucilazione in barella e semicosciente dopo che la sera precedente, durante la visita in cella del cappellano, si era procurato una frattura al cranio a seguito di uno scatto d’ira dettato dallo smarrimento per la situazione inspiegabile che stava vivendo.
Conclusa la solenne ed esemplare fucilazione, il generale Broulard invita Mireau e Dax a colazione presso l’elegante palazzo del Comando. A Mireau dà il benservito facendogli capire che sarà aperta un’inchiesta sul suo comportamento durante il famoso attacco fallito. Restato solo con Dax propone a questi il posto del generale che, in pratica, lui stesso ha appena contribuito a rimuovere. Broulard, che sinceramente ammira Dax pensando che si sia abilmente servito di tutta la vicenda per fare fuori Mireau e aprirsi una carriera, indispettisce con le sue insinuazioni l’integerrimo colonnello al punto da fargli rifiutare qualsiasi proposta e chiudere il colloquio in maniera tanto brusca da precludersi anche la prospettiva di future promozioni. Per Dax, uomo di saldi principi, i suoi uomini vengono prima della carriera.
Nel finale vediamo i soldati godere finalmente di un momento di libertà in una locanda. Quando il proprietario del locale introduce una spaesata ragazza tedesca come l’attrazione del giorno e la invita a cantare qualcosa, dopo gli iniziali schiamazzi cala il silenzio, e i volti dei soldati diventano seri; la dolce melodia viene pian piano intonata da tutti e poco importa che sia proprio un canto popolare tedesco e la voce di una giovane “nemica” ad evocare emozioni, ricordi e sentimenti lontani, ma che accomunano tutti.
Quando a Dax, che assiste dall’esterno a questa scena, viene portato un nuovo ordine, questi decide di attendere un po’ prima di informare i suoi uomini che si deve tornare subito a combattere. Almeno il tempo di una canzone.
Orizzonti di gloria è un film formalmente perfetto: le riprese, costruite in maniera esattamente geometrica, sono in netto contrasto con le immagini cruente, caotiche.
Questa opposizione tra simmetricità delle inquadrature e tumulto dei contenuti è tipico dell’estetica d Kubrick. Stessa cosa ci viene infatti mostrata in Shining, dove le riprese perfettamente schematiche e ordinate con cui ci viene mostrato l’albergo non lasciano presagire che esso diventerà il luogo in cui gli equilibri si spezzano ed emergono follia ed orrore.
La tecnica che Kubrick utilizza in Orizzonti di gloria è caratterizzata da uno stile asciutto, spoglio, ma che dona al racconto una straordinaria carica di efficacia e di verità, una tensione emotiva che nessun furore descrittivo potrebbe eguagliare: le preoccupazioni formali sono infatti sempre subordinate alla costruzione e alla resa dei personaggi.
Malgrado il desiderio di uniformare al massimo lo stile delle immagini, spicca ugualmente una sequenza esemplare: la lunga, interminabile carrellata all’indietro, ripresa dal basso, del generale Mireau che avanza nella trincea per saggiare il morale delle truppe.
Da vedere anche le altre due carrellate nella trincea (le ispezioni di Dax quando sta per iniziare l’attacco e quando l’attacco è già fallito) e, durante il processo, i movimenti della macchina da presa nell’enorme e fredda sala dove i prigionieri appaiono troppo piccoli e troppo soli: spesso le inquadrature sono a metà occupate dalle nuche, macchie informi e nere, degli inquirenti (cose, non uomini). Quando i processati entrano nella sala i soldati che li scortano seguono uno schema ben preciso, come i binari di un treno: un gruppo si posiziona dietro ai tre accusati, dove rimarrà nel corso del processo, mentre l’altro va davanti ai giudici, da dove ripartirà una volta ricevuto l’ordine di questi ultimi, seguendo sempre delle traiettorie che formano tra loro angoli retti. Tutti, comunque, si spostano calpestando solamente quelli che possono essere visti come i riquadri neri di una scacchiera.
Gioco e guerra si compenetrano infatti nel film secondo una logica ferrea, nella quale ogni singolo individuo non è altro che una semplice pedina nelle mani del meccanismo di funzionamento della macchina militare. Si tratta però di una partita senza avversari, in cui il re mangia i propri pedoni ed ognuno fa le proprie ma inutili mosse.
Nell’esecuzione dei tre soldati è nuovamente riscontrabile uno schema geometrico preciso, secondo il quale si muovono gli uomini-pedina del gioco: tutti percorrono linee rette e si spostano con angoli a novanta gradi: la telecamera è fissa e precede i tre sventurati scivolando su un carrello. I tre pali è come se fossero tre croci: i tre soldati vengono immolati per tutto il loro reggimento.
