Abbiamo letto ” La banda degli amanti ” scritto da Massimo Carlotto.
Avevamo lasciato Carlotto alcuni romanzi fa, dopo L’oscura immensità della morte ( 2007 ) e L’amore del bandito ( 2009 ). Forse perché l’autore tra gli altri de Il Fuggiasco, tratto da sue vicende personali, Nessuna cortesia all’uscita e Arrivederci, amore ciao, aveva iniziato a perdere quello smalto iniziale, quell’originalità nell’angusta narrativa italiana, e a diventare ripetitivo e probabilmente anche piatto nella narrazione, come se chi lo leggesse dovesse per forza conoscere tutto o quasi dell’autore e dei suoi personaggi e dovesse accettarli in toto. Carlotto appartiene a un background culturale ed esistenziale ormai scomparso e di quel mondo forse porta con sé stancamente ancora le ferite di una giustizia italiana che lo ha accusato di un omicidio nella Padova degli anni di piombo e che lo ha visto al centro di 11 processi durati 17 anni, terminati con una condanna definitiva, una latitanza all’estero, alcuni anni di carcere e finalmente una grazia presidenziale. Quindi la sua storia personale si è sempre impastata con naturalezza con le storie che racconta e i suoi personaggi, come il Marco Buratti detto l’Alligatore, investigatore senza licenza che ha trascorso degli anni in carcere, e i suoi amici Max la Memoria, altro ex rivoluzionario anni settanta, ancora in rivolta contro la società, e Beniamino Rossini, un malavitoso d’altri tempi e con una sua moralità ma pronto a sparare e a uccidere se è necessario, rientrano in quei personaggi in cui forse molti lettori si identificano edonisticamente e ingenuamente. Personaggi che vanno quasi paralleli con quelli inventati da Izzo e da altri autori del genere Polar, del Noir Metropolitano e del Noir Mediterraneo. La narrativa degli anni novanta e dell’inizio di questo secolo di Carlotto aveva dei connotati originali almeno nel panorama italiano ( Paese di un conformismo imbarazzante anche nel noir ), esplorava ciò che critici e scrittori chiamano adesso comunemente il “ lato oscuro ” o la “ zona grigia ” della realtà, ma che all’epoca non era ben vista se non accettata. Lo scrittore, in un dibattito a Roma del 2013, ha affermato che il genere noir ha quasi la missione di narrare il conflitto e questo può essere fatto solo attraverso una progettazione letteraria che deve tenere assieme diversi generi, ma deve anche separarsi definitivamente dal romanzo poliziesco, appropriandosi della materia strettamente letteraria di quest’ultimo per poter costruire una narrazione che non deve essere consolatoria né tantomeno conservativa dell’ordine sociale costituito. Teoria un po’ vecchiotta, se pensiamo che già poco meno di cento anni fa venivano scritti negli Stati Uniti romanzi che si inserivano nel sottogenere hard-boiled, sino a giungere alla fine del secolo passato con esponenti del noir metropolitano come Ed McBain per New York, James Ellroy per Los Angeles e l’italo-francese Jean Claude Izzo per Marsiglia. Teoria che Carlotto cerca di applicare anche in quest’ultimo romanzo e forse in modo eccessivo, roboante e distonico.
La banda degli amanti ( 2015, edizioni e/o ) ci conferma quei dubbi che avevamo nutrito e di cui abbiamo scritto in precedenza; in alcuni passaggi, ci è sembrato di leggere qualcosa che avevamo già letto con le stesse modalità. A questo ( e non perché siamo legati ad una struttura classica del noir ) aggiungiamo che ci ha lasciati spiazzati la struttura narrativa e l’evolversi della storia. Nel prologo c’è la ricca signora svizzera Oriana Pozzi Vitali che si presenta a Cagliari in un locale dall’investigatore Buratti, gli chiede di scoprire dove sia finito il suo amante scomparso, lui la tratta male perché scocciato se non depresso e non accetta l’incarico; il primo capitolo invece è ambientato in Francia e c’è Buratti con i suoi amici che devono scambiare un ostaggio che hanno rapito con una informazione su una donna serba che devono uccidere per un fatto personale. Quindi c’è una breve storia d’amore tra Buratti e un’ex pornodiva che gestisce un bar in Costa Azzurra. Ma quasi subito deve lasciarla perché l’amico Rossini lo chiama a Beirut, luogo in cui si precipita per assistere con Max la memoria al suicidio di un’amica e compagna di Rossini. A pagina 67 Buratti accetta l’incarico di malavoglia, duecentomila euro di paga sono poco più che un vago incentivo per lui ( terribile e falsa la descrizione che fa la signora della sua storia d’amore, sembra scritta da un liceale alle prime armi ) e in più l’investigatore obbliga la donna a farsi curare l’esaurimento nervoso che mostra. Buratti inizia a indagare a Padova ( luogo degli incontri dei due amanti ) assieme a Max la memoria; il duro lavoro consiste nell’andare a mangiare nei migliori ristoranti della città in cui sono stati i due fedifraghi per trovare qualche indizio, in quanto la donna per non farsi scoprire organizzava gli incontri d’amore in modo segretissimo e maniacale per non essere vista da alcuno… ma andava a ristorante. Buratti non riesce a scoprire nulla e le migliori imbeccate le ha da un poliziotto anche lui depresso e alternativo nei comportamenti. Finalmente a pagina 90 compare l’antagonista e cattivo Giorgio Pellegrini, un criminale raffinato e cinico già protagonista di due romanzi di Carlotto. Non c’è alcun dubbio che sia lui il cattivo e non tocca svelare nulla. A questo punto il parlare in prima persona di Buratti si alterna con il parlare in prima persona di Pellegrini. Tutto è chiaro e procede senza troppo pathos verso la fine. Ma devono far rientrare da Beirut Rossini e da Marsiglia una killer loro amica perché Marco e Max non sono all’altezza dello scontro. E nella ricerca di un nuovo modo di comporre il noir all’italiana, Carlotto punisce le figure di mezzo, piccoli delinquenti senza importanza, ma non il vero cattivo che parte per la Svizzera dopo essersi accordato con Rossini con un mezzo ricatto ( a questo punto vorremmo ricordare a Carlotto la frase che il bandito William Holden dice al collega Ernest Borgnine ne Il Mucchio Selvaggio di Pechinpah: non è importante quello che si promette ma a chi lo si promette ). Buratti scoperto il tutto incontra la signora, riceve il pagamento ed ha anche in regalo la casa di Padova, ex alcova dei due amanti. Ma il buon Buratti è anche un musicista blues e va a Berlino a suonare con due amici, poi, mentre si sta spostando verso Lipsia, riceve una telefonata da Rossini, c’è un nuovo incarico da prendere…