Joyce è un irlandese anglofono, profondamente legato alle radici etniche della sua terra, ma educato ad una cultura sostanzialmente aliena, quella di lingua inglese proprio perché la lingua degli oppressori apriva orizzonti culturali quasi illimitati e rappresentava un patrimonio ricchissimo e irrinunciabile.
Giorgio Melchiori
Il post nasce per ricordare questo grande scrittore nell’occasione dell’anniversario della sua morte avvenuta proprio il 13 gennaio 1941. L’esigenza per me di approfondire, dialogare e riflettere sulla cultura irlandese attraverso lo studio e la conoscenza di scrittori irlandesi nasce subito dopo aver pubblicato il mio romanzo L’ultimo cantore d’Irlanda. L’anniversario della morte di Joyce costituisce, quindi, il trampolino di lancio in questa nuova avventura che mi vedrà impegnato per un periodo non precisato della mia vita.
Joyce concentrò la propria opera sul suo stesso personaggio, il suo ambiente, la sua vita; tutti i suoi libri, da Gente di Dublino, a Dedalus, a Ulisse, senza dimenticare le opere minori, costituiscono un tentativo di dire la verità, senza finzioni e senza veli. Il bisogno di analizzare la vita umana in ogni suo aspetto, paradigma comune a tutta la letteratura del Novecento, giunge con Joyce a una evidenza così forte e chiara, ad una portata così rivoluzionaria tanto da avere ripercussioni considerevoli nella letteratura mondiale contemporanea, tanto che i critici letterari oggi parlano di letteratura pre- e post-jocyana.
Il messaggio di Joyce è rimasto per tanto tempo incompreso, inascoltato. Persino frainteso. Le sue opere trovavano resistenza da parte di case editrici. E, una volta pubblicate, le opere venivano lette e interpretate solo da un’élite di lettori “snob” e privilegiati. A tal proposito, il critico letterario Declan Kiberd, commentando l’Ulisse, così scrive nel 2009:
La difficoltà di Ulisse non è dovuta a snobismo, ma al desiderio di un artista radicale di sfuggire alle reti del mercato.
Declan Kiberd
Sfuggire alle reti del mercato! Il “non scendere a patti”, “il non scendere a compromessi” era ben lungi dagli ideali etici di Joyce. I 15 racconti che compongono Gente di Dublino, nei quali si delinea un’immagine assai critica della realtà irlandese, caratterizzata da immobilismo e povertà di ideali, erano stati più volte rifiutati dagli editori irlandesi, per venire in seguito addirittura bruciati.
Le opere di Joyce raccontano l’Irlanda con tutte le problematiche storiche, sociali, politiche e religiose del suo tempo: ne sono lo specchio. Ad esempio, è lo stesso Joyce che parla di un’Irlanda mai suddito fedele dell’Inghilterra, ma neanche, mai fedele a se stessa. O ancora, su quali percorsi avrebbe potuto intraprendere la cultura irlandese se fosse rimasta nell’ambito della tradizione cattolica europea, anziché dedicarsi allo “scimmiottamento della civiltà inglese”. Irlanda e Inghilterra appaiono complementari. E, restringendo il campo visuale dall’Irlanda alla sua capitale, lo stesso Joyce suggerì che tutta la sua opera era un tentativo di “presentare Dublino al mondo” e di riconciliare il presente con il passato cancellato dalla memoria, l’unico vero fondamento su cui poter di nuovo immaginare la storia della propria nazione.
Attraverso le vorticose sperimentazioni linguistiche di Joyce vengono gradualmente alla luce tutti i grandi temi trattati: la patria, la famiglia, la paternità, la religione, l’esilio, l’arte, il corpo…
Enrico Terrinoni
Tanti, quindi, gli argomenti trattati nelle opere di Joyce. Come quello della patria. Della sua amata patria: l’Irlanda, appunto. Quell’Irlanda che lascerà troppo presto a causa di un esilio volontario.
Era nato il 2 febbraio 1882 a Dublino. Sin da subito incomincia a frequentare scuole cattoliche. Infatti, a cinque anni e mezzo, venne iscritto al Clongwes Wood College tenuto dai gesuiti. A causa delle diverse peripezie famigliari Joyce si troverà a studiare in un altro collegio gesuita, il Belvedere College. Sentì anche una vocazione al sacerdozio. Nel 1896 divenne prefetto della confraternita della Beata Vergine Maria, ma la sua fede iniziò a vacillare. Vinse diverse borse di studio. Frequentò l’University College Dublin, fondata dal cardinale Newman. Scrisse poesie, drammi, racconti. Nel 1904 incontrò Nora Barnacle, la donna della sua vita. Gli darà due figli. Lasciarono l’Irlanda e vissero tra Parigi, Italia e Svizzera. Morì a Zurigo il 13 gennaio del 1941 in seguito ad un’operazione per ulcera perforata. Le sue opere oggi sono dei capolavori indiscussi della letteratura mondiale contemporanea. L’Irlanda, la sua patria così martoriata eppure tanto amata, è presente in tutte le sue opere, tanto da diventarne il suo cantore per eccellenza, profeta e poeta, bardo moderno e vate, interprete e divinatore di tracce: la sua intenzione era quella di plasmare e migliorare la cultura e la società irlandese del suo tempo.
Ci sarà riuscito? Vi lascio con una citazione tratta dal romanzo Dedalus, dandovi appuntamento con il prossimo articolo su Joyce il 2 febbraio, anniversario della sua nascita.
Quando un’anima nasce, le vengono gettate delle reti per impedire che fugga. Tu mi parli di religione, lingua e nazionalità: io cercherò di fuggire da quelle reti.
James Joyce, Dedalus