Per gli spettatori italiani, The Banshees of Inisherin è un titolo difficile da pronunciare, come fosse uno scioglilingua: colpa soprattutto della voluta allitterazione del suono “sh”, oltreché della difficoltà di azzeccare gli accenti corretti. Il titolo italiano del nuovo film scritto e diretto da Martin McDonagh, Gli spiriti dell’isola, è più scorrevole per la nostra parlata ma non è altrettanto efficace. Veniva ancora menzionato con il suo titolo originale, quando alla Mostra del Cinema di Venezia ha ottenuto due riconoscimenti, che per regolamento possono essere assegnati dalla giuria a uno stesso film solo su deroga concessa dal direttore artistico (erano il Premio Osella per la migliore sceneggiatura a McDonagh e la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a Colin Farrell); dopo sei mesi è arrivato nelle nostre sale con un titolo sciattamente adattato, più che tradotto, potendo già vantare decine di altri premi e candidature (ben nove ai premi Oscar, di cui addirittura quattro agli attori).
Da noi, Inisherin è diventata un’isola qualsiasi che potrebbe trovarsi in un luogo qualsiasi, ma il toponimo originale suona palesemente irlandese. È opportuno ricordare che McDonagh è, oltre che regista cinematografico, anche un drammaturgo di successo; e il suo repertorio comprende una trilogia teatrale ambientata nelle Isole Aran, tre piccole isole della costa occidentale irlandese: il primo testo era ambientato a Inishmaan (Inis Meáin in irlandese), il secondo a Inishmore (Inis Mór) e il terzo, mai rappresentato e rimasto inedito, aveva luogo nella terza isola, la più piccola e più vicina alla costa, Inisheer (Inis Oírr). Proprio Inisheer era indicata anche nel titolo provvisorio di questo film, ma non è stato fatto trapelare quanto la sceneggiatura cinematografica abbia preso da quel testo mai pubblicato né messo in scena; alla fine il regista ha distinto le due opere scegliendo per l’isola un altro nome, credibile ma stavolta inventato.
L’impianto dei dialoghi ha un ritmo teatrale, con molti scambi rapidi e brillanti, ma il vantaggio del cinema è poter mostrare anche i luoghi reali. È un piccolo paradosso che le opere teatrali fossero ambientate in luoghi esistenti ma solo evocabili, mentre il film è ambientato in un luogo immaginario, formalmente inesistente ma chiaramente modellato sulla minore delle Isole Aran e sui suoi abitanti. Lì, oltreché sulla più grande e comoda Achill Island, il film è stato girato in modo da catturare diffusamente sullo schermo i pascoli, le scogliere, le spiagge; porzioni di un territorio che per taluni rappresenta un mezzo di sostentamento, per altri una fonte di ispirazione.
In quanto agli spiriti, anch’essi diventati generici nel titolo italiano, così trasposti fanno perdere ogni riferimento a un altro elemento locale distintivo: le banshees, creature leggendarie femminili del folklore irlandese, temute perché preannunciavano la morte di una persona cara con urla e pianti. Non ci sono spiriti nell’isola, anche se l’anziana Mrs McCormick (la novantenne Sheila Flitton) ha le sembianze di una strega e suggerisce di avere l’inquietante capacità di presagire le disgrazie future; una caratteristica propria di una banshee, della quale tuttavia non ha il consueto aspetto da donna giovane e bella, anzi ne sembra quasi una parodia. Inizialmente, il suo è un personaggio dalle venature comiche, sembra solo una vecchia rimbambita della quale conviene evitare la compagnia; poi, non appena la trama si incupisce, ogni sua torva apparizione si insinua, perfettamente integrata, nel paesaggio diurno e notturno come monito di disgrazie future. C’è tanto folklore irlandese, quindi, alla base di Gli spiriti dell’isola che tuttavia ha anche l’ambizione di rappresentare un racconto universale, riassumibile come la storia di due grandi amici che da un giorno all’altro non lo sono più.