Il simbolo della perfezione geometrica delle inquadrature, dei piani sequenza e dei movimenti di camera di Kubrick è il masso rettangolare di 2001: odissea nello spazio.
Un altro marchio di fabbrica di Kucrick è l’uso di inquadrature lineari e precise per inquadrare personaggi retti e di quelle quasi serpentine, ondulate per quelli malvagi.
La frase più tagliente è detta dal colonnello che è stato costretto vedere il suo reggimento che veniva mandato incontro a morte certa:“Generale Mireau: Il patriottismo potrà anche essere fuori di moda, ma laddove c’è un patriota c’è un onest’uomo Colonnello Dax: Ah, non è stata sempre l’opinione di tutti, Samuel Johnson disse qualcosa di diverso sul patriottismo… GM: Cosa, se posso chiederlo? CD: Nulla Generale…. GM: Che intende dire nulla? CD: Nulla, nulla di molto importante… GM: Colonnello, quando io faccio una domanda è sempre importante! Dunque chi era quest’uomo…? CD: Samuel Johnson GM: Benissimo, dunque che cosa disse del patriottismo… CD: Che era l’ultimo rifugio delle canaglie… mi scusi, nessuna allusione personale.”
Altre scene di fondamentali fucilazioni
Disonorata (1931) di Josef von Sternberg in cui la protagonista, interpretata da Marlene Dietrich, si specchia nella lama del “boia” e si aggiusta il trucco prima di venire uccisa.
Senso (1954) di Luchino Visconti in cui il regista voleva far finire il film con il grido della contessa quando catturano il suo amato, nonostante fosse stata proprio lei, animata dall’umiliazione, a denunciarlo. Gli dissero però che un finale simile era poco d’effetto; coì il regista richiamò la troupe e girò una scena ricca di estetismo fine a se stesso.
Roma città aperta (1945) di Roberto Ressellini, con cui ha inizio il vero e proprio cinema neorealista con attori senza precedenti esperienza e girato per la strada con mezzi di fortuna e luci arrangiate.
A Roma il regime fascista è caduto, gli Alleati sono sbarcati in Italia ed avanzano verso nord ma ancora non sono giunti nella capitale, dove la resistenza è già attiva. Manfredi, militante comunista e uomo di spicco della resistenza, sfugge a una retata della polizia e si rifugia presso Francesco, un tipografo antifascista, il quale, il giorno seguente, dovrebbe sposare Pina, una vedova madre di un bambino. La sorella di Pina, Lauretta, fa l’artista in un locale insieme ad un’altra giovane, Marina, legata sentimentalmente in passato a Manfredi; don Pietro, il parroco locale, non nega mai aiuto ai perseguitati politici e fa da portavoce dei partigiani. Egli è benvoluto e rispettato da tutti, compreso Manfredi e la sua banda di piccoli sabotatori, e riesce a passare facilmente attraverso i controlli dei soldati tedeschi e delle SS senza destare sospetti. Manfredi sfugge ad un’altra retata tedesca mentre Francesco viene arrestato e, nel momento in cui viene caricato sul camion che lo porterà via, Pina grida tutta la sua protesta cercando di raggiungerlo ma cade sotto il fuoco dei mitra davanti a don Pietro ed al figlioletto. Più tardi Francesco riesce a scappare e si nasconde, con Manfredi, nell’abitazione di
Marina.
Scoppiano i dissapori e cresce il risentimento della ragazza per Manfredi, tanto che Marina, per ottenere della droga, tradisce l’uomo denunciandolo a Ingrid, agente della Gestapo al servizio dei comandante Bergmann. Manfredi viene così arrestato durante un incontro con don Pietro ed entrambi vengono fatti prigionieri.
Manfredi subisce terribili torture e muore mentre don Pietro viene fucilato. Marina e Lauretta cadono sempre più nell’abiezione morale, ma Francesco, Marcello ed i suoi ragazzi continueranno la lotta.
La scena della fucilazione è secca, dura, senza fronzoli, in perfetto stile neorealista: particolarmente evidente è la riluttanza dei soldati italiani che dovrebbero ucciderlo, ma che non ci riescono. Alla fine sarà un ufficiale tedesco a sparargli in fronte.
• Fellini esordì come regista quando Rossellini gli fece girare una scena nel suo film Paisà (1946), all’interno dell’episodio ambientato a Firenze – durante la liberazione dai nazi-fascisti –, si trattava della scena in cui un gruppo di persone, mediante un trabiccolo
con ruote tirato da una fune, fanno passare un bariletto d’acqua da un marciapiede all’altro di una strada, presa di mira da cecchini fascisti.
