Abbiamo visto “ La comune “
Un film di Thomas Vinterberg. Con Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen, Helene Reingaard Neumann, Martha Sophie Wallstrom Hansen. Drammatico, durata 111 min. – Danimarca 2016. – Bim Distribuzione uscita giovedì 31 marzo 2016.
Thomas Vinterberg è uno dei registi europei più originali che abbiamo, in continua discontinuità di generi e contesti, pronto a modificare quello che un tempo si chiamava cifra narrativa. Nato cinematograficamente con Dogma ’95, allievo e amico del maestro Lars Von Trier, ci ha offerto film davvero importanti se non necessari come Festen, Riunione di famiglia, Il Sospetto, oggi torna alle sue radici dopo quel Via dalla pazza folla, film poco interessante, tra l’hollywodiano e la melassa antihardyana. Torna a casa per nostra fortuna, e si confronta probabilmente con una sua autobiograficità. Torna nella Copenaghen degli Anni Settanta e a quegli umori e scatti esistenziali così lontani dal nostro mondo di oggi. La vita in una comune, e ricrea quelle dinamicità esistenziali comuni nel Nord Europa e in un mondo che fu; ci racconta – anche se con nessuna implicazione ideologica – della vita assieme di dieci persone assai differenti per professione, età e forse anche per valori. Una famiglia allargata fatta di disponibilità, umori e contraddizioni esistenziali. Un film che parte allegro, lieve, politico esistenzialmente, ma che nella seconda parte decide di prendere una direzione drammatica e sviluppare il dolore amoroso di una donna nei confronti del suo uomo e della sua amante giovane con cui convive, a un certo punto solo perché sono nella stessa casa. Parte insomma un po’ sull’assunto di Alice’s Restaurant ma non sceglie la leggerezza dell’Arthur Penn… al ristorante di Alice puoi chiedere tutto, tutto tranne Alice.
L’architetto Eric e sua moglie Anna, conduttrice del telegiornale nazionale, decidono di dividere la loro casa, un po’ per i costi troppo elevati di gestione, ma soprattutto perché lei sente un certo grigiore nella vita di tutti i giorni; accolgono nella villa di oltre quattrocento metri quadri, amici e sconosciuti, creando una comune fatta di coppie sposate, amanti, figli e tre single alternativi. La vita della famiglia con Steffen, Allon, Ole, Mona e Ditte inizia felice, si mangia assieme, si fa il bagno nudi, si bevono birre o ci si fa le canne, si litiga bonariamente per i soldi e per la divisione dei compiti, si fanno riunioni serali sulla gestione della casa e si vota ( supponiamo che il regista abbia vissuto da piccolo un’esperienza del genere. Ci informiamo e veniamo a sapere che il regista ha vissuto effettivamente in una comune dai sette ai diciannove anni. Nel film chi osserva tutto sono due, una ragazzina di quattordici anni, Freja e un bambino di sei, Vilads: entrambi dolci, teneri ed equilibrati ). Ma nella seconda parte del film, la storia vira in tutt’altra direzione e vengono a galla tutte le contraddizioni del collettivismo esistenziale ed emotivo e le vite implodono per motivi diversi, mostrando quasi un’impossibilità all’utopia della libertà affettiva e comportamentale. Questo avviene quando l’architetto Erik si innamora di Emma, una sua studentessa ventiquattrenne, e sta pensando di andare via dalla comune; ma Anna invece gli dice di far venire Emma nella comune e dopo relativa votazione la ragazza viene accolta. Ma ben presto gli equilibri saltano perché in realtà Erik vive un rapporto di coppia e non collettivo e Anna inizia a soffrire in maniera indicibile fino a perdere il posto di lavoro, a iniziare a bere e a sragionare…
Vinterberg realizza quasi due film in uno, nella prima parte racconta in modo divertente, lieve e naturalistico i rapporti tra persone che vivono assieme superando anche la naturale solitiudine iniziale, nella seconda parte invece segue i dolori di Anna e riflette sulla complessità dell’animo umano e sulla sua fragilità, sulle difficoltà di mettere in pratica delle utopie. Lo fa sempre con mano lieve e delicata, anche se la disgregazione emotiva di lei è realizzata in modo troppo rapido e dirompente mentre tutti gli altri diventano figurine sullo sfondo. Vogliamo segnalare la delicatezza narrativa della scena finale del piccolo Vilads e anche della conclusione del film.
Un gran bel cast, un’ottima regia, come eccellente è il montaggio.