Con Incerta la luce delira, Domenico Astuti conclude la sua personale trilogia dell’inquietudine, dopo Grand’Hotel des Bains e Da Finsbury a Dante. Questa volta però abbandona il suo stile personale e di difficile collocazione, sceglie un tipico genere letterario di questi tempi provando a sovvertirlo in un racconto che si va a posizionare a metà strada tra una storia dai rimandi hard boiled e la commedia umana. Come è solito, Astuti, prova a rompere gli schemi della narrazione, inserisce riflessioni psicologiche e morali in personaggi che solo all’apparenza non hanno nulla di morale e possono risultare ai limiti del presentabile; lui esplora la natura umana profonda, cercando di illuminarla, osserva personaggi sotto stress, in condizioni estreme, quando i comportamenti possono trasformarsi in aberranti e li rende empatici al lettore, come uno psicologo con i parenti di un paziente. Inserisce il protagonista in una storia corale fatta di fughe, inseguimenti, piccole resurrezioni e riflessioni personali su personaggi che sono tutti a un bivio delle loro vite e al limite dell’autocontrollo.
Poniamo qualche domanda all’autore sul nuovo romanzo e sulla trilogia in modo da comprendere e scoprire qualche elemento in più.
Da cosa nasce la storia ?
Incerta la luce delira è un romanzo assai diverso dai miei altri pubblicati. Negli ultimi due, Grand’Hotel des Bains e Da Finsbury a Dante sono incentrati su un protagonista che attraversa le vite degli altri e sono romanzi poco collocabili nell’attuale panorama letterario. Entrambi, con differenze, sono un lento ritorno a casa da parte di due uomini inquieti, individualisti e contro. Storie intime ma anche collettive di una generazione ormai adulta e sconfitta e che non vuole accettare di aver perso e insiste nel non conciliarsi. In Incerta la luce delira invece ci sono tutti i crismi del genere, un po’ vecchia maniera, quasi un omaggio ai grandi scrittori degli Anni Quaranta, ma ho conservato il bisogno di analizzare da esterno i personaggi e i loro comportamenti. L’idea da cui prende vita il romanzo nasce dalla curiosità di raccontare alcuni personaggi poco presentabili socialmente, in antitesi con la melassa di investigatori, criminali, assassini che si trovano ormai in molti romanzi di oggi. Scegliere il mondo del porno, un tempo dirompente e disgregatore della morale mentre oggi è la normale banalità di una società senza più punti di riferimento, è un modo per ricollegarmi a tutto ciò che un tempo era rivoluzionario e oggi è solo una marmellata sociale. Insomma mi sono divertito per la prima volta giocando con un genere come non avevo mai fatto, e ho provato a ribaltare alcuni stilemi dello schema classico.
In questo romanzo però ci sono gli archetipi degli altri due, un uomo solitario e inquieto, la fuga da una vita che va stretta, personaggi che si incontrano, si sfiorano, si salutano e passano senza lasciare traccia.
Sono stato attratto da un racconto diciamo classico e molto frequentato dagli scrittori negli ultimi anni, scrivendolo mi sono dimenticato delle mie idiosincrasie per i generi così sfruttati se non abusati e mi sono lasciato andare all’avventura.
Eppure hai sempre criticato chi segue le mode letterarie e oggi ci caschi dentro ? Quando mi hai mandato il testo, sono rimasta un po’ meravigliata. Come mai questo cambiamento ?
Con questo romanzo voglio concludere la trilogia dell’inquietudine, ma se con i due precedenti l’inquietudine l’avevo sotto controllo emotivo e potevo rifletterci con un certo gusto e distacco, parlando anche di miei sentimenti, di me e di ciò che sono, adesso invece mi risultava insostenibile l’identificazione, scrivere coinvolgendomi direttamente, quindi per non sentirmi completamente sommerso ho scelto di prendere le distanze almeno dalla fantasia e dai personaggi.
Puoi sinteticamente accennare alla trama ?
Ti cito il quarto di copertina che a me risulta una buona sintesi: un regista di film porno in fuga e un professore universitario che si sottrae alla moglie psicanalista, malavitosi violenti e malinconici, un losco produttore di film hard che fa il doppio gioco e alcune attrici porno. Li incontriamo tutti quando sono al limite dell’autocontrollo, sotto il cielo di un’Europa grigia e indifferente. Un racconto un po’ noir e un po’ commedia umana, prodotto di un complotto ordito dall’autore. Personaggi in fondo grotteschi, ingenui, inclassificabili, ai limiti del presentabile, che si incontrano, si salutano e passano. Illuminati quasi per caso da una luce che sembra incerta in ogni momento.
A proposito come mai un titolo che sembra un verso ?
