Abbiamo visto Il ragazzo con la bicicletta diretto dai Fratelli Dardenne.
Parafrasando Brecht e la sua elegia del 1924… ‘Ci sono autori che fanno un gran bei film e sono bravi, altri che dirigono più di un film notevole e sono più bravi, ci sono quelli dirigono vari capolavori e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che non sbagliano nessun film: essi sono gli indispensabili.’
Ecco, tra le alcune decine di autori che ci risultano indispensabili ci sono i fratelli Dardenne. Con un’idea di Cinema molto precisa, con dei tratti stilistici personali e assolutamente scarnificati: come dei chirurghi che usano un bisturi e penetrano la realtà in maniera coerente, limpida, anche dolorosa e a volte senza alcuna concessione verso la remissione dei peccati di noi umani occidentali. Ci hanno abituati a film girati con la macchina a mano e con dialoghi minimi, oltre a una colonna sonora a volte assente. Più vicini a maestri come Robert Bresson che a Carl Theodor Dreyer. Dal sentire emotivo più vicini a noi italiani che non i vari Lars Von Trier o Michael Haneke. Di esperienza documentaristica (hanno iniziato con Le chant du rossignol, 1978, l’ultimo è stato Gigi, Monica… et Bianca, 1997), hanno debuttato nel 1987 con Falsch, ma hanno raggiunto la notorietà con La promesse (1996) e poi con film anche di successo come Rosetta (1999), L’enfant (2005) e Il matrimonio di Lorna (2008): film che raccontano storie di marginali, migranti, proletari che si muovono nell’opulente Occidente che ha perso umanità e dignità.
In questi giorni nelle sale esce il loro ultimo film Il ragazzo con la bicicletta appena premiato a Cannes con il Gran Prix in ex equo. Un film in discontinuità con i precedenti, perché anche se la storia continua ad essere senza remissione e senza ‘buonismi’, si respira un’aria nuova, meno soffocante, fatta di speranza e con un finale originale e dall’esito positivo.
Il vero e unico protagonista è un ragazzetto di dodici anni (un ottimo Thomas Doret), vive in un centro d’infanzia abbandonata e ogni tanto riesce a vedere il suo amato papà. Ma questo padre è inadeguato, forse cinico, con molti problemi economici e quando decide di abbandonare la casa e tutto il resto preferisce non comunicare al figlio dove si è andato a stabilire. Per il piccolo Cyril è troppo, non crede a quello che gli hanno detto i sorveglianti del centro e allora scappa e va dal padre e insiste fino a che non gli fanno vedere l’appartamento vuoto e abbandonato. E’ un momento terribile per il ragazzino ma anche ‘fortunato’ perché casualmente conosce una giovane parrucchiera, Samantha (un brava e credibilissima Cécile de France) che decide di aiutarlo; lo ospita in casa nei fine settimana e lo aiuta a trovare il padre oltre a dargli un po’ d’affetto. Ma l’incontro col padre, civile ma freddo fa capire al ragazzino che non può più fare affidamento del genitore, un uomo così egoista da non volerlo vedere più perché gli crea qualche senso di colpa. Il rapporto che si instaura tra Cyril e Samantha è semplice e privo di introspezioni psicologiche dichiarate; anche se questo rapporto conflittuale porta la donna a lasciare il suo uomo che le dà un ultimatum, stanco di passare il tempo a cercare il piccolo che scappa sempre. Ma l’evoluzione della storia non è semplice, Cyril diviene amico di una piccola gang di quartiere e rimane affascinato dal capo, un ragazzo ventenne che lo spinge a compiere un furto. Sembra che tutto vada per il peggio, arriva la polizia e… con un finale a sorpresa, scritto alla perfezione, i fratelli Dardenne cambiano rotta inserendo un finale positivo che illumina la vita di Cyril.
Un film scritto con un’abilità e una sincerità spiazzante, privo di pause o tempi inutili, uno script che si dovrebbe studiare nelle scuole di cinema. Diretto al meglio, senza fronzoli e senza mai far sentire la mdp, che come tutto il resto è al servizio della storia. Il film alla fine – nonostante alcuni momenti senza concessioni allo ‘spettacolo’ – risulta sensibile, tenero e delicato. Assolutamente empatico, non cade mai nel rischio melodramma o nel disagio gratuito. Forse la quasi inesistenza della colonna sonora (ci sono solo tre brevi passaggi della Quinta di Beethoven, forse non essenziali) rende ancora meglio e oggettivo lo svolgersi della storia emotiva di Cyril.
Cyril è interpretato perfettamente da Thomas Doret, alla sua prima esperienza cinematografica e riteniamo non ultima; il suo dolore di bambino e le sue furie ostinate sono così naturali da lasciarci coinvolgere e da farci pensare che esistono ancora bambini del genere… quando i bambini erano bambini, era il tempo di questi sentimenti.
Cécile de France è un’ottima attrice internazionale, conosciuta dal grande pubblico per L’appartamento spagnolo (ha vinto un Cesar), Bambole russe (altro Cesar) e per l’ultimo di Eastwood, Hereafter.