Abbiamo visto La donna che canta (Incendies) regia di Denis Villeneuve.
Dobbiamo fare una premessa storica, il Libano è stato un Paese ‘felice’ fino alla fine degli Anni Sessanta (fatta eccezione per una breve guerra civile nel 1958 tra Cristiano Maroniti e Arabi mussulmani). Il Libano era un Paese ospitale e cosmopolita, liberale e ‘laico’ e accettò centinaia di migliaia di profughi che scappavano da Israele e la Palestina, quindi sia palestinesi che parecchie migliaia di ebrei. Ma in quella polveriera che è il Medio Oriente, il Paese ebbe una guerra civile iniziata negli Anni Settanta che è durata ben 15 anni, con relativi massacri e ignominie dell’Umanità. C’erano i Cristiano Maroniti, i Mussulmani, gli Arabi Palestinesi, i Drusi nella Valle della Bekaa e i Nazionalisti cristiani. Più o meno come oggi, basta ricordare che l’ultima guerra c’è stata nel 2006 con l’invasione di Israele. Abbiamo fatto questa breve introduzione per aiutare lo spettatore che si troverà quasi subito in un labirinto storico non completamente chiaro nello script del film.
La donna che canta è tratto dall’omonima pièce teatrale del 2003 di Wajdi Mouawad, (attore, commediografo, regista teatrale e di cinema nato nel 1968 in Libano, ma residente da venti anni in Canada), il progetto però lo ha portato al cinema Denis Villeneuve realizzando un (melo)dramma forte e a tratti molto bello, raccontato però in modo freddo e non sempre coinvolgente. Rischiando in alcuni momenti delle ripetizioni e delle sovrapposizioni inutili, con una ricerca di cui gran parte dei fatti raccontati la protagonista non può sapere né ne viene a conoscenza e con una partenza che il finale contraddice (perché si manda qualcuno lontano per cercare qualcun altro che si sa essere vicino?).
Il film inizia nello studio del notaio Lebel, un uomo gentile e generoso, deve leggere ai due figli della signora Nawal – Jeanne e Simon – il testamento della loro madre che è stata per diciotto anni la sua segretaria. Non deve essere stata una madre facile e affettuosa, perché i due giovani non sanno quasi nulla di lei e del suo passato, come non sanno nulla del loro padre. La ragazza è più paziente e ricettiva, il ragazzo invece non vuole sapere niente e vorrebbe andar via senza ascoltare nemmeno il testamento completo. I due gemelli però restano stupiti e scioccati nel sapere che hanno ancora il padre e hanno anche un fratello di cui non avevano nemmeno sentore. Ma la madre non sa dove siano, forse sono ancora in Libano. Simon vuole cancellare tutto e riprendere la vita di sempre, Jeanne invece decide di partire per il Libano con solo una foto della madre di quando era giovane e studentessa universitaria.
Inizia per la giovane donna una ricerca difficile e faticosa nel sud del Libano per conoscere il passato della sua famiglia di cui non sa nulla, e con il viaggio inizia la storia parallela della madre quando era giovane e si è trovata a subire dapprima la morte del fidanzato palestinese ucciso dai suoi fratelli cristiani, poi a dover lasciare il bambino appena partorito e ad andare in un’altra città da uno zio. In questo frattempo scoppia la guerra civile e lei si schiera non con il suo popolo bensì con i palestinesi che stavano subendo torti e massacri. A un certo punto della ricerca di Jeanne, la ragazza sente la necessità di avere accanto suo fratello e anche il notaio Lebel che li aiuta nella scoperta della verità che però non si trova in Libano bensì…
Un buon film, dalle premesse potenzialmente molto alte ma un po’ disattese da qualche farraginosità: c’è il rapporto madre e figli, il bisogno di conoscere le proprie radici, l’accettazione della conoscenza attraverso il dolore, l’orrore della guerra al femminile, la potenza del credere nella pace e nella giustizia, il coraggio dell’obbedienza e della resistenza, il frutto della violenza che si trasforma in amore, dell’intolleranza senza fine. E su tutto c’è il ritratto di una donna dal coraggio raro e dalla forza eccezionale.
Un film originale e fuori dagli standard, coraggioso, diretto con grande eleganza anche nelle scene più crude; con una ottima fotografia, una splendida e parca scelta di canzoni, con un cast credibile e al meglio se non fosse perché alcuni attori non hanno “l’età” coerente con i fatti.