Il giorno della ripresa di questa scena, Rossellini non si sentiva bene o aveva da fare qualcos’altro. Non è però da escludere che avesse programmata la propria assenza, per dare al suo giovane sceneggiatore e aiuto-regista la possibilità di esordire come regista, seppure di un giorno.
Fellini dunque girò la scena del bariletto: nonostante Rossellini girasse sempre ad “occhi d’uomo”, Fellini decise di posizionare la telecamera ad “altezza sorcio”. Così Fellini ricevette rispetto di Rossellini e la sua benedizione. Un’affettuosa investitura nello stile del maestro, edificatore di grandi complessi di immagini.
La scelta della posizione della telecamera non è soltanto guidata dal gusto del regista, ma contiene un messaggio che cambia con il cambiare dell’inquadratura: se si pone la telecamera a terra non si vuole documentare un fatto, ma elevare un oggetto a simbolo. Già in questo dettaglio risiede un elemento tipico del cinema di Fellini: la dimensione simbolica, quasi onirica. Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’America si impegna nelle cosiddette guerre sporche, ovvero la guerra di Corea e la guerra del Vietnam.
Questi film solitamente calcano sulla differenza ideologica tra la “giusta” seconda guerra mondiale e lo “sporco” conflitto coreano e vietnamita.
Questo filone cinematografico, sottogenere dei film di guerra, si è sviluppato negli Stati Uniti d’America a partire dalla fine degli anni sessanta e conclusosi sulla metà degli anni novanta; la stragrande maggioranza delle produzioni ha guadagnato riscontri positivi e spesso è stata finanziata da importanti studi cinematografici di Hollywood.
O temi principali di questi film sono l’odio tra gli uomini e il disprezzo della vita che lega tra di loro i personaggi del film, ma il messaggio principale è che la guerra genera solamente assuefazione alla morte e disumanizzazione totale negli individui suoi protagonisti. Solo chi riesce a conservare la propria personalità e a non farsi omologare dall’assurda mentalità inculcata dall’ambiente militare riuscirà a conservare la propria sanità mentale e a non soccombere agli eventi che precipitano nel sanguinoso finale.
Una caratteristica fondamentale di questo cinema è quindi la perdita dell’individualità del singolo soldato: ognuno ha il suo ruolo sia nella vita civile che in quella militare e deve sottostare ad un meccanismo più grande.
Quindi non è più soltanto il nemico a non avere un volto (non a caso i nemici comunisti vengono chiamati tutti indistintamente “Charile”) ma anche il soldato americano, costretto a prendere parte, anche contro la sua volontà, ad una guerra ingiusta, imperialista che, spesso, neanche sente sua.
Il simbolo della guerra sporca è dato spesso dall’uccisione di una ragazza, simbolo dell’innocenza e della popolazione civile. Questa guerra, infatti, non è solo tra eserciti, ma sopratutto contro i civili.
FILM SULLA GUERRA DI COREA
Non furono girati moltissimi film sulla guerra di Corea, mentre quelli sulla guerra del Vietnam costituiscono un nutrito gruppo.
L’ultimo spettacolo (1971) di Peter Bogdanovich
Siamo nei primi anni cinquanta: ad Anarene, città immaginaria del Texas, una saletta di periferia sta per chiudere i battenti. L’ultima proiezione del cinemino (Il fiume rosso di Howard Hawks) sancisce la fine della giovinezza per i due amici Sonny e Duane, per Jacy, la ragazza di quest’ultimo, e per un gruppo di amici. Di lì a poco, la guerra di Corea sacrificherà migliaia di giovani americani.
FILM SULLA GUERRA DEL VIETNAM
I film sul Vietnam (Viet-movie) possono essere distinti in tre categorie:
1. 1. La prima è una fusione tra film di guerra classico e film d’azione, in cui è in gioco il raggiungimento di un fine superiore.
Durante la guerra, Hollywood evitava di prendere posizione, al contrario di quanto era avvenuto durante il conflitto mondiale o anche durante la recente guerra di Corea.
Il Vietnam veniva comunque citato indirettamente in alcune produzioni indipendenti, per lo più legate alle controculture giovanili, ad esempio Hair.
Nello stesso periodo, alcuni registi inaugurano il filone del western revisionista, visto cioè dalla prospettiva dei vinti: i massacri di gente indifesa nei villaggi indiani in film come Piccolo Grande Uomo possono essere visti come metafore della sistematica distruzione dei villaggi vietnamiti ad opera delle truppe americane. Pare che anche I professionisti sia stato girato con un occhio al Vietnam.
