Il Museo Nazionale del Cinema rende omaggio, da mercoledì 13 a mercoledì 20 novembre 2013, a Kore-eda Hirokazu – regista e sceneggiatore giapponese vincitore del Premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes – con una rassegna dal titolo Fuori dal mondo. Retrospettiva Kore-eda Hirokazu.
La retrospettiva è un progetto del Museo Nazionale del Cinema realizzato in collaborazione con la Japan Foundation di Madrid e BIM Distribuzione.
Il regista Kore-eda Hirokazu, introdotto da Dario Tomasi, incontrerà il pubblico in sala nella serata di lunedì 18 novembre 2013, alle ore 20.30, presso la Sala Tre del Cinema Massimo, al termine della proiezione del suo film Nobody Knows. Per l’occasione verrà presentato in anteprima il libro di Claudia Bertolé Splendidi riflessi di ciò che ci manca. Il cinema di Kore-eda Hirokazu (ed. Il Foglio Letterario).
Mercoledì 20 novembre 2013, alle ore 20.45 sempre nella Sala Tre del Cinema Massimo verrà presentato al pubblico il film vincitore del Premio della Giuria all’ultimo festival di Cannes, Like father, like son al termine del quale Kore-eda Hirokazu e Dario Tomasi incontreranno il pubblico. Ingresso: 6.00/4.00/3.00 euro.
Kore-eda Hirokazu nasce a Tokyo nel 1962. All’inizio la sua ambizione è quella di diventare scrittore. Si laurea nel 1987 presso l’Università Waseda di Tokyo, ma nel frattempo ha sviluppato un interesse predominante per il cinema. A differenza di altri registi della sua generazione, che iniziarono giovanissimi a sperimentare, Kore-eda affronta per la prima volta la macchina da presa nel 1991, a ventinove anni. È più concentrato sullo studio dei film e sulla scrittura, non frequenta i circoli cinematografici universitari, sviluppa un approccio del tutto individuale al cinema e all’arte in genere.
Dopo il conseguimento della laurea, desideroso di «lavorare con le immagini» e conscio che il periodo d’oro dei grandi studios sia ormai terminato, inizia la propria attività presso la rete televisiva TV Man Union, famosa per produzioni di documentari fin dagli anni Sessanta. All’epoca era in voga il testo Omae wa tada no genzai ni suginai (You’re Nothing More than the Present), composto da una serie di articoli dei fondatori di TV Man Union, sul corretto approccio alla produzione televisiva, e Kore-eda condivide molte delle affermazioni contenute in quegli scritti.
Al momento dell’ingresso nella rete televisiva, si rende conto però che la realtà è ben diversa dalle sue aspettative: anche TV Man Union, nella realizzazione di programmi, ha come obiettivo primario il conseguimento di un profitto e poco sembra essere rimasto dell’approccio sperimentale dei decenni precedenti. Il primo anno di attività come assistente alla regia è per Kore-eda molto frustrante, si sente inadatto e spaesato. Durante il secondo anno però, mette in atto una “strategia”: seppur coinvolto nelle produzioni della rete, con la scusa di dover effettuare lavori di ricerca in biblioteca, si allontana spesso e realizza i propri documentari.
Nasce così nel 1991 Mō Hitotsu no Kyōiku: Ina Shōgakkō Haru Gumi no Kiroku (Lessons from a Calf), sull’impresa dei bambini di una scuola elementare che allevano una mucca. La storia, tratta da un fatto di cronaca, di un funzionario governativo morto suicida è invece l’argomento del secondo documentario Shikashi… Fukushi Kirisute no Jidai ni (However…) del 1991.
L’esordio nel mondo del cinema di fiction è del 1995, con Maboroshi no Hikari (Maborosi), e non sono mancate nel tempo collaborazioni con altri registi o interventi di produzione. Per quanto riguarda le prime, si può ricordare Arawashiyō (This World), del 1996, con Kawase Naomi; per i secondi, tra gli altri, Kakuto di Iseya Yūsuke, del 2003, Hebi Ichigo (Wild Berries) del 2003 e Yureku del 2006, di Miwa Nishikawa (i cui film Kore-eda considera «meravigliosi», pur non ritenendo la regista una “rivale”, Endingu nōto (Ending note. Death of a Japanese Salesman), di Mami Sunada nel 2011.