Semplicemente perché è un verso, di Borges. Mi piaceva e mi è sembrato racchiudere l’essenza di un romanzo come questo. Forse l’ho iniziato a scrivere proprio grazie al titolo.
Anche in questo romanzo vari personaggi terminano le loro storie in una città di mare, in Da Finsbury a Dante il protagonista giungeva a Napoli, in Grand’Hotel des Bains la città d’arrivo era circondata dal mare, in Incerta la luce delira i nodi vengono al pettine ad Amsterdam, altra città di mare.
Se volessi risponderti con una fandonia credibile direi che le città di mare possono essere il centro di misteri affascinanti, il mare è anche una delle possibilità di fuga, in realtà è semplicemente collegato al fatto che sono nato e vissuto per molti anni a Napoli e il mare resta un mio bisogno ancestrale.
Sei riuscito poi ad ascrivere i tuoi romanzi a un genere letterario ?
Ti confesso che ho vari debiti creativi e narrativi, ma non riesco precisamente a collocarmi. Forse temendo di essere etichettato preferisco sfuggire a questi schemi.
Ma in fondo avrai una tua idea precisa di Letteratura ?
( dopo una lunga pausa ) Guarda la prima cosa che mi viene da dire è che io non provo a fare Letteratura, reputo la parola troppo seria e impegnativa. Io sono modestamente un narratore che prova a infrangere degli schemi, racconto azioni di uomini e donne che scaturiscono da sentimenti di inquietudine e di disagio, e in quello che fanno inserisco a volte mie considerazioni come autore, riflessioni saggistiche, considerazioni. Adesso che mi costringi a pensarci, credo di avere negli autori Mitteleuropei un punto di contatto, più in quelli austriaci.
In questo ultimo romanzo mi sembra che hai preso un po’ le distanze dai personaggi dei precedenti romanzi, lasciandoti alle spalle anche un autobiografismo, diciamo fantastico ?
Hai ragione e forse è anche per questo che mi viene più facile parlarne. Sono stato un nomade e un viaggiatore e questo si è riverberato sui romanzi precedenti e sull’idea della fuga mentre non sono mai stato un regista nel mondo del porno come lo è il protagonista Tancredi, non ho mai frequentato criminali o produttori hard, non ho mai sparato. Con i romanzi precedenti avevo un rapporto più pudico, come se avessi dovuto parlare o pubblicizzare un figlio o dei miei sentimenti privati.. Tancredi come anche Marco Filangieri e Mattéo Fortis sono e restano degli inquieti che si ostinano a voler restare coerenti a valori e a idee, mentre intorno tutto cambia e cercano nella fuga e nel viaggio un tentativo di salvezza che in fondo consiste nel vivere in un ambiente che asseconda le proprie necessità. Ma mentre nei primi due c’è il ritorno a casa come tentativo di riconciliazione in questo c’è l’abbandono come liberazione. Ma anche in questo romanzo non c’è l’intenzione di prendere le distanze dai sentimenti, solo che i miei personaggi precedenti mi assomigliavano un po’ di più.
Stai pensando al prossimo libro ?
In verità sono a buon punto, ho concluso la prima stesura e appena voglio mi metto a curare la stesura successiva. Mi auguro che in tarda primavera sarà pronto.
In bocca al lupo per Incerta la luce delira.
Se non può crepare il lupo almeno si soffochi almeno un po’.
Christine Màttera è una free lance francese che lavora in Centro America.
Un assaggio del libro
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Questa storia che si inizia a raccontare potrebbe anche essere vera, ma i sentimenti lo sono davvero. In fondo cosa è vero, oggi? È differente da come lo intendevano gli scrittori e i pensatori nel passato? Riguarda ancora il chiarimento di che cosa significhi vero, indipendentemente dai modi e dai criteri di conseguire la verità? Quello che appare vero… Quello che può sembrare credibile… Quelle mezze bugie dette al momento giusto… Quelle omissioni con contorno di verità… In fondo la verità è diventata una relazione quasi corrisposta tra linguaggio e realtà, tra enunciati e fatti. E allora restiamo sul detto, la letteratura è, una più o meno, bella menzogna. E poi, in fondo questo raccontare non è aristotelicamente verosimile né sa cosa siano le sue tre unità.
