La parte degli angeli
Di Ken Loach. Con Jasmine Riggins, Gary Maitland, Roger Allam, John Henshaw, Paul Brannigan. Regno Unito 2012, 106’
Non si può dire che Ken Loach sia un regista comico, ma alcuni dei suoi film offrono momenti tra i più divertenti del cinema britannico. Spesso ha usato dei comici da club in ruoli drammatici mentre altri attori sono riusciti a sviluppare il loro talento comico proprio sotto la sua direzione. Loach, del resto, è un maestro dei repentini cambi di umore e per questo la commedia è presente anche nelle sue pellicole più tristi o drammatiche.
Sullo sfondo della sua ultima collaborazione con l’avvocato scozzese reinventatosi sceneggiatore Paul Laverty c’è la diffusa e apparentemente cronica disoccupazione giovanile, con tutti i drammi e la disperazione che genera. Eppure il tono realistico e umanistico del film non toglie ottimismo al film e La parte degli angeli è una delle sue opere più spiritose, un buon segnale da un regista arrivato a 75 anni, età che per molti suoi colleghi significa declino e amarezza.
La paternità spinge Robbie, un piccolo delinquente, sulla retta via. Lungo la difficile strada della redenzione entra in gioco il dispositivo che riesce a unire l’azione del film con l’umorismo e una morale iconica: si tratta del whisky. In una distilleria, Robbie scopre il suo talento nel distinguere le diverse qualità di scotch e single malt e intravede il sistema per dare un futuro al figlioletto, che comporta tuttavia un ritorno al crimine.
Loach è chiaramente uno di quelli che pensa che la proprietà è un furto e che quindi non c’è niente di male nel rubare un pregiatissimo e rarissimo whisky prima che sia messo all’asta. La politica scorre sotto ogni aspetto di questo film divertente, commovente e abilmente costruito. E alla fine ci si trova a tifare senza riserve per Robbie e i suoi complici.
Il titolo fa riferimento a una parte del whisky, circa il 2 per cento, che evapora durante l’invecchiamento nelle botti. All’inizio serve per una battuta sullo sfruttamento capitalistico, ma che alla fine si trasforma in una metafora di generosità e gratitudine.
Philip French, The Observer