Oggi Kore-eda continua a lavorare nell’ambito di TV Man Union, anche se, ovviamente, con libertà di decidere e pianificare i propri progetti. Il suo ultimo film, di quest’anno, è Soshite chichi ni naru (Like Father, Like Son), vincitore del Premio della Giuria al Festival del Cinema di Cannes 2013. (Claudia Bertolé)
Kore-eda Hirokazu
di Grazia Paganelli
In un periodo di tempo relativamente breve, Kore-eda Hirokazu si è guadagnato una solida reputazione nell’ambito del cinema giapponese contemporaneo. Con i suoi dieci film di finzione (cui si devono aggiungere una manciata di documentari e una miniserie televisiva), è diventato un punto di riferimento nella sempre più urgente necessità del cinema di sottrarsi alle definizioni di genere, contaminando la finzione e il documentario, l’osservazione e il racconto, la narrazione introversa e la documentazione più lineare.
L’assenza, prima ancora che la memoria, rappresenta il nucleo centrale del suo lavoro, avendo fatto dell’essenzialità la cifra stilistica attorno alla quale far girare i racconti, gli sguardi, i silenzi. Sarà per questa idea di concentrazione degli elementi che i suoi film (dai primi documentari realizzati per la televisione giapponese ai lungometraggi premiati nei festival internazionali) ci appaiono come capitoli di un lungo percorso di analisi e di studio della vita e delle sue tacite derive, come fossero riflessioni sul cinema e le sue vitali fragilità, colte nell’attimo in cui l’elemento quotidiano si fa insolito e trascende, fino ad aggrovigliarsi in uno slancio di ribellione.
Vite parallele, “fuori dal mondo”, che scorrono instabili, traballanti, all’interno di percorsi semplici, dentro una sorta di ipnotica distanza dal loro stesso vissuto. In After Life uomini e donne vengono accolti in una grande casa piena di finestre. Sono appena morti o, meglio, hanno abbandonato da poco la vita e si trovano smarriti a dover scegliere il solo ricordo da conservare per sempre. Gesto coraggioso da far eseguire, perché implica un movimento del pensiero e del corpo che prosciuga l’inquadratura, pur nella sua continua ricchezza di dettagli e angoli in cui perdere lo sguardo. Dettagli ancora più significanti perché quel ricordo sarà trasformato a sua volta in un piccolo film come eredità che i morti si portano dalla vita. Questo secondo lungometraggio di Kore-eda può essere visto come l’ideale controcampo del precedente Maborosi dove, al contrario, la protagonista Yumiko doveva combattere ogni istante contro l’impossibilità di dimenticare il marito morto suicida. Come in After Life, anche qui la dinamica degli spazi si lega alla “dialettica” dei gesti. Le stanze buie sembrano scivolare verso le finestre, cui si affacciano sempre i protagonisti, mentre la luce si associa al silenzio e all’idea di invisibilità che pervade (in un senso o nel suo opposto) ogni scena. E vengono in mente i finestrini dei treni che fanno passare le immagini dei paesaggi, e poi le strade di città e periferie, dove corrono a perdifiato i bambini di Nobody Knows e Still Walking. Lo scorrere del tempo, dunque, che acquista qui una qualità quasi astratta: esiste in quanto espressione di un sentimento mutevole tra l’attesa e l’impazienza, la fissità e una frenesia tutta teorica che, però, non lascia segni.
Perché il cinema di Kore-eda ha consistenza impalpabile, anzi, si inscrive nel luogo intangibile di una memoria soggettiva. Come in Without Memory, documentario su un uomo che non sa/non può più creare o trattenere i ricordi. La sua vita ci appare senza inizi né finali, proprio come i film del regista, che si aprono senza un incipit e si lasciano abbandonare con la sensazione forte che non tutto si sia ancora consumato. Un respiro “documentaristico” è il senso in più che identifica immediatamente Nobody Knows (ma anche, con sguardo più rarefatto, Distance). La realtà viene osservata apparentemente senza intromissioni, come in un passaggio (im)mediato tra il “sé” e “l’altro”. La macchina da presa, però, si sofferma sugli aspetti sfuggenti del disorientato microcosmo che descrive, mettendo e non mettendo in scena, catturando dettagli, espressioni di un volto, silenzi e, alla fine, facendo emergere una storia da tutte queste successioni. Nobody Knows segue, nel volgere delle quattro stagioni (l’attesa, dunque), le vicende di quattro bambini lasciati soli a vivere in un piccolo appartamento dopo l’abbandono da parte della madre. Quasi un documentario che, però, a volte, dimentica la distanza e si avvicina a tal punto da instaurare un dialogo diretto, una ricerca di quelle sfumature che fanno più vera la realtà. E poi c’è la città, assente e presente, le note di una canzone, i rumori che entrano dal mondo esterno. La valigia, in cui sono trasportati i bambini, dove si nascondono (e dove scompaiono), si apre e, per un istante, il mondo è pronto ad accoglierli, a farli uscire dalla dimensione parallela della loro esistenza confinata. Ma si tratta di un attimo, una breve parentesi, prima di tornare all’invisibilità e al silenzio.
