Philip Ó Ceallaigh è un tipo che ha viaggiato,spesso in posti non esattamente confortevoli. Nei suoi racconti si riverbera l’inquietudine di una vita ruvida e raminga, la componente essenziale nello strumentario di quello che potremmo definire un caustico professionista dell’esistenza. Sprovveduto sarebbe il lettore che pensasse di avventurarsi senza protezioni nel suo universo narrativo, di esporsi a quella pioggia di passione e cinismo che costituisce la sua ipnotica scrittura.
Nel 2016 è con la sua prima antologia, Appunti da un bordello turco, che Racconti edizioni ha inaugurato il suo debutto nell’editoria indipendente; un percorso felice, di cui Ó Ceallaigh resta una specie di nume tuteleare – soprattutto quest’anno, in cui è tornato a sfamare il nostro bisogno di indecenza e poesia con La mia guerra segreta. In questa nuova raccolta i precedenti Appunti si sublimano, svelando intenzioni se possibile ancor più spericolate e funamboliche, in cui lirismo e maleducazione si accoppiano sempre con grande e riuscito furore.
Ó Ceallaigh – che ha vissuto tra Stati Uniti, Nordafrica, paesi dell’ex blocco sovietico e Bucarest – è uno degli scrittori contemporanei più interessanti e versatili; un vero pazzo squinternato che si diverte a riportare nella scrittura la sua schizofrenia di viaggiatore inquieto, allestendo storie conturbanti che in qualche modo riescono sempre per risultare autentiche e sincere.
Nella Mia guerra segreta è quindi del tutto possibile che un uomo acquisisca la capacità di levitare guardando il fondoschiena di una sconosciuta incontrata per strada; che riesca a pedinarla, entrarle in casa e, attraverso quell’improbabile potere, anche a portarsela a letto (Il cantico dei cantici). O che un manipolo di agenti segreti in occhiali scuri prelevi un tizio qualsiasi per torturarlo ferocemente a causa di qualche ironico commento post coitale durante l’attacco alle Torri Gemelle (La mia guerra segreta). Ma è importante dire che Ó Ceallaigh non è soltanto uno scrittore sperimentale, salace o estremo; è anche colui che a quell’incantevole sporcizia avvicina un inaspettato misticismo (Crede in Dio?), che propone una più profonda lettura delle sfumature a volte grevi a volte purissime dell’animo umano. Un incantevole e farabutto incantatore di serpenti in grado di sfracellare il cuore col suo involontario, sincero e profondo romanticismo (Andarsene).
La mia guerra segreta è la sintesi di questo pastiche, in cui gli uomini abitano un presente geograficamente smembrato e tormentato che porta i segni di una lotta continua. Un presente di guerra e devastazioni che resiste con bellezza, e che a volte getta il cuore oltre l’ostacolo senza paura di risultare impressionante o artefatto. In questi racconti coesistono sacro e profano, verosimile e fantastico, e si alternano satira politica, reportage, disordinati love & sex affaires sotto il duttile controllo della narrativa.
Tutti piani che Ó Ceallaigh orchestra in un concerto di intenzioni e movimenti crudi, spiccioli, sboccati e asciuttissimi, a cui infonde però, immancabilmente, la sua vena di narratore sensibile e percettivo. I suoi protagonisti – «stanchi di essere cinici, solitari [e] sbriciolati di ogni certezza» – ci danno esattamente ciò che vogliamo: situazioni scabrose, ironiche, commoventi. Per guardarci dalla distanza e riconoscerci umani in quei viaggi oscuri e pazzeschi in cui le miserie assurde, tragiche, malinconiche o drammatiche sono il riflesso prismatico di una normalità non troppo distorta.
Con questi dodici racconti nuovi di zecca, Ó Ceallaigh aggiunge al suo identikit letterario una prospettiva che si rinnova e si fortifica, donando tridimensionalità a quel complesso di intenti e abilità che fanno di questo pazzo irlandese uno scrittore perfetto per lettori esigenti.
È arrivata l’estate. Per un periodo sono stato disoccupato e poi ho trovato un altro lavoro d’ufficio. Era la solita solfa: noia, flirt, maldicenze. Viaggiavo avanti e indietro per la città su autobus e tram, sulla metro, e la gente era pressata assieme e scattava per un nonnulla nel caldo. Guardavo al telegiornale le brutte notizie che succedevano in alti paesi ma c’erano troppi paesi e il telegiornale non diceva molto, e poi si passava subito allo sport e al meteo. Avevo un posto dove vivere e pagavo le mie bollette in tempo. Delle volte mi si otturava il lavandino e allora lo sturavo. Andavo al supermercato e compravo da mangiare, poi lo riportavo a casa e lo mettevo in frigo. Nel fine settimana avevo qualcuno con cui bere. Dopo qualche mese ho incontrato una ragazza. Volevamo essere felici assieme e per un po’ ci siamo riusciti.