1. La seconda categoria è incentrata sugli effetti generati dalla guerra e sui tentativi di reazione dei personaggi: il filone dei reduci comprende film in cui ci vengono mostrate le difficoltà di reinserimento sociale dei reduci che falliscono tutti i tentativi di ritrovare i ritmi quotidiani della vita civile.
Robert De Niro incarna la figura del reduce in Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese, che racconta la vicenda dell’alienato e paranoico Travis Bickle.
I riferimenti al Vietnam sono limitati e indiretti, ma il ruvido realismo di Taxi Driver costituisce una delle interpretazioni più inquietanti e riuscite della figura del reduce: le difficoltà di adattamento sociale di Travis vengono picarescamente risolte con un’azione violenta, come ha imparato dalla legge della guerra.
1. La terza categoria, infine, riporta la guerra vietnamita a una dimensione emotiva e mentale: a titolo esemplificativo possono essere citati Apocalypse Now (1979) e Giardini di pietra (1987) di Francis Ford Coppola e Full Metal Jacket (1987) di Stanley Kubrick.
Apocalypse Now e soprattutto Full Metal Jacket pongono il Vietnam in una dimensione simbolica e interiorizzata. La guerra non è un rito di passaggio: il Vietnam è lo sfondo di una crisi interiore, che colpisce personaggi già adulti.
Il disincantato pessimismo che caratterizza queste pellicole è, probabilmente, il miglior linguaggio cinematografico per esorcizzare quella che è stata la prima pesante sconfitta delle forze armate americane.
Apocalypse now (1979) di Francis Ford Coppola
A Saigon, durante la guerra in Vietnam il capitano dei corpi speciali Benjamin Willard riceve dai superiori l’ordine di trovare ed eliminare il colonnello Walter Kurtz che – uscito con i suoi soldati dai ranghi dell’esercito americano – sta combattendo una guerra personale ai confini fra il Vietnam e la Cambogia. Scortato da alcuni uomini, Willard risale un fiume a caccia del colonnello. Dopo varie peripezie il capitano individua Kurtz all’interno di una sorta di reggia-tempio protetta dalla vegetazione e da numerosi indigeni armati. Willard non sa che fare, ma è lo stesso Kurtz che lo induce ad eseguire la condanna.
In una scena del film mentre una ragazza vietnamita sta per morire qualcuno suggerisce di portarla in ospedale e Willard evidenzia quanto sia paradossale la situazione: prima massacrano la gente del posto, poi vogliono metterci un cerotto sopra.
Full Metal Jacket (1987) di Stanley Kubrick
Questo film, oltre a presentare le tematiche tipiche del cinema anti-bellico, esprime anche la profonda fascinazione che l’uomo prova per la guerra, vista come terribile avventura, la violenza, la perdita di identità personale del singolo all’interno della macchina bellica e per il militarismo in genere. Il film, ambientato durante gli anni della guerra del Vietnam, è diviso in due parti nettamente distinte, rispettivamente l’addestramento militare delle reclute ed i Marine in guerra. La locazione temporale è la fine del 1967 e gli inizi del 1968.
1. 1. L’addestramento
Nel campo di addestramento dei Marines nella Carolina del Sud diciassette giovani coscritti per la guerra del Vietnam vengono addestrati duramente. Il severissimo sergente istruttore Hartman tratta le reclute come animali con l’obiettivo di trasformarli in perfetti strumenti di morte, obbligandoli ad amare visceralmente il proprio fucile secondo i dettami del credo del fuciliere, ed appellandoli con soprannomi spesso ignobili. Protagonisti principali sono il brillante e sagace “Joker” ed il goffo “Palla di lardo”, dapprima totalmente incapace ad imparare la disciplina militare, per poi trasformasi inaspettatamente in una valida recluta ed ottimo tiratore, a costo di una lunga serie di punizioni, insulti e violenze da parte del sergente e poi dei commilitoni.
Secondo una certa lettura, si può supporre che il sempliciotto “Palla di Lardo” sia il solo ad intuire l’assurdità della situazione e mentre gli altri sono terrorizzati e affascinati dagli sproloqui di Hartman, sia l’unico a non poter fare a meno di sorridere, suscitando le ire del sergente che non può tollerare la mancanza di fanatismo e l’ironia, seppure inconscia. La recluta infine si rende conto di aver superato l’addestramento ma a scapito del suo equilibrio mentale.
