Abbiamo visto “ La regina dei castelli di carta “ regia di Daniel Alfredson.
Non bisognerebbe fidarsi di un giallo che supera oltre le duecentocinquanta pagine, figurarsi se raggiunge le ottocento. E in questo caso il “ giallo “ è diviso in tre volumi di successo mondiale: “ Uomini che odiano le donne “, “ La ragazza che giocava con il fuoco “ e “ La regina dei castelli di carta “, anche i primi due superano le seicentocinquanta e le settecentocinquanta pagine. L’autore Stieg Larsson credo abbia battuto ogni record per raccontare un giallo nemmeno troppo complicato. Come spesso capita, il primo film è nettamente superiore al secondo ( è diretto da un altro regista, Niels Arden Ople ) e così il secondo è migliore del terzo. Terzo film che non cerca alcuno stile, alcuna riflessione sul potere e si limita a una trasposizione pedissequa delle pagine del romanzo di Larsson, quasi temendo che il pubblico non possa capire una storia andando per ellissi: accontenta gli appassionati consumatori di trame e scontenta lo spettatore interessato allo specifico del linguaggio cinematografico. Il primo film denunciava il riverbero dei traumi non pacificati della socialdemocrazia svedese, in questo terzo capitolo la cornice storico-politica si riduce a un giallo televisivo e scompare il valore in più dell’ambientazione nordeuropea e la vastità di un paesaggio anonimo fino all’indifferenza.
Il film inizia dove era terminato il secondo libro e il film, la protagonista Lisbeth Salander ( Noomi Rapace ), è in un letto d’ospedale con una pallottola in testa, sopravvissuta al confronto violento col padre e alla furia del ‘bionico’ fratellastro; sullo stesso piano, in un’altra stanza, è ricoverato l’odiato padre Zalachenko, uomo violento, assassino e spia russa utilizzata da un gruppo svedese segreto. Grazie alla gravità delle ferite e a un gentile medico che l’ha presa in simpatia, per alcuni mesi la ragazza non è raggiunta dalla polizia che la vuole interrogare e arrestare né tantomeno dai servizi segreti deviati che proteggono Zalachenko e vorrebbero mettere a tacere Lisbeth. La ragazza è una minaccia per la Sezione, ramo deviato e criminale della SÄPO (i servizi segreti svedesi) che l’hanno tenuta segregata sin dall’età di dodici anni e fino a che non è riuscita a scappare. Sfinita dagli abusi e dai soprusi, Lisbeth è decisa a rivelare al mondo le mostruosità commesse dal padre e dal corrotto e pedofilo dottor Teleborian, disposto di nuovo a redigere a danno della ragazza una falsa perizia psichiatrica. Per salvaguardare Zalachenko, preziosa fonte di informazioni, e il loro circolo corrotto operativo dagli anni Settanta i “servizi” organizzeranno una violenta rappresaglia. A difesa della verità e della vita di Lisbeth ancora una volta c’è Mikael Blomkvist, il giornalista.della rivista Millennium che indaga sulle colpe del gruppo corrotto, la sua inchiesta cerca prove per denunciare i colpevoli, riportando al centro dell’attenzione e del suo cuore la hacker cyberpunk Lisbeth. Con l’aiuto di molte persone, fra le quali, Dragan Armanskij, amministratore delegato e capo operativo della società di sicurezza Milton Security e coraggiosi agenti della Säpo, si riusciranno a bloccare tutti i tentativi di depistaggio del gruppo che in alcuni momenti sembra prevalere, come quando Lisbeth, guarita, finisce in carcere e deve subire un processo che rischia di riportarla in un manicomio criminale e quando tenteranno di interrompere con minacce l’inchiesta che la rivista Millennium sta concludendo. Dopo tante tribolazioni e pericoli Lisbeth verrà scagionata dalle accuse e liberata e Mikael decide di pubblicare su Millennium un articolo che metterà in crisi i servizi di sicurezza e il governo.
“ La regina dei castelli di carta “ è un film troppo lungo, prolisso, preoccupato di spiegare tutti i dettagli, così preoccupato da perdere qualsiasi fascinazione e originalità, diventando un giallo televisivo con tempi dilatati e grandi spiegazioni. Si ravviva verso il finale, nella fase processuale, durante la quale si sorride anche un po’, Lisbeth Salander finalmente, dopo essere stata una statua di sale solo occhi, si decide a parlare e diventa diretta, precisa e ficcante. Interessante comunque il montaggio della parte finale ( ricorda il finale del Padrino uno ) alternato tra le scene nell’aula del tribunale e i poliziotti buoni che arrestano tutti i complici della Sezione, fino ad arrivare nell’aula di tribunale e arrestare il medico complice.