Léonard (Vincent Macaigne) è uno scrittore. I suoi libri raccontano storie d’amore e di sesso, più di sesso che d’amore in verità. Sono storie in gran parte autobiografiche, come si capisce dall’incontro che Léonard ha con il suo editore Alain (Guillaume Canet). Gli ha portato il dattiloscritto dell’ultimo libro, il quarto o forse quinto. Il pranzo si risolve con un rifiuto di Alain di pubblicarglielo. L’editore non glielo spiega, ma è evidente che non gli è piaciuto. Di più: l’ha irritato. Alain lo dice alla moglie tornando a casa: le storie di Léonard l’hanno stufato; in qualche misura lo disturbano con tradimenti, storie di matrimoni falliti, incontri sessuali e altro ancora. La moglie, Selena (una bravissima Juliette Binoche), è un’attrice di teatro, tuttavia la sua fama è legata a una serie televisiva dove interpreta una poliziotta – una specialista in situazioni critiche, precisa lei. Vorrebbe smettere di farlo e forse tornare al teatro. Si sente prigioniera del personaggio.
Questa la trama d’avvio di Il gioco delle coppie di Olivier Assayas, regista ed ex critico per i “Cahiers du cinéma”, fra i più amati dalla cinefilia internazionale, premiato a Cannes (miglior regia nel 2016 per Personal Shopper) e Venezia (miglior sceneggiatura nel 2012 per Qualcosa nell’aria). All’incontro con lo scrittore fa seguito una cena a casa di Alain e Selena con altri amici scrittori o che ruotano in quel mondo editoriale. Mangiano seduti su poltrone, sedie, divani. Non si siedono intorno al tavolo. In questa come in tutte le altre scene di pranzo o cena (salvo al ristorante all’inizio) i nostri bobo parigini, equivalenti dei radical chic americani (e italiani), parlano molto e mangiano poco. Forse Assayas non li fa sedere al tavolo per ragioni registiche, o forse perché memore dei pranzi di Il fascino discreto della borghesia di Buñuel. Sono dei borghesi anche loro, quasi cinquant’anni dopo. Di cosa parlano? Non certo della rivoluzione che è alle porte, né dei reazionari che incombono, né di traffici illeciti tra armi e droga, come i convitati del regista spagnolo. Qui, nella casa del direttore di una casa editrice centenaria, si parla del passaggio dall’analogico al digitale: cosa resterà dell’editoria quando tutti leggeranno sui tablet? Uno degli invitati è uno scrittore che ha migliaia di contatti nel suo blog, ma vende molte meno copie dei suoi libri. Non sembra uno scrittore di qualità, da come parla, dall’ignoranza che dimostra (crede che Adorno abbia scritto le sue opere su papiro o qualcosa di simile). Il digitale cambierà l’editoria. Selena è l’unica dichiaratamente favorevole al libro di carta: persino Alain, pur essendo un editore, sta pensando al cambiamento. La discussione va avanti in modo polemico, ma tutto sommato scontato. Nessuno di loro dice cose davvero interessanti, sono banalità da bobo, appunto. L’unica convinzione comune è che sta per avvenire una rivoluzione e loro assistono, tranne forse lo scrittore col blog e l’editore. Del resto, sono dei cinquantenni.
Il film in francese s’intitola Doubles vies, “doppie vite”. Allude al fatto che i principali personaggi del film – Léonard, Selena e Alain – hanno un’altra vita, sentimentale o sessuale. Stanno insieme, ma tradiscono i loro partner. La doppia vita si riferisce anche al fatto che c’è una doppia situazione in corso: analogico/digitale; oltre al tema fedeltà/tradimento. Léonard, personaggio decisamente antipatico, è una via di mezzo tra Houellebecq e Carrère: egoista e pauperista, di fatto un parassita della moglie, fa dell’autofiction, raccontando la sua vita sessuale e sentimentale modificando i nomi, naturalmente, ma non tanto da impedire che le persone ritratte non si riconoscano. Per lui la doppia vita è tra finzione e realtà. In una scena, Léonard presenta il suo ultimo libro e nel pubblico alcune persone gli chiedono se è al corrente delle polemiche nel web sul libro: l’ex moglie l’ha attaccato e ci si domanda se sia giusto che uno racconti la vita degli altri in un romanzo usando come personaggi persone reali. Lo scrittore ha buon gioco nel dire che non sono persone reali, e che se poi la sua ex moglie vuole raccontare la sua versione, scriva pure. Uno dei lettori replica: se lo facesse non sarebbe più una storia vergine, ma già raccontata. Assayas in questa parte del film riecheggia una discussione avvenuta nel web sul diritto di impossessarsi delle vite degli altri e quindi di narrarle.
