Esce oggi nelle sale italiane, dopo aver già affrontato l’ “orda” della critica all’ultimo Festival di Cannes, il nuovo film del regista greco Yorgos Lanthimos che, dopo aver conquistato il mondo con l’acclamatissimo “Poor Things”, firma questo nuovo dissonante, divisivo – forse non troppo considerata la mole di pareri negativi ricevuti – e sicuramente surreale prodotto il cui titolo – in relazione poi a quanto si vedrà sullo schermo – offre di per sé il pretesto per domandarsi come e perché si sia pensato di mettere in collegamento quelle tre parole con il contenuto stesso.
Signore e Signori, esce oggi “Kinds of Kindness”.
Chi scrive quest’articolo non è uno dei legittimi, ci mancherebbe, esaltati che ha portato in trionfo l’ultima fatica prima di questa del regista di “Dogtooth” o “The Lobster” e attraverso il quale la sempre brava – e francamente simile a se stessa – Emma Stone ha portato a casa la seconda statuetta da migliore attrice protagonista della sua carriera e proprio in considerazione di questa distanza emotiva dal fortunatissimo “Poor Things”, si può provare a comprendere quello che, dichiarandolo sin dal principio – può essere definito un interesse in quota di minoranza per le tre storie che compongono lo script e la carne del film in oggetto.
“Kinds of Kindness” che segna il ritorno della collaborazione alla sceneggiatura tra lo stesso Lanthimos e il sodale storico Efthimis Filippou è il risultato di tre episodi che vedono, ogni volta, protagonisti lo stesso eccellente cast di attori, composto da Willem Dafoe, Emma Stone, Jess Plemons – vincitore peraltro, sulla Croisette, della Palma per la migliore interpretazione maschile -, Margaret Qualley e Hong Chau.
E le tre storie apparentemente molto diverse tra di loro nonostante siano tutte e tre poste in essere all’interno del medesimo contenitore – il film – che le definisce, in sostanza, tre variazioni sul tema dell’esercizio – degli esercizi – della gentilezza, sono tre storie profondamente segnate da una comune atmosfera che più che distopica potrebbe essere definita come di matrice onirica, al netto di ambientazioni estremamente concrete e puntuali.
Precedute, ciascuna di loro, da un titolo che ha come minimo comune denominatore il nome puntato di una misteriosa entità (personaggio?), – R.M.F – i tre segmenti ci mostrano un dipendente sottomesso al proprio boss fino a delle estreme scelte, un marito dalla moglie dispersa che al suo ritorno non ha fiducia nella sua reale identità e una donna in fuga dal proprio tetto coniugale soggiogata da una setta della quale ambisce disperatamente ad appartenere o, meglio, di continuare a farlo.
“Kinds of Kindeness” è, secondo la prospettiva dello scrivente, un film coraggiosissimo nella sua assenza di ritmo, orgoglioso della propria scrittura densa e volutamente urticante considerata la pesante distanza, almeno per quello che può essere definita la nostra conoscenza della realtà fenomenica, delle cose “normali” di tutti i giorni e di sicura forza stilistica, considerato l’insieme delle situazioni proposte che compongono il grande quadro complessivo di questo mondo apparentemente spezzettato, ma in realtà molto coerente in tutta quanta la sua espressione visiva ed energetica.
Le attrici e gli attori paiono a loro volta aver trovato un piacere nello stravolgimento in sicurezza tentato ed operato dai responsabili artistici della pellicola e possiamo così divertirci a godere del talento spesso dal pubblico sottovalutato dell’americano vincitore a Cannes – il Plemons già citato -, dell’istrionismo estetico assolutamente invidiabile di quel Dafoe la cui bellezza a dispetto del tempo che passa potrebbe davvero far pensare a qualche machiavellica macchinazione segreta con qualche entità energetica a noi sconosciuta e una super accattivante Margaret Qualley il cui destino, le auguriamo, pare aver ormai definitivamente imboccato una costante ascesa.
E se, invece, una meno appariscente Hong Chau risulta essere un’ottima pietra angolare di ogni inquadratura che la vede presente, forte di un carisma asciutto eppure definitivo, sorprende ritrovare una Emma Stone che pare ormai aver trovato un registro sì di elevata fattura, ma di rivedibile diversità.
Sarà, si suppone, la grande mole di lavoro alla quale l’attrice di La La Land è ultimamente sottoposta.
Ci si augura dunque una futura agenda di lavoro meno gravosa e che le consenta più tempo tra un set ed un altro.