Abbiamo visto “ Il ministro – l’esercizio dello stato “ regia di Pierre Schoeller.
Gira in queste settimane un film a modo suo piccolo ed eccellente nella costruzione della storia, anche se un po’ discontinuo e in un paio di passaggi va un po’ a vuoto; privo di ideologia ma che affonda il bisturi nelle rughe del potere, sul suo distacco dagli interessi del popolo e nella oridinaria carriera di un ministro e dei suoi simili. Se cercate una storia che critica all’italiana, feroce e rumorosa allo stesso tempo, allora questo film non fa per voi, se invece volete scoprire le banali pieghe del potere e dei suoi uomini, con l’essenzialità di un film alla fratelli Dardenne ( che sono i produttori del progetto ) allora andatelo a vedere e non resterete delusi. Il potere qui non è in disfacimento come nel “ Portaborse “ di Lucchetti, tantomeno astratto nella sua metafisica come nel riuscitissimo “ Il divo “ di Sorrentino, siamo tra persone normali che il potere ha reso professionalmente ciniche e troppo accorte del proprio status per pensare a qualcos’altro che non sia la carriera, le opportunità da afferrare e la conseguente solitudine. Quello che ci resta è una lucida immagine di un uomo che salta tra riunioni nelle stanze del potere, assistenti che consigliano e cercano di mettere delle ‘ pezze ‘ ai vari inconvenienti professionali, una specie di fastidio da parte del nostro ministro tra quello che avrebbe voluto realizzare e quello invece che deve fare per non scontentare il suo partito, e naturalmente il tentativo di controllare i media televisivi che in Francia sono un po’ meno addomesticati che dalle nostre parti. E con i politici italiani del nuovo secolo non c’è nulla in comune mentre cinematograficamente con “ Il caimano “ di Moretti c’è la prima scena in cui una donna nuda entra nelle fauci di un alligatore, niente paura è solo un sogno erotico che fa il nostro ministro prima di essere svegliato alle due di notte per una tragedia nazionale.
Il ministro dei trasporti francese Saint-Jean, un politico senza padrini ma piuttosto sveglio, viene avvisato di un terribile incidente stradale che coinvolge una scolaresca. Deve correre in piena notte sul luogo dell’incidente, rilasciare dei comunicati e partecipare ai funerali delle povere vittime. La sua vita non è altro che lavoro e forse una solitudine che sente nonostante abbia una giovane moglie affettuosa. Vive una vita infernale che sostiene solo grazie alla sua voglia di affermarsi e quindi riunioni, telefonate anche duplici simultaneamente in cui risponde anche come gli consigliano i suoi collaboratori, schermaglie con gli altri ministri che vogliono privatizzare i trasporti dove lui invece vorrebbe che restassero pubblici, rapporti non buoni con la stampa e l’opinione pubblica e le migliaia di sms che riceve e manda. Insomma, storie di ordinario potere che Bertrand Saint-Jean ( un ottimo e dolente Olivier Gourmet ) vive anche con fatica e disillusione, aiutato dal suo capo di gabinetto e forse ancora amico ( un eccellente per sottrazione Michel Blanc ). In questo contesto si inserisce un nuovo autista, un quarantenne silenzioso, senza lavoro, che accetta di sostituire per circa un mese l’autista divenuto papà ( e questa forse la parte più debole ), un uomo preciso, senza alcun grillo per la testa e che probabilmente dovrebbe mettere in crisi il ministro senza fare nulla più che il suo mestiere. E su questo poco filo narrativo il racconto scivola diritto senza lentezze, incuriosisce e risulta interessante, supportato da uno stile realistico che rende credibili i personaggi e con loro le dinamiche politiche. Una scrittura che fa una cronaca ‘ oggettiva ‘ dei fatti e che rende tutto plausibile, ma tuttavia la critica insita è un po’ in punta di penna ed anche quando vuole essere cinica o feroce si stempera un po’ nella normalità del potere. O forse siamo noi, troppo abituati al degrado della politica italiana, a non stupirci più di opportunisti e carrieristi senza ideali.