Abbiamo visto “ Janis “
Un film di Amy Berg. Con Janis Joplin, Cat Power, Documentario, durata 115 min. – USA 2015. Data uscita al cinema: 08/10/2015.
Da un po’ di tempo sugli schermi italiani vengono proiettati per due o tre giorni – con prenotazione, per poi ricomparire qui e là a casaccio – dei documentari su personaggi-mito morti giovani o che sono stati dei miti in vita vivendo in controtendenza o al massimo. Ed ecco i bei documentari su Amy Winehouse, su Janis Joblin, mentre a fine mese uscirà Il mago su sua maestà Orson Welles; un paio di mesi fa al Festival di Venezia è stato presentato Il decalogo su Vasco Rossi ( lui a quanto pare ancora in vita, nonostante gli eccessi e la depressione ). Devono riscuotere un buon successo di pubblico perché sono in uscita anche i documentari Io sono Ingrid Bergman, Kurt Kobain, Steve Mc Queen, Roger Waters The Wall, fino ad allargare l’orizzonte con Station to Station ( 24 giorni in treno da New York a San Francisco. Fermandosi in 10 stazioni per ospitare una serie di happening, ognuno unico ed originale date la location e il mix creativo dei partecipanti ). In genere questi documentari ( ottimamente realizzati ) si basano su tragici destini, su genio e sregolatezze, in cui alcool, droghe, cibo e vite all’estremo riescono a distruggere personaggi dal talento puro ma con una difficoltà del vivere maggiore degli altri. Si vede che in tempi in cui c’è mediocrità, banalità del vivere, conformismo asfittico, in tutti i campi, c’è la richiesta di qualcos’altro e c’è la curiosità di vedere vite talentuose vissute spericolatamente.
Janis, diretto da Amy Berg ( prevalentemente documentarista, con alle spalle pellicole scomode ) ci racconta in modo intelligente, ma anche in modo un po’ convenzionale, dei problemi emotivi che hanno portato la Joblin a morire a 27 anni per overdose nel 1970. E alla fine sembra quasi che la sua morte sia stata un incidente involontario e non una conseguenza di malessere e stravizi. Ma ci mostra anche il talento naturale di questa ragazza, facendoci ascoltare una buona parte delle sue canzoni presentate soprattutto nei concerti e nei festival musicali degli U.S.A, da Monterrey a Woodstock. Ma chi è stata Janis Joblin, oltre la cantante che la rivista statunitense Rolling Stone pone al 28º posto nella lista dei 100 artisti più importanti della storia ? Nata in una famiglia borghese, i cui genitori rispecchiano la classica Middle Class della provincia americana, sin da adolescente sente il bisogno di essere amata, di accettare il suo viso e il suo corpo, ma i ragazzi della zona invece di accoglierla in qualche modo la tengono a distanza perché troppo aggressiva, con il gusto di provocare risse nei bar, e si vendicano, quando lei è alla fine del Liceo, eleggendola l’uomo più brutto della scuola. Anche per questo, per dare sfogo al suo dolore e alla sua rabbia, si avvicina al blues e ha la fortuna di ritrovarsi una voce roca, ruvida e da nera, fuori dal comune. Ma gli inizi non sono proprio positivi, inizia a cantare nel coro cittadino ma è cacciata perché non esegue la musica come si richiede e inizia ad ascoltare cantanti come Bessie Smith, Odetta, Big Mama Thorton. Nel frattempo beve, fa sesso appena può e con chiunque fino ad arrivare all’eroina per sentirsi più tranquilla. Non continua gli studi universitari e si sposta in California dove con il futuro chitarrista dei Jefferson Airplane, Jorma Kaukonen registrano alcuni standard blues. Da questo momento la sua vita e la sua carriera diventano spericolate e frenetiche ( siamo oltretutto nella California degli Anni Sessanta in cui gli eccessi possono risultare quasi normalità ); resta una donna fragile e ferita tanto quanto la sua voce è aspra e potente, perché quella voce smuove anche i più insensibili. La sua rapida, e possiamo dire folgorante carriera, dura solo qualche anno. Vive, canta e si afferma assieme a una band di amici con cui divide tutto anche l’amore, la Big Brother and the Holding Company, ma non sarà mai veramente stabile e li abbandonerà nel 1968 con dolore ma anche con lucidità creativa e professionale. La sua vita continua nel dubbio, nella perdita di amici, qualcuno perché non può vederla drogarsi fino a quel punto, o con colleghi che non trova all’altezza delle sue potenzialità; di uomini con cui sta ma che la lasciano per poco amore o perché vogliono fare il giro del mondo come era d’abitudine in quegli anni. E lei nonostante i successi, i fans che la inseguono, continua a essere una ragazza ferita nell’animo, instabile emotivamente, beve, si droga e persa nei suoi dolori, forse l’unica cosa che l’aiuta a vivere è la musica e il rapporto con il suo pubblico.
Il documentario segue due direzioni e le tiene ben in equilibrio pur non riuscendo ad andare al fondo della personalità di Janis Joblin. Da un lato la sua vita intima fatta sin dall’adolescenza di incomprensioni con i genitori – forse tolleranti ma non disposti a comprenderla e ad amarla -, la sua vita di studentessa a lungo vittima di bullismo per il suo aspetto non adeguato ai canoni di bellezza della provincia americana e alla sua diversa sensibilità, di uomini che le sono stati accanto ma che le hanno dato troppo poco ( a questo si aggiungano la lettura, con voce in fuori campo, delle lettere che lei spediva a casa in cerca sempre di accettazione e approvazione e i vari interventi della sorella, del fratello e di alcuni compagni di scuola ) e dall’altra la sua rapida e folgorante carriera, con i successi con la sua prima band ( alcune interviste televisive da star musicale, della preparazione dei suoi dischi in studio, dei primi concerti e poi di quelli grandi come quelli di Monterey e di Woodstock, raccontati dall’interno ). Una cantante speciale e unica, un dolore di vivere intenso, un’epoca folle, sregolata ma soprattutto viva, un documentario del genere non poteva riuscire insignificante, ma in fondo è costruito e montato in modo normale e professionale. In cui si potrebbe dire che è il ritratto di un’artista instabile per bisogno d’amore e bisognosa di conferme.