Abbiamo visto “ Holy motors “ regia di Leos Carax
Negli Anni Ottanta in Francia sono emersi alcuni registi dal puro talento, alla ricerca di innovazioni stilistiche e di nuovi linguaggi. Genietti però che non hanno fatto parlare di una nuova Vague perchè la loro ricerca era naturalmente individuale sia nelle forme che nei contenuti. Non potevano fare ‘ scuola ‘ in quanto non avevano unità di intenti ( un po’ come se in Italia avessimo voluto mettere assieme Antonioni, Fellini e Visconti ), e forse un po’ troppo pieni di sé per accettare di coniugare anche ‘ politicamente ‘ la loro arte. Artisti moderni e necessari che però in qualche modo hanno perso lucidità e splendore dopo qualche film e qualche colpo a vuoto. Tra i tanti, Jean-Jacques Beineix ( “ Diva “, “ Betty Blue “ ), Luc Besson ( “ Subway “, “ Nikita “, “ Leon “ ), Olivier Assayas ( “ Disordine “ – 1986, “ Contro il destino “ – 1991 ), Patrice Laconte ( “ Monsieur Hire “ – 1989 “, “ Il marito della parrucchiera “ – 1990, “ L’uomo del treno “ – 2002 ), Jean-Pierre Jeunet ( “ Delicatessen “ , “ Amelie “ ). Tra questi, l’autore più creativo e incostante è certamente Leos Carax ( “ Rosso sangue “ – 1986, “ Les amants du Pont-Neuf “ – 1991 ). Per capire il tipo basta pensare al suo nome d’arte ( quello vero è Alexandre Dupont ), uno pseudonimo che nasconde un sogno per chi vive di e con il cinema: ” Le Oscar a X “, che ricorda ” The Oscar goes to “, motto dei premi Oscar. Grande conoscitore di Cinema, grande manipolatore di immagini, studioso analitico della forma filmica ci ha regalato fino adesso opere dalle mille citazioni e provocatoriamente lontano da una possibile linearità narrativa. A questo si aggiunge una poetica visionaria che mostra gli strumenti classici della Settima Arte ma li aggira, con un montaggio che rende fondamentale la frammentazione e l’ellissi. I dati biografici ci raccontano di un giovane inquieto, un figlio della cultura punk ( è nato nel 1960 ) che cresce nella venerazione dell’immagine della Monroe e della musica dei Ramones e di David Bowie, a vent’anni si avvicina alla rivista dei Cahiers du cinéma dove probabilmente impara a vivisezionare il testo filmico in ogni sua declinazione; gira diversi cortometraggi ed esordisce al cinema a soli 22 anni con il film “ Boy meets Girl “ che verrà scelto per il Festival di Cannes e sarà accolto con grande successo sia dalla critica che dal pubblico. Probabilmente fosse stato più costante e meno megalomane si sarebbe potuto definire il nuovo Godard.
Adesso, dopo 13 anni di assenza ( il film è del 2012 ) torna sugli schermi con questo “ Holy motors “, altro film di Cinema e sul Cinema che riesce a trovare un equilibrio perfetto sopra ‘ la follia ‘. Con una trama complessa da raccontare e dai riferimenti e gli omaggi troppo “ colti “ anche per chi vi scrive. C’è un signore che si chiama Oscar ( interpretato da Denis Lavant, sodale del regista in quasi tutti i suoi film ), sposato con figli, esce una mattina per andare al lavoro e ad aspettarlo c’è l’autista Cèline ( Edith Schob ) con una limousine bianca che è anche un camerino cinematografico su ruote. Il suo lavoro non è ordinario, la sua professione è piuttosto particolare: durante tutto il giorno salta da una vita all’altra, interpretando nove personaggi, che attraversano storie e generi cinematografici preferiti dall’autore, dal noir all’action movie al musical. Dalla vecchina che chiede l’elemosina al vecchio in una stanza d’albergo, da un killer ad un suo doppio che prova ad ucciderlo. Naturalmente c’è, oltre al Cinema, un discorso sul Cinema e su dove sta andando, e – con questo Carax affamato di immagini e creatività – non si può chiedergli di essere semplice o ’ logico ‘, quindi tutto diventa possibile e tutto immaginabile senza essere costretti a farsi delle domande. Lo spettatore complice di Oscar entra nelle vicende altrui con leggerezza e naturalezza e ne esce a ’ lavoro finito ‘ aspettando cosa possa succedere nell’inquadratura successiva.
Per dirla in modo poco caraxiano questo film è un atto d’amore incondizionato per il cinema, per la sua potenza, per la sua necessità nelle vite di tutti noi. L’incipit del film ci fa comprendere da subito in quale direzione lo spettatore verrà portato: il regista si sveglia e si ritrova in una sala cinematografica, ricordando la Laura Dern di “ Inland Empire – l’impero della mente “ ( film di David Lynch ) che finisce la sua sconclusionata odissea in un cinema. Una sala dove il pubblico catatonico nella sequenza iniziale assiste impassibile al balletto della finzione. Ma il film non si chiude nelle classiche citazioni e vaga nel cosmo della fantasia di Carax.
Denis Lavant è forse l’unico attore che può rappresentare a pieno l’essere onirico della fantasia di Carax, come straniante ed enigmatica è l’interpretazione della Schub. Ruoli collaterali sono dati anche a Eva Mendes, Kylie Minogue ( che ci ricorda la splendida Jean Seberg della Nouvelle Vague) e Michel Piccoli.
A voi la scelta di andarlo a vedere oppure no, ha dichiarato Carax