Tutti insomma fanno una doppia vita. Alain ha assunto per svecchiare la casa editrice una giovane esperta di social media, Laure (Christa Théret) con cui recita il ruolo del conservatore della carta. La discussione con lei continua in modo rovesciato rispetto a quella a casa sua con la moglie e gli amici. Alain va a letto con la ragazza, la quale, dal canto suo ha altre storie. È anche lesbica: il tema della bisessualità oggi è immancabile in ogni film che racconti i nostri tempi. Non in tutti, perché c’è ancora una sorta di pruderie calvinista in tanti registi, per quanto non si possa negare che il gay maschile e la lesbica si siano trasformati in maschere sociali, nella rappresentazione cinematografica e spesso anche in quella letteraria (Houellebecq è stato uno dei primi a farlo, con il suo solito affabulante cinismo).
Il film di Assayas è molto “francese”: mano leggera, nessun eccesso moralistico, capacità di raccontare le infedeltà e i tradimenti con una sorta di sovrana distanza – così va il mondo –, senso del ritmo nel cadenzare le varie storie. Non svelo nulla di non svelabile se dico che l’amante di Léonard è Selena. Proprio lei, che in una pausa delle riprese della serie tv rivela al suo agente di sospettare che Alain abbia un’amante. Alain è un personaggio a suo modo positivo: ironico, spiritoso, realista, leggero, colto, impeccabile ed elegante, sempre rasato di fresco e con le camicie bianche. Lui è il più superficiale di tutti i superficiali che questo film mette in scena. Il regista lo preferisce a Léonard, barbuto, maniche arrotolate, in giacca a vento, che risulta falso in quasi tutto quello che dice; antipatico ma non repellente, nonostante tutto. Il personaggio più positivo di tutti è Valérie (Nora Hamzawi), la donna che vive con Léonard, che lo mantiene; i libri dello scrittore infatti si vendono, ma Léonard non riesce a campare di questo, a differenza del suo collega con il blog, più digitale di lui che ignora Facebook e Twitter e trae la materia dei suoi libri dalle proprie esperienze personali, non dal web – cosa che del resto fanno tutti gli scrittori. Valérie è la portaborse e consigliera di un politico di sinistra, che tutti paiono ammirare. È un’idealista che si spende per una giusta causa, che crede nel suo uomo politico e lo sostiene. Valérie appare in scena subito, al ritorno a casa di Léonard, dopo il rifiuto della pubblicazione. Al mattino a colazione lei sembra fredda, non solidarizza con lui, così da risultare, nonostante che Léonard non sia proprio simpatico, fredda e distante. Ma è un falso movimento. Il resto del racconto mostrerà proprio il contrario, che lei è l’unica persona “vera” del film, insieme a Selene: la conclusione in positivo sarà sua.
Le donne fanno una figura migliore degli uomini. Anche la cinica con la patente, la media editor Laure (donna scaltra e senza ideali, se non il puro realismo, che va a letto col suo principale) non è così detestabile. Il regista non la giudica, la mette in scena e la osserva; in fondo anche lei ha una sua tenerezza, come le altre donne del film. Sono i maschi che ne escono male: superficiali e pragmatici. Anche le donne lo sono, ma per necessità, non per istinto, come loro. La doppia vita che conducono è anche questa: sentimento/cinismo. Uno è il rovescio dell’altro. Le donne devono adeguarsi. Cosa abbia spinto Selena ad andare a letto con Léonard per sei anni, non si capisce. Le piace quell’uomo: forse il suo infantilismo, forse il suo modo di stare nella vita e di raccontare, forse perché uno scrittore è per lei, di mestiere attrice, meglio di un editore, con cui pure ha fatto un figlio. Non si comprende. Certo che alla fine lei lascia lo scrittore, non senza averlo aiutato a pubblicare il libro rifiutato, intercedendo presso il marito, convincendolo che ha un suo pubblico di lettori e che forse il libro non è poi male. Anche questo è un aspetto della sua doppia vita.
