BEL NOIR ANNI CINQUANTA SULL’AVIDITÀ CAPITALISTICA (NETFLIX) NORTON FA UNA SPECIE DI “JOKER”, MA DALLA PARTE DEI BUONI
A Edward Norton si addicono gli “schizzati”, sin dai tempi di “Schegge di paura”, il film che lo lanciò nel 1996. Non sorprende quindi che, nella sua maturità artistica di appena cinquantenne, abbia voluto produrre, scrivere, dirigere e interpretare “Motherless Brooklyn – I segreti di una città“, il film che inaugurò la 14ª Festa del cinema di Roma nel 2019, uscì velocemente nei cinema senza lasciare traccia con Warner Bros e ora si può vedere su Netflix dal 5 gennaio (sempre benemerito).
Trattasi di noir ambientato negli anni Cinquanta a New York, in una chiave di cine-romanzo “hard boiled” con una punta di tenero romanticismo. Schematizzando un po’, si potrebbe quasi dire che Norton fa del suo protagonista, l’orfano Lionel Essrog affetto da “sindrome di Tourette”, una specie di “Joker” ante-litteram, ma schierato dalla parte del bene, insomma sul fronte giusto dell’esistenza, in modo da trasformare il disagio in virtù.
Cresciuto in un orfanotrofio, battezzato semplicemente “Brooklyn” dal paterno e affettuoso investigatore privato Frank Minna, l’uomo passa per un incurabile “picchiatello”, anche a causa dei tic compulsivi, delle sconcezze che gli escono dalla bocca senza volere, dei gesti scomposti accompagnati dalla parolina “If” (se), ripetuta all’infinito.
Eppure Lionel non è affatto “lento”, e anzi dei tre collaboratori del capoccia è il più sveglio e intraprendente. “La mia testa non funziona bene, è come vivere con un anarchico” teorizza; ma quando dei loschi figuri sparano al suo amico e mentore Frank, invischiato in una faccenda troppo grande per lui, Lionel comincerà a fare sul serio, un po’ alla maniera del “private eye” Philip Marlowe, però prendendo più cazzotti in faccia e mangiando meno tonno in scatola.
Il contesto storico è interessante. Un po’ come succedeva in “Chinatown” di Roman Polanski, l’avidità capitalistica, travestita da audacia imprenditoriale senza regole, è il tema sul quale Norton, sulla traccia del romanzo poliziesco “Testadipazzo” di Jonathan Lethem, arpeggia con una certa arguzia, citando i classici del genere, spalmando abbondanti dosi di jazz sulla vicenda e ritagliando per sé una prova virtuosistica di quelle che piacciono ai giurati dell’Oscar. Magari si poteva tagliare qualcosa, 144 minuti sono tanti, e ogni tanto hai la sensazione che il copione spieghi troppo, affinché tutto risulti chiaro allo spettatore. Però, come si diceva, molto incuriosisce lo sfondo sociale ed economico nel quale Lionel si ritrova a investigare, in bilico tra senso di vendetta e sostegno alla buona causa. Capita infatti che un potente e arrogante costruttore, pure assessore, tal Moses Randolph, pensi di potere abbattere interi quartieri newyorkesi, dopo averli trasformati in fetidi “slums” cacciando i neri che vi abitano, per moltiplicare i propri affari tentacolari col beneplacito del sindaco corrotto.
Norton, attore che di solito non si preoccupa di apparire simpatico ma di cui è impossibile non apprezzare l’audace eclettismo, amministra con senso dello spettacolo il bel cast messo insieme per l’occasione: da Bruce Willis a Willem Dafoe, da Alec Baldwin a Gugu Mbatha-Raw.
Pare che il progetto sia stato alquanto tormentato sul piano produttivo, e tuttavia la ricostruzione d’ambiente appare precisa, molto accurata, tanto più se fosse vero che il tutto è costato appena 26 milioni di dollari.
PS. Inutile dire che il doppiaggio italiano non aiuta, meglio vederlo in inglese coi sottotitoli, considerati i virtuosismi vocali di Edward Norton.