Abbiamo visto “ Fortunata “ regia di Sergio Castellitto.
con Jasmine Trinca, Stefano Accorsi, Alessandro Borghi, Edoardo Pesce, Hanna Schygulla. Genere Drammatico – Italia, 2017, durata 103 minuti. Uscita cinema sabato 20 maggio 2017 distribuito da Universal Pictures.
In Fortunata, la cosa più interessante sono le belle gambe di Jasmine Trinca, quello che risulta fastidioso è il viso piacione di Accorsi e il suo sorriso professionale che si può trovare in una qualsiasi pellicola, quello che risulta invece più triste è il cammeo di una Hanna Schygulla ormai anziana in un ruolo troppo breve per ciò che ha rappresentato, non un omaggio a una attrice, non una nuvola poetica nel pantano della realtà del film, ma l’inutile e feroce ruolo che sarebbe potuto essere. La cosa più arruffona e fastidiosa è un finale ridondante, stridente: la scoperta di tipo letterario di un passato che fa perdere di realtà la storia, una vittoria alla schedina poco comprensibile, forse un tentativo di suicidio con relativo culo nudo in acqua, le varie reazioni della Trinca, e una regia dall’impronta intellettuale. Le due cose più sbagliate poi sono un racconto che filma una periferia dall’immaginario omologato senza alcuna interpretazione o reinterpretazione di luoghi, fatti e personaggi, e una colonna sonora arruffata, distonica che va dai The Cure a Vasco Rossi.
Castellitto, come si diceva un tempo, sa girare un film tecnicamente; è bravo nella conduzione degli attori, ma il suo immaginario ( ma con lui dobbiamo citare la moglie scrittrice e sceneggiatrice del film ) risulta farlocco, privo di una sua originalità, rimasticato da altro, proveniente da un’idea di cinema che vorrebbe essere profonda, culturalmente alta e allo stesso tempo accessibile ad un immaginario pubblico e invece risulta solo nervosa e intellettualistica, in fondo priva di genuinità e un po’ fracassone nella narrazione; si potrebbe dire che il personaggio di Fortunata ( una Jasmine Trinca brava che però è costretta a caricarsi addosso tutta la storia ) rientra in un immaginario femmineo già visto in Non ti muovere, così come il dottore ( interpretato da Accorsi ) rientra nell’immaginario del borghese egoista, irruento e bambino del dottore interpretato proprio da Castellitto nello stesso film, niente di nuovo insomma, mentre gli altri attori, pur convincenti ( il personaggio di Chicano, Alessandro Borghi esce unico dallo stereotipo del ruolo ) fanno fatica a rendersi empatici, veri se non reali, e non certo per loro demeriti ma per una sceneggiatura veramente poco ispirata, una scrittura che sembra voglia urlare e anche in alcuni passaggi pontificare sui personaggi stessi e sceglie di analizzare un vissuto con frasi a volte troppo fatte e sparate ( un esempio tra tutti, quando lei sconfortata pensa alla morte e lui le risponde che tra la vita e la morte noi si conosce solo questa vita ), i due autori assestano a volte i loro colpi come degli aforismi alti e non costruiscono un vero legame emotivo e corale.
Si potrebbe chiedere a persone intelligenti e robuste culturalmente di non raccontare storie e ambienti che non conoscono e di cui in realtà non provano alcuna pietas né reale affetto, ma di cercare nel loro mondo per narrare qualcosa di vero. Perché operazioni del genere ( come altre negli ultimi tempi ) si rivelano sprecate, stereotipate e in fondo anche un po’ superflue, mentre per quanto riguarda questo Fortunata, nonostante gli sforzi mostrano dei personaggi senza reali sfumature, in cui il coprotagonista sembra aver sbagliato film come gli snodi narrativi in fondo sono poco credibili.
Siamo nella periferia romana, quella di Torre Spaccata, in spazi vuoti, nel deserto umano che conosciamo bene. Fortunata è una donna separata sulla trentina, fa la parrucchiera a domicilio e cresce da sola la figlia Barbara di otto anni. Sopporta Franco l’ex marito violento che non digerisce ancora una separazione legale che non è ancora avvenuta e si presenta a casa pretendendo attenzione, frequenta un amico di infanzia Chicano, bipolare che fa tatuaggi, si droga e vive con la madre Lotte, ex attrice tedesca ormai con l’Alzheimer, e sogna di aprirsi un negozio di parrucchiere e conquistare così un’ indipendenza economica. Siamo in agosto, la città è semivuota e lei deve portare sua figlia da uno psicologo, come le hanno detto quelli dei servizi sociali, perché la bimba sputa in continuazione contro gli altri. L’incontro con lo psicoterapeuta infantile, Patrizio, che dovrà dare un sostegno psicologico alla piccola Barbara, si presenterà dapprima conflittuale ma poi tra loro nasce un’attrazione forte e per lei anche l’opportunità di cambiare vita. Lui è appassionato, anche romantico, ma è privo di reale coraggio e in fondo chiuso in sé. Insomma, tranne lei sembra che nessuno abbia veramente voglia di cambiare vita o che possa veramente succedere qualcosa per essere un po’ felici.
Il nodo non risolto del film è nella scrittura della Mazzantini che non deve conoscere quel tipo di realtà se non dalla cronaca e casca nei soliti clichè dei disperati senza alcuna possibilità, mentre quando resta romanziera produce personaggi letterari come Chicano o lo psicoterapeuta Patrizio o si diverte a mettere un riferimento alto come la tragedia greca Antigone riproposto ogni qualvolta appare Hanna Schygulla. La regia fisica e nervosa salva il film dall’insensatezza, ma invece di ricordarci il Fassbinder dei tempi della Schygulla o il mai troppo compianto Claudio Caligari, ci fa tornare in mente l’immaginario di Ozpetck, senza naturalmente riuscire a dare quella leggerezza ( come al ristorante cinese con le sgallettate coatte ) che il regista turco riesce a dare.
Nota positiva, Jasmine Trinca che ha fatto uno sforza notevole per salvare il salvabile, mostrando una dolenza che va oltre la coatta sfigata di Torre Spaccata e nonostante dei capelli così improbabili anche per una parrucchiera di periferia, fa emergere in fondo una forza d’animo popolare d’antan e mostra una apparenza fisica notevole; convincente anche il personaggio e l’attore Alessandro Borghi ( con il suo bipolarismo, la sua impotenza esistenziale e la tossicodipendenza ). Insostenibile, a volte contraddittorio il personaggio interpretato da Stefano Accorsi che ricade in tutti i difetti del passato che sembravano superati dopo Veloce come il vento.