In questo rincorrersi di memorie trattenute e disperse, anche le relazioni famigliari diventano motivo di indagine nell’ultimo Like Father, Like Son, dove la quotidianità si infrange contro l’imprevedibilità. Lo sguardo è enigmatico ed empatico al tempo stesso, vicino e lontano ai suoi personaggi, qui più che mai il nodo di tutto l’intreccio. Anche in questo caso si tratta di trovare la giusta distanza tra sé e questo microcosmo attraverso dialoghi, gesti, silenzi, vuoti e pieni di ogni giornata. Uno schema ricorrente, ripetitivo ed efficace, perché si insinua nei pensieri e regala allo spettatore una sorpresa continua e un’attesa crescente ma discreta.
Le parole sono il vero tesoro di questo film, nella capacità del regista di farne “cosa”, trasformando la freddezza dell’inizio in energia, la compostezza in felicità, la diplomazia in istinto. Come il gioco delle fotografie che si scambiano il padre Ryota e il figlio Keita, in cui scoprono di avere lo stesso sguardo e la stessa espressione, campo e controcampo di una famiglia “irregolare”, che sarà disgregata e poi riunita seguendo un percorso tortuoso, sempre fatto di allontanamenti e avvicinamenti. Si finisce al tramonto, dopo un lungo cammino. Dopo tanto rigore e silenziosi piani sequenza, dopo tanto osservare, riecco la ribellione sommessa e un nuovo modo di guardare le cose e di capovolgere il senso della vita.
Sono questi alcuni dei temi che il libro affronta, prediligendo un approccio non cronologico ma trasversale e organico alla filmografia di Kore-eda, cercando gli echi e le linee che ne percorrono l’opera, senza dimenticare di contestualizzare i suoi film e il suo sguardo all’interno della prospettiva più ampia del cinema giapponese, di oggi e di ieri.
[Introduzione di Grazia Paganelli al libro Splendidi riflessi di ciò che ci manca. Il cinema di Kore-eda Hirokazu di Claudia Bertolé]
Fuori dal mondo
Retrospettiva Kore-eda Hirokazu
CALENDARIO DELLE PROIEZIONI
Mer 13, h. 20.30/Ven 15, h. 18.00
Maborosi (Maboroshi no hikari)
(Giappone 1995, 110’, 35mm, col., v.o. sott.it.)
Dopo aver sofferto da bambina per l’abbandono improvviso da parte della nonna, Yumiko deve affrontare ora il lutto per la morte del marito, travolto e ucciso da un treno mentre camminava inspiegabilmente sui binari. La donna dovrà compiere un lungo percorso per ritrovare la serenità e mettere ordine nei suoi pensieri tormentati da tanto dolore.
Mer 13, h. 22.30/Ven 15, h. 15.45
After Life (Wandafuru Raifu)
(Giappone 1998, 118’, 35mm, col., v.o. sott.it.)
In una sorta di limbo vengono radunate le anime di persone defunte di recente. Qui dovranno ripensare alla loro vita per identificare il “ricordo perfetto”, il momento della loro vita in cui sono stati più felici, da portare con loro per l’eternità. Ancora una volta Kore-eda indaga i segreti della memoria umana con un film che, a suo modo, è anche un film sul cinema.
Ven 15, h. 20.00/Sab 16, h. 16.00
Distance
(Giappone 2001, 135’, 35mm, col., v.o. sott.it.)