In queste sfumature di opale, in questa opacità colorata, scegliamo i nostri personaggi tra la folla, come fosse un gioco col mondo. Osservia- mo visi tra mille, come fossimo un mago che si affaccia sulle carte e il destino altrui. Volti che vengono da Rue Pré-du-Marché, oppure danno le spalle a rue Centrale, o escono dal café Vieux-Lausanne, lasciando passare per prima una donna appena conosciuta… I soliti impiegati affidabili, un’affittacamere razzista, qualche intellettuale così distratto da rischiare la vita sulle strisce pedonali. Come esploratori del vero, scegliamo questa città da cui partire, una città reale simbolo dell’ordine della realtà, ma anche frutto di qualche fantasia… Eccone un altro, tra i tanti, fermo in piazza, ha l’espressione guardinga e stanca, sposta il piede verso il bordo del marciapiede dopo averlo osservato come se fosse minato, l’osserva ancora con un’attenzione quasi esatta, poi mette il piede su un quadrato con cautela e resta rannicchiato come un soldato in un avamposto di guerra. Forse non è il più interessante, ma ciò che ha fatto in questo momento, e come lo ha compiuto, non potrebbe compierlo nessun altro… Forse la sua storia è leggera e singolare, forse in fondo potrebbe essere il savio di una favola nelle città impazzite di distrazione. Ha un viso sgualcito, molte ore di sonno in arretrato, l’espressione gentile e in fondo un po’ infantile.
Crediamo che abbia bisogno di essere raccontato. Come l’esistenza dei suoi simili quando si trovano in un simile tratto di vita. È un italiano poco più che quarantenne, si chiama Tancredi, di cognome fa Nitti… Le récit des aventures d’un homme, qui jetè dans une ile dèserte, trouve les moyens de se suffrire et meme de se crèer un bonheur relatif… scrive il Larousse di Robinson. Ma lui ha poco di Crusoe, almeno così sembra. Lui è sempre stato se stesso, ma anche altro, anche l’altro da sé. Entrambi hanno ricevuto lo stesso nome e cognome e lo stesso sangue, ma non hanno vissuto le stesse emozioni e non hanno fatto gli stessi errori per molti anni. Adesso il primo, ha deciso di essere il protagonista di se stesso ma ha bisogno dell’aiuto dell’altro, ha deciso di essere anche un po’ l’altro: quello che porta in sé ma che ha frequentato poco nei momenti nevralgici, e solo qualche volta nei momenti epici o di sconforto infinito. Lo cerca adesso per egoismo, naturalmente, perché da solo non riesce ad affrontare l’apice o il dolore del suo mondo e cerca alleati, severi e duri, al- meno così presume. L’unica cosa che sanno entrambi è che la vita è uno splendore ma non a tutti i costi. Come ha scritto qualcuno, dovremmo affrontare la notte, le tempeste, la fame, il ridicolo, gli accidenti, i rifiuti, come fanno le piante e gli animali. Come si è ritrovato all’improvviso in questa condizione? Per convenzione, potremmo scrivere che la morte di Julia… la noia di vedere corpi nudi… un’occasione fortuita e malandrina… Hanno scatenato in lui una tempesta di desideri come su un campo di battaglia. Ben sapendo, tut- tavia, d’essere in un racconto di poco spessore.
Non è facile scegliere un altro personaggio, qualcuno che possa avere l’innocenza terribile della rassegnazione. Qualcuno che non voglia più patteggiare la sua vita col solo esistere. Un improbabile complice che ha d’un tratto deciso di vivere al di sopra dei suoi mezzi caratteriali ed emotivi, per sfuggire in fondo alla noia e alle certezze. In effetti, non c’è essere più difficile da cercare e trovare proprio in questa transizione emotiva… Quello che intravediamo nella folla sembra fissarci e chiedere: non puoi fidarti un po’ di me? Cammina quasi correndo, col viso altera- to, si sta allontanando da Avenue des Bergières per raggiungere il centro città. Il suo nome è David Calasso, e supponiamo che sia l’opposto dell’altro che abbiamo scelto di raccontare, almeno lo è fino a questo momento. Oggi può apparire più che mai un’ombra, la cui sorgente di luce è scomparsa nei mesi dei mesi. Ha vissuto una vita sempre e solo in una direzione, nello stesso cono di luce, scolpita da tre o quattro persone. Soprattutto da quella parte del sé educata a non scontentare mai e nessuno. Attraverso le attese degli altri ha sfinito se stesso, facendo un esercizio generoso di disponibilità e affidabilità. Ha vissuto finora in una fiaba senza fantasia, senza principessa e senza bosco incantato; oggi, come in una fiaba sbagliata, si è trasformato nel protagonista e nell’antagonista e nel bosco stesso. Ma è nell’impossibilità di vedere la foresta perché gli alberi glielo impediscono. Le impronte che ha lasciato restano nella penombra del mondo mentre le fiamme dello stesso mondo inceneriscono chi resta umano. In fondo ha scritto la sua vita con inchiostro simpatico per dare le spalle a una tempesta oscura, per non dover vivere in un’altra luce… Come uomo si sente di essere stato in fondo niente, formica o cicala, lancia o utensile spuntato, brezza primaverile o marmo freddo di Carrara…