“Palla di Lardo” viene sorpreso da Joker – mentre è di piantone notturno la notte prima della partenza a destinazione – nei bagni della compagnia, con imbracciato il suo M14 caricato con pallottole FMJ, da cui il titolo del film. Il sergente, svegliato della recluta che recita ad alta voce il credo del fuciliere e benché avvertito del pericolo da Joker, lo insulta per l’ultima volta ricevendo un colpo diretto al cuore. “Palla di Lardo” disperato si ucciderà con la stessa arma, sotto gli occhi attoniti di Joker.
1. 2. Al fronte
Joker è in Vietnam a Da Nang impiegato come giornalista per la rivista militare Stars and Stripes. Stanco della monotonia delle retrovie e del peso della censura delle notizie, si fa spedire al fronte di Hué dopo la decisiva offensiva del Têt dei nord-vietnamiti che ha interessato tra l’altro la base dove è dislocato. Assieme al fotografo “Rafterman”, bramoso di emozioni belliche, si unirà ad una squadra ritrovando il suo migliore amico “Cowboy”, conosciuto ai tempi del corso di addestramento, e facendo la conoscenza di altri marines, tutti condizionati e trasformati dagli orrori della guerra.
Nel drammatico finale, Cowboy e altri verranno trucidati dai colpi di un cecchino nemico, il quale, a sua volta ferito dai militari americani, si rivela essere una giovanissima ragazza vietnamita. Svanito ogni sentimento di vendetta per i compagni uccisi, con il solo desiderio di non farla soffrire, Joker le darà il colpo di grazia alla testa, facendo di lei la sua “prima vittima accertata” e guadagnandosi il rispetto di “duro” dagli altri Marines. Il film termina con i militari che camminano di notte nella città in fiamme cantando la Marcia di Topolino.
Vittime di guerra (1989) di Brian De Palma
È un film sulla guerra del Vietnam, in particolare come il comportamento morale “normale” di un uomo venga messo da parte durante la guerra; questo tema viene trattato tramite alcune scene che mostrano soldati divenire dei selvaggi in grado di disumanizzare le loro vittime. Altro punto centrale è come si debba tentare di mantenere la propria morale in condizioni estreme. Una squadra di soldati statunitensi perde uno dei suoi membri in un villaggio nella zona di Tây Nguyên, ritenuta alleata dei Viet Cong. Per rappresaglia, la squadra rapisce una ragazza vietnamita, Than Thi Oah, che li dovrà soddisfare sessualmente: l’unico a rifiutarsi sarà il soldato Sven Eriksson (Michael J. Fox), che fin dall’inizio si mostra contrario, anzi, disgustato dalla decisione del sergente psicopatico Tony Meserve (Sean Penn).
I due militari si trovano più volte in contrasto a causa del loro differente modo di pensare. Durante uno scontro a fuoco, il gruppo di soldati uccide con ferocia la ragazza, per evitare che i superiori conoscano la verità.
Dopo la battaglia, coprono l’omicidio ma Eriksson rifiuta di mantenere il segreto, e compromette sia la sua vita che la sua carriera militare (anche a causa dei superiori che vorrebbero insabbiare il caso) per far uscire allo scoperto quanto veniva tenuto nascosto. Si apre un’indagine, e i quattro uomini che hanno partecipato allo stupro e all’omicidio vengono sottoposti alla corte marziale.
Forrest Gump (1994) di Rober Zemeckis
Forrest Gump (Tom Hanks) è un ragazzo un po’ sempliciotto ma con un grande cuore. A causa del suo handicap trascorre un’infanzia con dei difficili rapporti con i suoi coetanei, unica ed inseparabile amica Jenny, una bambina anch’essa con un grosso problema. La madre di Forrest, dopo avergli insegnato tutto quello che poteva per aiutarlo ad affrontare la vita nel modo migliore, lascia che lui diventi padrone del proprio destino. Forrest si arruola e parte per il Vietnam, sotto le armi trova due nuovi amici, il Tenente Dan ed un commilitone di colore, Bubba. Forrest si distingue per aver salvato il Tenente da morte certa e gli viene assegnata una medaglia al valore, ferito in azione, in convalescenza diventa campione di ping pong , e poi, per una serie di eventi casuali si arricchisce, ma tutto questo è irrilevante per Forrest che pensa sempre e solo a Jenny. Alla fine i due si ritroveranno, vivendo una insolita storia d’amore, purtroppo molto breve poiché ben presto la donna muore di una malattia all’epoca sconosciuta (probabilmente l’Aids), lasciando però un ‘segno’ permanente nella vita di Forrest: un figlio. La parentesi delle storia che si svolge nell’esercito potrebbe simboleggiare che i soldati partivano completamente ignari, così come lo è Forrest, oppure potrebbe voler parodiare la figura dell’eroe americano modello: la ferita che subirà il protagonista sarà in fatti un colpo di pistola al sedere.