Abbiamo visto Il discorso del re regia di Tom Hooper.
Deve essere stato spesso difficile essere un Windsor, anche quando il casato era Sachsen-Coburg und Gotha (la famiglia reale aveva come nome Wettin e lo modificò in Windsor solo nel 1917 per togliersi di dosso la chiara provenienza tedesca e assumere un cognome che assomigliasse alla lingua inglese), i figli di re Giorgio erano Eduardo (fu il re che abdicò dopo un anno per poter sposare la ricca avventuriera americana Wallis Simpson, e dire avventuriera ad una donna che in quegli anni aveva divorziato già due volte, si mormorava essere stata l’amante di Galeazzo Ciano in Cina e anche del generale tedesco Ribbentrop e di avere amanti e simpatie per i nazionalsocialisti e i fascisti di mezza Europa oltre ad essere notoriamente razzista è quasi un complimento), Alberto (padre dell’odierna regina Elisabetta II, e successore al trono al posto del fratello Eduardo VIII; famoso per la sua balbuzie, l’introversione caratteriale e la non forte personalità) e altri quattro fratelli che non hanno lasciato traccia nella Storia e di cui si sa abbastanza poco, il quinto Giorgio duca di Kent, visse tra amori di entrambi i sessi, soffrì di dipendenza alle droghe e morì giovane nel 1942 in un incidente di aereo abbastanza misterioso: alcuni storici asseriscono che sia stato ucciso dai servizi segreti inglesi perché faceva la spia per i nazisti. Dicevamo, deve essere stato difficile nascere e vivere nella famiglia Windsor, qualche breve accenno viene fatto anche nel film, quando il futuro re Alberto (Colin Firth) racconta al suo logopedista Lionel Logue (l’Oscar Geoffrey Rush) dei maltrattamenti della governante, dell’affettività del padre, delle sere senza cena. E per questo cresciuto insicuro, balbuziente, in pratica insignificante. Ma chi era il padre dell’odierna regina? Un uomo che diventa cadetto della marina e giunge ultimo nella sua classe, durante la Prima Guerra Mondiale segue le manovre di guerra dalla torretta di avvistamento, poi si ammala di ulcera duodenale e per lui finisce la guerra, viene mandato dal padre ad occuparsi degli affari di corte e visita alcune miniere e dei cantieri ferroviari. Prova a parlare in luoghi ufficiali ma la timidezza e la balbuzie gli impediscono di emettere suono; il padre, non tenendolo in conto, lo fa sposare con Lady Lyon, una nobile di secondo piano (una deliziosa Helena Bonham Carter) che si trasforma ben presto in una vera tutrice, aiutandolo nel preparare discorsi e nel cercare rimedi alla balbuzie imbarazzante. Lo stress della seconda guerra mondiale lo porterà ad ammalarsi e morire precocemente.
Il film inizia con Bertie (così lo chiamavano quelli più vicini a lui) che non riesce a tenere un discorso ufficiale sotto lo sguardo imbarazzato dei suoi sudditi. La sua balbuzie però non è assoluta, infatti quando è sereno e sta con le piccole figlie lui parla quasi normalmente. La sua patologia nasce da un’educazione rigida e dalla consapevolezza di essere un mediocre. Quindi la moglie convoca i migliori logopedisti e ci sono alcuni tentativi assai empirici di curarlo, come fargli mettere delle biglie in bocca e costringerlo a parlare. Allora, la poco convenzionale Duchessa di York (vissuta fino a pochi anni fa, famosa per i cappellini e il suo amore per il brandy: la ricordate? la Regina Madre), si presenta sotto falso nome dal logopedista australiano Lionel Logue – in realtà un attore fallito che ha una particolare predisposizione a curare questo genere di malattie attraverso la psicanalisi e gli esercizi di respiro e facciali – e dopo una serie di scaramucce, riuscirà a far incontrare i due uomini. Naturalmente l’incontro e quelli successivi non sono sereni, in alcuni momenti anche conflittuali dati i caratteri contrapposti e le provenienze sociali così differenti. Nella prima seduta, Logue stabilisce delle regole precise che Alberto mal digerisce, tra le quali quella di chiamarsi per nome senza usare etichette regali e quella di essere chiamato Lionel e chiamare il Principe Bertie. Alla seconda seduta Logue gli fa leggere ad alta voce il famoso testo dell’Amleto “Essere o non essere” e gli mette delle cuffie nelle quali si sente della musica ad alto volume. Il principe esegue, ma si stufa ben presto e manda a quel paese il ‘terapeuta’. Ma a casa, giorni dopo, ascolta la sua registrazione e scopre di aver letto correttamente il testo. Allora si convince e inizia la terapia sempre in modo anonimo e a casa di Logue. Inizia così il film e si sviluppa in modo assai convenzionale e prevedibile, in alcuni momenti c’è il rischio della noia nonostante la bravura dei due attori protagonisti. Ma il film racconta, anche se in modo sbrigativo e un po’ superficiale, la conflittualità tra i due fratelli dai caratteri opposti, l’affettività di re Giorgio, le stravaganze della duchessa di York, i futili atteggiamenti dell’avventuriera Wally, gli interni di famiglia e (la caricatura) di Winston Churchill. Il tutto mentre un re muore, un altro abdica per amore e si sentono sempre più vicini i tempi di guerra. E c’è anche lo scontro a distanza tra la balbuzie (democratica?) che si scontra indirettamente e da lontano con l’oratoria e la prosopopea nazionalsocialista di Hitler. Il film si conclude con la dichiarazione di guerra per radio alla Germania di Giorgio VI, Logue gli è accanto nella stanza, riesce a farlo calmare e durante la lettura lo aiuta con gesti ritmici e con lo sguardo complice.
Il regista Hooper conosciuto soprattutto per la miniserie televisiva Elisabeth con Helen Mirrer, ha lavorato molto sui dettagli, ha cercato l’eleganza della ricostruzione storica e la coerenza interpretativa dei suoi attori, ma come idea di regia è rimasto a una visione televisiva corretta senza sprazzi di Cinema. E lo diciamo ben sapendo che il film ha ottenuto molti premi tra cui il Toronto International Film Festival, un Golden Globe e l’Oscar come miglior regia.