Cerchiamo ancora. Il nostro sguardo vola sui sentimenti, giunge in un altro luogo. Ci imbattiamo nella ex pornodiva Chantal Mészáros — forse la conoscete come Eve Belle, se apprezzate certe pellicole — . Appena vista non si può provare che una fascinazione malinconica, un desiderio di poterla avere ben sapendo che non è possibile. In realtà chi scrive è soddisfatto di averla incontrata in questo modo quasi involontario. È il lato buono e generoso di Tancredi e lui senza di lei sarebbe altro. Ha un fare tranquillo e avvolgente, forse anche allegro, ma è una donna sola anche se non dà mai quel segno, ha un’inquietudine interiore ma non emerge più da quando vive con Tancredi. In questo momento è nel soggiorno di casa, in via dei Serpenti, a Roma, in attesa che il giorno passi e che quel- li successivi vaghino indolori prima di potersi mettere in movimento e fuggire via per una strada fatta di acciottolato e argini, pronti a crollare davanti alle acque del Danubio. Verso le braccia del suo uomo. Potremmo accennare qualcos’altro su di lei, a quale maschera indossa adesso, ma nessuno può rispondere; in realtà — e per sua fortuna — lei è sempre stata solo se stessa; sono gli altri che l’hanno voluta mettere in varie partiture esistenziali. Lei ha accettato con indifferenza questi ruoli, silenziosa e quasi misteriosa anche a sé. In realtà ha sempre vissuto come ha voluto, con un solo viso e un solo cuore. Non ha mai dato peso alle comparse della sua vita, fossero potenti o uomini violenti o melliflui. Forse se qualcuno dovessimo salvare dall’oblio della narrazione sceglieremmo lei perché è solo un fiore silenzioso, una rosa di un giardino al buio. Magari, in maniera del tutto imprevista, in modo indiretto e misterioso, sarà lei a farci capire la distinzione tra menzogna e verità.
E cerchiamo da un’altra parte, ancora. Troviamo, Eleonora Gaburri. Anche lei è una donna molto bella ma di una bellezza opposta a quella di Chantal. Eleonora è un po’ il contraltare emotivo dell’altra, ha scelto il suo uomo da ragazza senza riconoscere l’amore, come fosse un qual- cosa che si dovesse accettare. La dottoressa Gaburri è una donna talmente presa da sé, e da ciò che rappresenta, che ignora la notte in questa mezzanotte. Talmente complessa da assomigliare a quelle donne medioevali cantate da Guido Cavalcanti o contemplate da Averroè. È così presa dal suo ruolo tutto certezze e profondità che non ha tempo né per brevi dolori né tanto- meno per gioie vere. Forse la madre un giorno le ha detto cosa pensare e cosa fare nella vita e lei trovando più comodo che piacevole quel modo di vivere lo ha impersonato e da allora procede veloce come un treno su un binario ben oliato, senza incontrare ostacoli. Peraltro, non ha trovato qualcuno che le facesse notare le sue magagne, i suoi piccoli trucchi; e, se avesse avuto un uomo con cui confessarsi in un momento d’abbandono, avrebbe alla fine riso all’idea di met- tersi in discussione. Alle strette sarebbe giunta alla convinzione che la vita è solo un imbroglio, una delusione: anche se questa conclusione le avrebbe provocato un vuoto e un senso di ama- rezza… Eleonora l’unica cosa che non sopporta negli anni è restare ferma o trascorrere un pomeriggio senza far nulla, e quando qualche rara volta le capita di restare a casa senza una scusa plausibile, pensa che ogni tanto bisogna porta- re la croce anche per mettersi in pari con chi è sfortunato. Sempre pronta, risale qualche intralcio piantando chiodi con calma esemplare. Per comprenderla meglio, questo pomeriggio ha continuato nei suoi impegni serrati nonostante la telefonata dalla questura e l’aver saputo della démence in pubblico di suo marito a Losanna. Se dovessimo pensare a lei come un fiume, avremmo l’immagine dell’Adda, dalle acque grigie ed esauste nei canneti, dal paesaggio che si fa cari- co dei peccati del mondo.
E poi, come onde del mare, ci sono anche gli altri. Specchi in cui riflettere se stessi… Il giornalista RAI Ernesto Barlozzetti… Roberto, il pittore nomade che vive ad Amsterdam… il produttore di film porno Vic Stompanato e suo figlio Angelo… e poi i due vecchi complici Bruto e Alex… la giovane Julia che ha vissuto troppo in fretta… ed Elvis che ha visto troppe cose nella sua vita, tante poco chiare e… E anche se le onde non possono giung