I due amici sono Pádraic Súilleabháin (Colin Farrell) e Colm Doherty (Brendan Gleeson); per le pronunce corrette dei nomi loro e degli altri personaggi, si consiglia l’ascolto della versione originale in cui si può apprezzare, da parte di tutti gli interpreti, un pesante accento irlandese che fa scempio dell’inglese convenzionale che siamo abituati a studiare a scuola. Il primo cura il bestiame, il secondo suona il violino (Gleeson, appassionato di musica tradizionale irlandese, è l’autore di un brano, composto dal suo personaggio, cui viene dato lo stesso titolo del film). Ogni giorno si incontrano alle due del pomeriggio e vanno assieme al pub, dove si fermano a bere e parlare. Ripetono quotidianamente questo rito come chiunque altro, nello sperduto isolotto, ripete ogni giorno le stesse azioni senza che accada mai nulla di nuovo; senza che ci siano mai le “notizie” che la pettegola Mrs. O’Riordan attende con ansia da chiunque sia di passaggio nel suo negozio (e quando non ne ottiene, pur di scoprire qualcosa apre le lettere che custodisce nell’unico ufficio postale dell’isola).
L’incontro alla stessa ora, le birre condivise al pub, la gradita compagnia reciproca, appartengono alla fase della loro amicizia che non vediamo mai, nonostante tutti la diano per scontata; il film comincia il giorno in cui Colm decide che vuole essere lasciato in pace da Pádraic, senza degnarsi di spiegare perché. Nella piccola comunità, questo gesto ha l’effetto esplosivo di una rivoluzione. Può sembrare una ripicca per qualche offesa, che invece non c’è stata, oppure un comportamento infantile, del tutto fuori luogo per un uomo di una certa età con la testa sulle spalle. Niente di tutto ciò: Colm si è proprio stufato della compagnia del compagno di bevute e chiacchiere.
Ci mette un po’ a chiarire la sua scelta, peggiorando la situazione: spiega a Pádraic che lo trova noioso e vuole investire meglio il suo tempo, in particolare provando a creare della musica che possa restare nel tempo più delle loro volatili chiacchiere superflue. Sui volti dei due uomini si fissa per giorni un’espressione che ben chiarisce le due posizioni: accigliata e scorbutica per l’uomo che vuole troncare il rapporto, incredula e stupefatta per chi si sente ingiustamente respinto e non accetta il proposito del primo. Difficile dire chi dei due si dimostri più testardo, se chi esige di essere lasciato in pace o chi non si arrende alla fine di un’amicizia, ma fin qui siamo nei limiti di una civile discussione tra due uomini adulti.
Se questo screzio apparentemente innocuo si trasforma in un racconto leggendario è soprattutto per come Colm decide di respingere ogni tentativo di riconciliazione dell’ex amico: pur di levarselo di torno definitivamente, minaccia di tagliarsi un dito della mano ogni volta che lui gli rivolga la parola. Sceglie parti del corpo senza le quali si può continuare a vivere, ma non si può continuare a suonare un violino. In questa minaccia di drastica modificazione corporea, scelta per la disperazione di non essere ascoltato, non ci sono motivazioni religiose, ideologiche, politiche; trattandosi di una auto mutilazione, nasconde probabilmente dei problemi psicologici latenti del personaggio.
Non c’è alcun piano sofisticato dietro la minaccia di effettuare un sacrificio rituale usando il proprio corpo come strumento: è il frutto dell’esasperazione cui è spinto da Pádraic che continua cocciutamente a fare il contrario di quanto gli viene chiesto. Eppure, una reazione così estrema può essere giustificata da una motivazione tanto banale? Questo atteggiamento autolesionista e dalla dubbia efficacia non è del tutto insensato soltanto se proviamo a considerarlo come una metafora del contesto storico dell’epoca.
La vicenda è ambientata nel 1923, un momento cruciale nella storia irlandese: dopo mesi di scontri, nel maggio di quell’anno terminò la guerra civile tra il governo dello Stato Libero d’Irlanda istituito dal Trattato anglo-irlandese del 1921, che per gli irlandesi prevedeva ancora l’appartenenza all’impero britannico e un giuramento di fedeltà alla corona inglese, e l’IRA (Irish Republican Army) che rimase fedele all’obiettivo di costituire una Repubblica totalmente indipendente e comprensiva di ogni contea dell’isola, ma perse la sua battaglia (solo qualche anno dopo l’Irlanda divenne tutti gli effetti una repubblica, ma non si è mai più concretizzata l’unione di tutte le contee sotto una stessa bandiera).
Quella guerra non è mai arrivata a Inisherin, dove vediamo la vita di tutti continuare a scorrere tranquilla e noiosa. In lontananza si sentono quotidianamente gli spari, il tratto di mare che la divide dall’isola principale è appena di qualche chilometro; quello che accade sui campi di battaglia è argomento di conversazione e di letture sui giornali, senza alcun coinvolgimento diretto. La politica è talmente distante dagli abitanti dell’isolotto che alcuni non sono neppure in grado di distinguere le due fazioni in lotta né il motivo per cui si fronteggiano.
