Abbiamo visto “ La legge del mercato “
Un film di Stéphane Brizé. Con Vincent Lindon, Karine de Mirbeck, Matthieu Schaller, Yves Ory, Xavier Mathieu. Drammatico, durata 92 min. – Francia 2015.
La legge del mercato potrebbe avere anche un altro titolo Frammenti di un discorso sul mondo del lavoro, parafrasando Barthes. Brizé fa un racconto algido, ai limiti del documentaristico e privo di una narrativa realmente cinematografica ( salta due momenti topici, quello dell’assunzione dopo venti mesi di disoccupazione e quello della sua presa di coscienza del lavoro di merda che si ritrova a fare malgrado tutto ). Prende come accompagnatore in questo inferno che è diventato il lavoro salariato di basso profilo un uomo oramai nel mezzo del cammin lavorativo che si trova in una selva oscura. Non ha alcuna coscienza di classe, d’altronde chi l’ha più ?, ma è almeno una persona dignitosa, equilibrata, nonostante le porte in faccia che riceve, le proposte ‘ indecenti ‘ che gli fa la sua bancaria ( pensi alla famiglia se dovesse morire, un’assicurazione… ), le ipotesi insensate di professionalizzazione del collocamento e le critiche di altri disoccupati più giovani sull’atteggiamento che lui ha nel proporsi, gente ancora più individualista e scoppiata. Un film duro, freddo come un bisturi chirurgico, senza alcuna concessione ( nemmeno alla Ken Loch o alla Laurent Cantet o ai fratelli Dardenne ) e in fondo senza speranze. Un buon film con un ottimo attore Vincent Lindon ( vincitore della Palma al Festival di Cannes come migliore attore nel 2015 ), anche se troppo presente e quindi lascia pochissimo spazio a tutto il resto ( la moglie, di cui non sappiamo assolutamente nulla, il figlio handiccapato, i colleghi del suo mondo lavorativo ) e non crediamo che sia perché tutti gli attori non sono professionisti e sono stati presi dai reali posti di lavoro. Ma una domanda feroce viene naturale, cosa aggiunge questo film ai vari film sul mondo del lavoro, alla mancanza di morale e di solidarietà tra poveri che esiste oggi in Occidente ? Purtroppo nulla. Anzi aggiunge solo uno sconforto e una malinconia nello spettatore che resta ancor più attonito e senza risposte concrete e plausibili. Perché il regista non ha alcuna intenzione di fare un film ‘ politico ‘, anzi è deciso a non imporre un punto di vista agli spettatori, non vuole convincerli di nulla. Tutto è così come appare, senza alcuna speranza né un briciolo di ottimismo.
Thierry è un uomo di oltre cinquant’anni, ha una moglie e un figlio disabile. Vivono con dignità con il sussidio di disoccupazione da quasi due anni e fra alcuni mesi il sussidio si ridurrà a 500 euro al mese. Ha perso il lavoro dopo 25 anni perché la sua azienda ha ‘ delocalizzato ‘ ( pur non essendo in perdita l’azienda si è traferita in un altro Paese in cui può sfruttare meglio la manodopera a costo più basso ). Ma non si dà per sconfitto, non protesta, vuole semplicemente guardare avanti e trovare un nuovo lavoro. Ha frequentato corsi di formazione che non gli hanno dato nulla e continua la sua ricerca con una calma e una pazienza serafica. Un giorno viene finalmente assunto, in un ipermercato; deve sorvegliare i clienti che rubano ma anche i colleghi che si caricano sulle tesserine i punti premio che i clienti non richiedono e anche le cassiere che invece di buttare i buoni sconto che i clienti usano li mettono in tasca. Tutto procede anche se in modo piuttosto deprimente, tra il fermare poveracci che hanno sottratto qualcosa e portarli in uno sgabuzzino per schedarli, tra monitor che sorvegliano l’immenso supermercato; tutto il giorno così in una vita in un bianco e nero malinconico. Una cassiera che lavora da oltre vent’anni viene licenziata per aver preso dei buoni sconto e lei si suicida nel supermercato, un vecchietto viene fatto arrestare perché ha rubato quindici euro di carne che non può pagare. Thierry sembra assistere a tutto con accettazione se non con sottomissione, ma un giorno il suo senso morale si rifiuta e fa una cosa semplice e naturale ma che in questi tempi sembra un atto di grande coraggio…