Abbiamo letto “ Il Quaderno “ di Josè Saramago.
Saramago è un giovanotto di quasi ottantotto anni che vive da circa vent’anni a Lanzarote ma torna spesso nella “sua” Lisbona, la stessa di Eça de Queirós e di Pessoa, del grande regista, sceneggiatore e editore Manoel Candido de Oliveira ( classe 1908 ), la stessa della Voce del Fado Amalia Rodrigues. Ha scritto libri importanti, alcuni necessari – se la vita richiede queste necessità -. Tra i romanzi più conosciuti, anche in Italia, “ Memoriale del Convento “, “ L’anno della morte di Ricardo Reis “, “ Cecità “. Nel 1998 ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura. Di non secondaria importanza è che Saramago è un uomo profondamente di sinistra ( essendo un figlio del Novecento si definisce ancora senza imbarazzi “ comunista “ ), pronto a scatti di rabbia, appassionate invettive, contro i guastatori del mondo, i teppisti della politica mondiale, contro le ingiustizie che a molti non sembrano più tali per conformismo, accondiscendenza o perdita di etica. Ma quando torna a essere “solo” uno scrittore, con il suo mondo di filosofo-narratore, con la sua speranza nella natura, ritorna “lontano”, profondo, fantasioso.
“ Il Quaderno “ è la raccolta di vecchi e nuovi scritti apparsi sul blog (dal Settembre 2008 al marzo 2009 ) caderno.josesaramago.org che dei suoi affettuosi amici curano per lui. Tutto cambia per non cambiare nulla: sono articoli per il giornale, pagine di memoria, appunti in punta di penna e memoire che invece di giungere direttamente sulle pagine di un quotidiano o di un libro passano prima per il democratico e gratuito blog che tutti possono leggere se conoscono il portoghese.
“ Il Quaderno “ è un libro a momenti sorprendente, sicuramente piacevole e leggero da seguire, senza inutili fronzoli o prolissità. E’ straordinario che un uomo di quasi novantanni possa seguire e conoscere fatti cosi disparati dalla cronaca allai politica di tutto il mondo e commentare cose che succedono anche in casa nostra. E accalorarsi come fosse un giovanotto di belle speranze che ha tempo da perdere con facezie varie.
Questo “ blog “ – a nostro intendere – è come un banchetto ben addobbato con merletti francesi e bicchieri di cristallo, vini d’annata e cibi saporiti e leggeri, ma ogni tanto, d’un tratto, compare, per poi sparire, un’hamburger al sangue con tanto ketchup. Ci spieghiamo, quando parliamo di merletti e cristalli intendiamo “i pensieri” su Dio “ E’ il silenzio dell’Universo e l’uomo il grido che dà senso a questo silenzio “, oppure “ La sua eternità è solo quella di un eterno non essere “. Quando parliamo di un vino d’annata e… intendiamo pensieri sulla “sua” Lisbona del tipo “ … fisicamente abitiamo uno spazio ma sentimentalmente siamo abitati da una memoria. Memoria che è quella di uno spazio e di un tempo… “. O ancora, quando parlando di Carlos Fuentes ne elogia senza ritrosie o invidie i suoi splendidi libri, per poi dire che non è riuscito a diventargli veramente amico a causa del suo modo di vestire ricercato e curato, per poi sentirsene pentito e dichiararlo. E ancora, quando racconta dell’incontro con il Subcomandante Marcos: andai ad abbracciare Marcos e fu allora che mi disse all’orecchio “ Non abbandonarci “. Gli risposi con lo stesso tono “ Dovrei abbandonare me stesso perché questo succeda “. Termina il “ post “ con una critica al Subcomandante e ai silenzi dell’ultimo anno: “ speriamo che non torni a tacere. Con che diritto lo dico ? Con il semplice diritto di chi non ha abbandonato “. Si potrebbero citare molti altri momenti memoire come questo che fanno bene al cuore in questi tempi così affollati e afasici. Ma d’un tratto nel piacevolissimo banchetto compare quel pezzo di carne sanguinolento confuso nel ketchup a cui avevamo accennato prima, Saramago ci parla di Bush, di Berlusconi, di Aznar: e allora oltre all’eteronimia pessoiana del linguaggio sopraggiunge il disgusto e ci viene voglia di diventare definitivamente vegetariani. Al punto da rifiutare per qualche attimo il banchetto stesso. Da segnalare, come momento di grande letteratura, “ Lettera ad Antonio Machado “ e “ Su Fernando Pessoa “ breve testo che ha fatto sussultare il vostro commentatore.
Una breve riflessione va fatta sulla prefazione di Umberto Eco, perché scrivere prefazioni di mala voglia ? perché scrivere se non si ha veramente niente da dire ? Si rischia di mostrare “ il peggio “ di sé, ed è un vero peccato parlando di un uomo di grande cultura e spessore. Cosa intendo ? lascio voi lettori a giudicare senza altro dire. Cito alcuni passaggi di Eco. Inizio: “ Curioso personaggio questo Saramago “, “… Saramago saprebbe pure che c’è modo e modo anche nell’invettiva. Cito a memoria Borges che citava forse a memoria il dottor Johnson che citava il fatto di quel tale… “, “ Mi pare che oltre che alla gente che odia abbia anche quella che ama “. Per concudere “ Però non ci dispiace anche quando s’imbufalisce. E’ simpatico “. Non è che Saramago sia dio in terra, ma non è nemmeno un cazzaro metallaro al primo libro sui bruoli del mondo.