Abbiamo visto La versione di Barney regia di Richard J. Lewis.
Barney beve come una spugna, fuma sigari Montecristo, ha in gioventù come amici geniali artisti (nel libro vive a Parigi, nel film invece a Roma), anche le tre donne che sposa sono belle e la summa di tre epoche differenti della sua vita, ha una carriera professionale ricca di danaro e bella vita. Eppure Barney, vero uomo senza qualità, senza carisma e fisicamente bruttino, non si rende conto della fortuna che ha avuto nella vita. Il fatto che lo rende simpatico però è l’essere generoso a modo suo, essere diretto, linguacciuto, pronto alla rissa e alla battuta.
Tratto dal bel libro, e di notevole successo internazionale, scritto da Mordecai Richler (scrittore canadese morto settantenne nel 2001 che con Barney ha molto in comune: è canadese, nato nello stesso quartiere, da una famiglia non ricca ebrea, ha vissuto a Parigi, è stato amico di artisti come Ginsberg e Southern e pur in settore differente anche lui ha lavorato per la televisione. Eppure si è sempre ostinato a negare qualsiasi rassomiglianza esistenziale con Barney) il film cambia l’ambientazione temporale dei fatti, li adegua all’oggi, sposta il periodo bohemienne dagli anni Cinquanta francese a quello dei figli dei fiori romano della fine degli anni Sessanta, da un maggiore ordine agli avvenimenti giacché nel romanzo Barney Panofsky impugna la penna per difendersi dall’accusa di omicidio e da calunnie imbarazzanti scritte dal suo vecchio amico Terry Mciver nel libro “Il tempo, le febbri” e quindi la sua memoria divenuta fallibile lo fa andare di qua e di là nel tempo.
Barney Panofsky (un ottimo Paul Giamatti, dalla lunga carriera -misconosciuta- nonostante abbia solo quarant’anni. Lo ricordiamo nel notevole Sideways – In viaggio con Jack di Alexander Payne e Duplicity di Tony Gilroy) è un produttore televisivo di origine ebrea che ha avuto molto successo con le soap opera in Canada, ed è figlio di un simpatico e arzillo ex poliziotto Izzi (Dustin Hoffman). Lo incontriamo al crepuscolo della sua vita, ormai solo, con un rapporto difficile con il figlio e affettuoso con la figlia e con una ex moglie che ama ancora nonostante lei si sia risposata. E’ stato un uomo senza qualità e privo di talento, ma la vita gli ha dato tutto: l’Amore, quello unico, dei bravi figli, degli amici, una carriera professionale che gli ha dato molto danaro e poco impegno. La storia della sua vita si può dividere in tre parti, come tre sono state le mogli. Nella prima, negli anni Sessanta a Roma e un po’ in giro (un po’ ci ricorda Hemingway di Fiesta Mobile), vive alla giornata a Trastevere o giù di lì, tra mansarde incasinate, mostre di pittori, bevute, sballate con droga, e pure sesso a gogò e frequentando amici futuri grandi artisti. Barney vive questa vita senza però esserne protagonista, è solo il buon amico su cui ci si può contare; si sposa anche con una bellissima pittrice ebrea Clara Charnofsky, un po’ folle e dalla vita promiscua che è rimasta incinta non si sa bene di chi ma a cui Barney accetta di riconoscere il bebè. Nella seconda “vita”, è ritornato in Canada ed è alla ricerca di una sua strada; inizia a lavorare come producer televisivo e qualcuno gli presenta una giovane e bella ragazza ebrea figlia di milionari della comunità. Forse quella vita che sta facendo non gli piace e si lascia trascinare in un fastoso matrimonio con una ragazza di cui non prova nemmeno un briciolo d’affetto, al punto che al pranzo di nozze sbevazza col padre in continuazione e si innamora immediatamente di una ospite, Miriam (la brava e deliziosa Rosamund Pike – l’abbiamo vista e recensita nei film An Education, We Want Sex, Terra Promessa di Amos Gitai). Decide di corteggiarla a distanza, mandandole fiori ogni settimana a New York dove lei lavora; e forse organizza il suo divorzio, lasciando nella casa di campagna sua moglie e il suo amico Boogie, tossico ma anche bello e immorale. E proprio nello stesso giorno in cui scopre i due a letto, l’amico cade in acqua e scompare, Barney viene sospettato ma non accusato, ma nel tempo si fa un nemico acerrimo, l’agente investigativo O’ Hearne che pubblica un libro su Barney, e la misteriosa scomparsa dell’amico Boogie (Scott Speedman). Ma la vita di Barney, lo abbiamo già detto, è sfacciatamente fortunata, riesce ad avere un appuntamento con Miriam a New York, e nonostante si presenti ubriaco e vomiti anche l’anima, riesce a conquistarla e diverrà l’amore della sua vita, la donna che gli farà conoscere il vero senso dell’amore, la fedeltà e la passione. Con lei vivrà più di venti anni, avrà due figli (tre nel libro e non riuscirà ad avere con nessuno dei tre un relazione serena) ma la perderà per il caratteraccio che si ritrova e per una scappatella stupida dettata dalla gelosia. Il film termina con Barney… Probabilmente agli aficionados del libro, il film è sembrato tradire l’essenza e la struttura romanzesca; forse è vero ma è anche giusto che il linguaggio e la struttura di un film tradiscano il testo letterario proprio perché sono, un libro e un film, due arti così lontane e così vicine allo stesso tempo. Però, se ci sembra giusto che a dei personaggi del romanzo sia stata tolta o aggiunta qualcosa in più nel film, ci dispiace che alcuni aneddoti (che rendevano Barney “mitico”) siano stati tolti. Un po’ come se a un buon quadro venisse tolta parte ella luce.