Il film prende spunto da un fatto di cronaca: l’attentato con il gas sarin alla metropolitana di Tokyo ad opera dei componenti di una setta religiosa estremista nel marzo 1995. Da quel giorno, ogni anno, i famigliari degli attentatori si recano sulle rive di un lago in mezzo al bosco per commemorare il giorno del suicidio rituale che aveva visto coinvolti i loro cari.
Ven 15, h. 22.30/Sab 16, h. 18.30
Without Memory (Kioku ga Ushinawareta Toki)
(Giappone 1996, 75’, Beta SP, col., v.o. sott.it.)
In seguito ad una sbagliata terapia post operatoria, Sekine Hiroshi ha perso l’uso della memoria “episodica”. Questo significa che il suo cervello non può più creare e trattenere i ricordi e le sue giornate devono essere ogni volta “create” da zero, ricorrendo a stratagemmi di ogni tipo per rendere la quotidianità sua e della sua famiglia.
Sab 16, h. 20.00/Dom 17, h. 17.45
Hana (Hana Yori Mo Naho)
(Giappone 2006, 127’, Digibeta, col., v.o. sott.it.)
Nel Giappone del XVIII secolo, il giovane samurai Sozaemon Aoki arriva in città alla ricerca dell’assassino del padre, con l’intenzione di vendicarne la morte e ristabilire l’onore della propria famiglia. Ma Aoki non è molto abile nell’arte della spada e preferisce insegnare a leggere ai ragazzini. Sullo sfondo la saga dei 47 r0nin.
Sab 16, h. 22.15/Dom 17, h. 15.30
Air Doll (Kūki Ningyō)
(Giappone 2009, 125’, video, col., v.o. sott.it.)
Presentato a Cannes nel 2009 e basato sul manga di Yoshiie Goda, il film racconta, sullo sfondo di una moderna metropoli, la storia di una bambola gonfiabile che pian piano diventa sempre più umana, si ribella al suo “proprietario” e si innamora del commesso di una videoteca, dove lavora durante il giorno, prima di tornare ad essere un semplice oggetto.
Dom 17, h. 20.00/Lun 18, h. 16.00
Still Walking (Aruitemo Aruitemo)
(Giappone 2008, 115’, 35mm, col., v.o. sott.it.)
La famiglia Yokoyama si riunisce tutti gli anni per commemorare l’anniversario della morte del primogenito Junpei, annegato quindici anni prima mentre salvava un estraneo. La riunione di famiglia è occasione anche per ricordare i momenti passati insieme, confortarsi nel reciproco dolore e trovare le risorse per andare avanti.
Dom 17, h. 22.30/Lun 18, h. 18.10
I Wish (Kiseki)
(Giappone 2011, 128’, Hd, col., v.o. sott.it.)
Koichi e Ryunosuke sono due fratelli costretti a vivere separati dopo il divorzio dei genitori. Koichi vive con la madre a Kagoshima, mentre il fratello è rimasto con il padre a Fukuoka. Viene a sapere, però, che presto sarà completato il collegamento ferroviario tra le due città con treni veloci e si rallegra nell’immaginare che questo farà riunire nuovamente la famiglia.
Lun 18, h. 20.30/Mar 19, h. 16.30
Nobody Knows (Dare mo shiranai)
(Giappone 2004, 141’, 35mm, col., v.o. sott.it.)
Il film si ispira a una vicenda reale accaduta a Tokyo nel 1988. Quattro fratelli si sono appena trasferiti con la madre in un nuovo appartamento. Per evitare difficoltà la donna ha dichiarato solo la presenza del figlio più grande, Akira, costringendo gli altri entrare e uscire di casa nascosti dentro capienti valigie. Ma dovranno anche affrontare la vita da soli, nei lunghi momenti in cui la madre li abbandona.
Mer 20, h. 20.45
Like Father, Like Son
(Giappone 2013, 119’, DCP, col., v.o. sott.it.)
Ryota è un architetto di successo, dedito al lavoro e alla famiglia, composta dalla moglie Midori e dal figlio di sei anni Keita. La loro vita appare perfetta, tutta concentrata attorno all’educazione dell’unico figlio. Un giorno, però, dall’ospedale dove è nato il bambino avvisano che loro figlio è stato scambiato nella culla dopo la nascita con un altro bambino nato lo stesso giorno.