Molto più che un trailer: centoquarantatrè secondi di pura vertigine. Quanto basta per annunciare che all’inizio di ottobre Joaquin Phoenix sarà il Joker, su tutti gli schermi del mondo. Non si tratta dell’ennesima star inguainata in calzamaglia da supereroe, o da arcicattivo: Joker, diretto da Todd Phillips, promette di eccedere il genere, celebrando la sovrapposizione di due frammenti speculari di immaginario. Joaquin e il Joker, l’icona perturbante dell’ultima Hollywood, e il villain più seducente mai creato dal mondo del fumetto.
I sintomi per degenerare nella nemesi di Batman erano chiari da tempo, in quel bambino stralunato, invecchiato scampando alla tentazione di maturare.
Nel suo sorriso sognante, sempre pronto a rapprendersi in ghigno tirato. In quella invincibile propensione alla deriva, vissuta con sguardo da reduce di chissà quale guerra interiore.
Collezionista di ruoli complessi, cuciti sulla sua personalità enigmatica, e proibitivi per chiunque altro. Slittamenti progressivi dell’alienazione, tappe di avvicinamento al Joker che gli palpita dentro, da sempre.
All’inizio del trailer Phoenix è ancora Arthur Fleck, un ragazzone ossuto, ingobbito, malfermo sulle gambe.
Perso nei bassifondi della Gotham city di inizio anni ottanta, accudisce una madre gracile, che lo ha educato all’eterno sorriso, ad eleggere la felicità altrui a scopo esistenziale. Lui ci prova, tirando a campare in abiti da clown, coltivando velleità da cabarettista. Si esibisce in locali squallidi e davanti ai cinema porno. Aleggia su di lui lo spettro febbrile di Rupert Pupkin: Scorsese è tra i produttori del film e nel trailer appare anche De Niro, scintillante su di un palco. Anche Arthur aspirerebbe ad essere un King of Comedy, amato dalle folle. Ma la sua mente è logora. Il mondo ignora i suoi sorrisi di beatitudine, e sembra ferocemente divertito solo dalla sua infelicità. Ridono forte, i teppisti e gli yuppies che lo pestano. “Riguarda solo me, o stanno tutti impazzendo?” rantola a se stesso, faccia a terra, stretto nel suo costume da Charlot sdrucito, con bombetta e parrucca di ricci verdi. Jimmy Durante, in sottofondo, canta la sua versione di Smile, colonna sonora di Tempi Moderni, scritta dallo stesso Chaplin. Parole che invitano a sorridere stoicamente, anche quando la vita va in frantumi. Proprio come faceva Charlot, che occhieggia anche dalle mura della Wayne Hall, in una gigantesca locandina. Qui finalmente svelato nella sua essenza di Joker in embrione, sempre soffocato dall’implacabilità stucchevole del lieto fine, un istante prima della metamorfosi. In quegli occhietti saettanti e bistrati, nel sorriso sempre sguainato, mai incrinato dalle disgrazie, intravedevi una compressa crudeltà. Quella finalmente liberata da Arthur, provato dalla reclusione nell’Arkham State Hospital. Una lacrima pesante gli riga la cipria bianca, mentre si costruisce un ghigno da mostro, infilandosi brutalmente gli indici in bocca. Deforma con le dita anche il sorriso del piccolo Bruce Wayne, per cominciare a specchiarsi in lui. Un gesto di violenta intimità, che sembra propiziare la nascita del Cavaliere oscuro. Inaugurando la conversazione infinita, da operetta morale esistenzialista, tra Joker e Batman, sublimata da Alan Moore in The Killing Joke.
Tra le fonti dichiarate del film di Phillips, la graphic novel mostrava un Joker rigoroso teorico del Male, compiuto in nome di un irreversibile nichilismo, da illuminista degenerato in libertino sadiano. Convinto che anche Batman sia una magnifica patologia, uno spirito affine: Sei come me, se no perché andresti in giro vestito come un sorcio volante?
Fatale immaginarselo proprio così, il Joker di Phoenix: stanco di veder ridere tutti del suo dolore, deciso a godersi a fauci spalancatela violenza entropica del mondo,dando fondo a tutto il suo criminale istrionismo. “Ho sempre pensato alla mia vita come a una tragedia. Adesso vedo che è una commedia”. Smile! continua a implorare Jimmy Durante, nel parossismo di un crooning sempre più distorto, in fin di trailer. Nel frattempo il Joker metafisico di Phoenix, in completo vermiglio, scalpita per entrare in scena.