Proviamo allora a immaginare che i due protagonisti, Colm e Pádraic, siano una rappresentazione simbolica delle due anime di un conflitto armato non poi così lontano. Pádraic, il bonaccione dall’animo candido, è colui che desidera che nulla cambi: gli piace la sua vita, gli piace la ripetitività degli eventi, possiamo definirlo un conservatore che si accontenta felicemente del suo piccolo mondo idealizzato. In questo gioco di rimandi simbolici, può ben rappresentare il governo dello Stato Libero, che accettò di accontentarsi di quanto già ottenuto pur di cessare la guerra con gli inglesi, che preferì una pace di compromesso alla prosecuzione di una guerra sanguinosa dai risultati incerti. Colm invece non si accontenta più della sua vita, vorrebbe realizzare qualcosa di concreto e duraturo, anche a patto di liberarsi del peso di un’amicizia infruttuosa pur di usare meglio il tempo che gli resta. È lui, dei due, che scatena la “guerra”; è lui che aspira a qualcosa che evidentemente ancora non ha, mentre Pádraic vuole solo mantenere tutto ciò che ha già.
Le due fazioni del conflitto irlandese erano costituite da persone che avevano lottato fianco a fianco, per anni, contro il dominio britannico; grandi amici, oltreché compagni d’armi. Tutto cambiò nel giro di una notte: il Trattato fu firmato il 6 gennaio 1921 e quando fu approvato, il giorno seguente, da un parlamento irlandese diviso, le amicizie di un tempo si tramutarono in rancori insanabili senza possibilità di conciliazione alcuna. Tutto cambia, tra Pádraic e Colm, nel giro di una notte: il 31 marzo erano grandi amici, dal 1° aprile Colm decide unilateralmente di troncare la loro amicizia. È Colm, come l’IRA, a non accettare lo status quo, mentre Pádraic si impunta per fermare il tempo e riportare tutto com’era prima.
Durante la guerra civile vennero commesse tante e tali atrocità che le ferite nella società irlandese furono profondissime; Colm però preannuncia un atto violento, orrendo e irreparabile non nei confronti di Pádraic, ma nei confronti di sé stesso. E anche l’IRA, l’esercito irregolare, non si difese da uno stato invasore, come fatto fino ad allora contro gli inglesi, ma attaccò le forze armate regolari del proprio paese, spinto da motivazioni che erano sensate per chi ne faceva parte e insensate per il governo; ammesso che ci sia qualcuno di assennato, quando si scontrano visioni inconciliabili sul destino di una nazione o sulle proprie legittime aspirazioni personali.
La guerra civile irlandese mise amici contro amici, padri contro figli, donne contro uomini: una società in frantumi che neppure nella tranquilla e isolata Inisherin raccontata da McDonagh può trovare pace. L’unico poliziotto dell’isola, Peadar Kearney, è un uomo arrogante e violento che maltratta e umilia regolarmente il figlio Dominic (Barry Keoghan) abusando della sua indiscussa autorità. La forma di resistenza del ragazzo è la gentilezza, che condivide con Pádraic, sentendosi tradito da lui quando la faida con Colm lo incattivisce e rassegnandosi al fatto che in una terra così violenta, proprio la gentilezza sia destinata a soccombere; persino quella degli animali, silenziosi compagni di esseri umani che li rendono vittime innocenti dei loro screzi.
L’unica che tenta di comportarsi in modo ragionevole è Siobhán (Kerry Condon), sorella di Pádraic, che tuttavia non riesce a far ragionare il fratello; tra i due, che provano un forte affetto reciproco, c’è una fondamentale divergenza di aspirazioni, tanto che neppure il profondo legame familiare è sufficiente a convincerla che restare da emarginata e frustrata a Inisherin sia meglio che sperare in un futuro appagante altrove.
Difficile immaginare, in un contesto così litigioso, che il dissidio tra Colm e Pádraic si possa mai rimarginare, ma questo non potrà che tenere sempre vivo il legame fra loro; d’altronde, la Repubblica d’Irlanda è il paese in cui ancora oggi i principali partiti politici sono espressioni dirette delle fazioni della guerra fratricida di un secolo fa. Se c’è un difetto che gli irlandesi, tutti quanti, non hanno è la memoria corta.