Abbiamo visto “ Il grande sogno “ di Michele Placido.
Un racconto autobiografico del regista di quando era un giovane poliziotto ma col desiderio di diventare attore. La storia personale è un triangolo amoroso tra lui, Laura, una universitaria cattolica pronta a lottare contro l’ingiustizia e Libero, un leader del movimento studentesco. Una storia che strizza l’occhio a Jules e Jim, senza però averne né il fascino né lo spessore ed anche un po’ contraddittoria. Questa storia è immersa nel cambiamento che sta avvenendo in Italia durante il Sessantotto, con occupazioni di università, lotte contadine e poliziotti con manganello al servizio del potere che non accetta ribellioni. Film rievocativo di una giovinezza raccontata con linearità e semplicità culturale. Dove il “ vecchio “ di un società sono le ritualità di una famiglia borghese conservatrice ma anche molto per bene e gentile. Dove il “ vecchio “ sono due professori universitari un po’ tromboni e miopi. Forse ben altro c’era da raccontare dell’ipocrisia e del tardo fascismo che resisteva nella società e nella famiglia italiana. Chissà un giovane e un trentenne di oggi vedendo il film cosa capiranno, delle domande della società dell’epoca e delle risposte che furono date al di là dell’attraversamento da una riva all’altra di cui il film si sofferma abbondantemente.
Placido è un grande direttore d’attori, i protagonisti sono bravi e freschi anche se – sinceramente – i due protagonisti maschili non sono esteticamente credibili: Scamarcio, figlio di povera gente del sud e Luca Argentero figlio di un’operaia comunista di Torino…