Tutti, sembra dirci Assayas, conduciamo una doppia esistenza: da un lato, tra due epoche; dall’altro, tra rapporti sentimentali e sessuali diversi. Meglio: tra volere e non volere, tra negare e affermare. La loro morale, come rivela Alain alla giovane Laure dopo esserci andato a letto, nel momento post-coitale senza il letto, che equivale al momento post-prandiale senza tavolo attorno a cui sedersi – i tavoli e i letti ci sono nel film, ma non sono più oggetti su cui insiste l’occhio del regista, segno di un cambiamento in corso nelle abitudini dei bobo, e non solo loro – è quella del Gattopardo: cambiare tutto per non cambiare niente. Alain aggiunge che questa frase era meno vera nel momento in cui è stata scritta, mentre è oggi assolutamente vera. Come i borghesi di Buñuel anche questi neo-borghesi vivono nella convinzione di perpetuarsi, e quello che resta fisso nella loro doppia vita di bobo non è certo la rivoluzione informatica e digitale, bensì il mondo sentimental-sessuale della vita borghese. Il digitale cambierà probabilmente l’editoria e il modo in cui si legge, ma il cambiamento sentimentale non è ancora avvenuto, e forse non avverrà mai per loro. Solo Laure con la sua bisessualità – un’altra doppia vita – potrebbe indicare un cambiamento. Tuttavia, come spiega alla sua amante, lei sta per cambiare lavoro, per la carriera, per avanzare nella scalata sociale e del potere: le piace di più andare a letto con le donne, dice, ma non esita a lasciare la donna per trasferirsi da Parigi a Londra.
Pur essendo un film a suo modo leggero, come già detto, non è così lontano dal mondo descritto da Michel Houellebecq, Balzac dei nostri giorni, nei suoi romanzi sempre più brevi e sottili, forse per essere ancora più rapido nell’indicare i cambiamenti che vuole anticipare, seppur solo di minuti o di ore. L’ha fatto con i terroristi islamici e con i gilet gialli di queste settimane, libri molto meno complessi e articolati dei primi: Le particelle elementari, Estensione del dominio della lotta o Piattaforma. Assayas sta raccontando la stessa Francia, più ordinaria e ordinata di quella dello scrittore, ma le due società narrate confinano. Chi ci salverà dal caos indicato da Houellebecq, in cui stiamo precipitando? Valérie è la donna che compirà il gesto risolutore, rendendo impossibile con il suo ottimismo la doppia vita di Léonard. A lui invece, nel momento della separazione, Selene, disgustata dal suo modo egoistico di continuare la sua relazione, chiede di non raccontare quello che c’è stato tra loro in sei anni di sesso e amore, pur sapendo bene che, proprio nel libro che ha aiutato a pubblicare, lui l’ha già fatto: un episodio di fellatio al cinema.
Che dire di questo film così piacevole e così superficiale? Che nonostante la sua leggerezza fa pensare, che si vede con piacere, che è una commedia francese con tutti i crismi. Cosa chiedergli di più? Non tutti gli artisti, pur dotati di talento, sono Bergman – citato da Alain in uno dei colloqui con Laure, appena dopo aver scopato. Se Bergman ritornasse oggi, e ci proponesse uno dei suoi maestosi e profondi film, sapremmo capirlo? Lo seguirebbe il pubblico, si parlerebbe di lui come uno dei grandi del cinema? Non ne sono sicuro. Di sicuro so che tra pochi giorni comprerò e leggerò il libro di Houellebecq in uscita, Serotonina, pur sapendo che neppure lui ha le risposte alle mie, alle nostre, domande. Però so che ci farà divertire, arrabbiare e riflettere più del pur bravo Olivier Assayas.