Abbiamo visto “ Il racconto dei racconti “ regia di Matteo Garrone.
Giambattista Basile è stato il padre del racconto fiabesco, si può dire che lo abbia inventato lui questo genere letterario che nel suo caso coniuga livello altissimo e pruderie popolaresche che hanno radici nel Medioevo. Lo Cunto de li Cunti overo lo trattenemiento de’ Peccerille ( denominato anche Pentamerone ) è stata l’Opera di questo autore napoletano che non è riuscito a vedere pubblicato il suo magnifico testo e che ha alcuni debiti narrativi con autori classici come Plinio, Ovidio, Virgilio e Petrarca. Con questo testo fiabesco Basile sembra faccia da ponte tra passato e presente. Un’Opera colta che sarà non solo da stimolo ad altre raccolte scritte dai Fratelli Grimm, da Perrault fino a quella magnifica messa in scena del maestro Roberto De Simone con la sua La gatta cenerentola.
Ne Lo Cunto de li Cunti i protagonisti dei 50 racconti di Basile sono descritti solo in base alla loro appartenenza sociale, re o contadini e, prima che termini la storia, cambiano sempre condizione personale e sociale. Al centro – come punto originale per l’epoca – c’è come argomento dominante il cambiamento. Attraverso un viaggio o una metamorfosi, i personaggi passano a ceti sociali più alti, oppure dalla povertà alla ricchezza, ma anche dalla solitudine al matrimonio, dalla bruttezza alla bellezza. E il tutto avviene attraverso eventi fatti da poteri violenti e con le sembianze di orchi e fate. Ma il viaggio oltre ad essere inteso come trasformazione dei protagonisti e anche l’allontanamento da una condizione per inoltrarsi in luoghi sconosciuti, ricchi di insidie. Ecco la breve premessa dell’Opera da cui Garrone e i suoi sceneggiatori ( lo scrittore Eduardo Albinati, Massimo Gaudioso e Ugo Chiti ) sono partiti, dei 50 racconti ne scelgono tre e li adattano liberamente in una cornice sontuosa e splendida, La regina, La pulce e Le due vecchie. Ma la personalità e la cifra narrativa del regista parte da Basile per riportare quell’orrido fiabesco al suo orrido di alcuni suoi film precedenti, imponendosi all’opera stessa.
Nel regno di Longtrellis c’è una regina triste ( Salma Hayek ) perché è sterile e l’unico suo desiderio è quello di avere un figlio. Un negromante consiglia un rimedio magico ed efficace per diventare gravida: la donna dovrà mangiare il cuore di un drago marino che dovrà essere cotto da una vergine. Il re ( John C. Reilly ) si immerge nelle acque del lago, trova il drago e lo uccide ma il mostro dà un fatale colpo di coda al sovrano che muore dopo essere riemerso. Il cuore viene cotto dalla serva vergine ma inala il fumo fuori uscito dalla pentola e rimane incinta anche lei. La regina, dopo aver mangiato il cuore, ma anche la serva partoriscono lo stesso giorno. A commemorare il sovrano che riceverà il funerale solo dopo il parto vi sono anche il re di Highhills ( Toby Jones ) con la sua piccola figlia, Viola ( Bebe Cave ) e il re erotomane di Strongcliff ( Vincent Cassel ) con alcune delle sue amanti. La storia riprende sedici anni dopo questi eventi, quando il figlio della regina, Elias è ormai un giovinetto albino praticamente identico a Jonah, il figlio della serva vergine, iniziano i conflitti tra la regina e suo figlio perchè il ragazzo vuole stare con il gemello nonostante il divieto della madre. Ma è cresciuta anche Viola, la figlia dell’altro re, che sogna solo di sposarsi e andare lontano; suo padre di nascosto a tutti alleva e vuol bene a una pulce gigante che però muore e per superare il dolore indice un torneo: chi riconoscerà dall’odore la pelle dell’animale potrà sposare sua figlia. Lui è convinto che nessuno ci riuscirà ma un orco mostruoso dà la riposta giusta e si porterà la giovane regina tra le montagne in una grotta. Nel terzo episodio il re passa il tempo in orge e alla ricerca di giovane carne femminile e crede di trovarla in una donna che non riesce a vedere ma che ha una voce melodiosa, riesce a parlarle da dietro la porta di casa e se ne invaghisce senza comprendere che quella voce appartiene a una delle due anziane sorelle che abitano lì.
Quello che dovrebbe essere il filo conduttore della narrazione si tramuta in qualcosa che si assomiglia nelle tre storie, come se fossero un riflesso di qualcosa che non si eplicita e il racconto ( pur diretto con maestria e sontuoso nella rappresentazione ) sembra avvitarsi su se stesso come fosse una trottola che gira a vuoto con i suo carillon. Cosa rimane ? Il desiderio estremo di una donna per avere un figlio la porta a dimenticare il suo amato marito per poi non essere amata a sua volta da chi ha partorito: un ragazzo che ha tutto ma che incontra il suo “gemello” più povero ma infinitamente più libero. Un re erotomane che non ha bisogno di contarne 1003 come Don Giovanni, ma che ha bisogno di possedere carne giovane come se fosse in conflitto con l’idea della decadenza e della morte. Due sorelle anziane che sono ossessionate dalla giovinezza. Un altro re che per superare il lutto della sua amata pulce, si ammala perché ha perso una figlia per uno stupido gioco. Forse la cifra narrativa è quella di raccontare a tinte fosche una fiaba in cui tutti i protagonisti sono schiavi di passioni malsane e attraverso scelte distruttive cercano di soddisfare il loro bisogno egoistico. Detta così, se togliamo l’impalcatura della storia, all’immaginario di Basile e puntiamo al nocciolo del film, ritorniamo ai temi classici di Garrone, quelli espressi ne L’imbalsamatore, Primo Amore e Reality.
Dobbiamo ammettere comunque che questa operazione fa di Garrone un regista coraggioso, figurativamente potente e visivamente bravo, come mai nella sua cinematografia. Dobbiamo segnalare inoltre una bellissima fotografia di Peter Suschitzky ( Direttore di fotografia di vari film di Cronenberg ), come ottimo è il lavoro di Massimo Cantini Parrini ( Costumi ), Alessia Anfuso ( Scenografie ) e il montaggio di Marco Spoletini.