Abbiamo visto L’altra verità (Route Irish), diretto da Ken Loach.
Arriva in sordina nelle sale italiane il nuovo film di Loach, con una storia come al solito senza concessioni e senza strizzatine d’occhio ad un pubblico oramai saturo, satollo, indifferente. Con quello che succede in questi giorni, come l’uccisione dei nipoti innocenti del dittatore Gheddafi, il volerlo uccidere solo sei mesi dopo in cui lo si acclamava in maniera imbarazzante per interessi ancora più squallidi, oppure i festeggiamenti dei potenti della terra per la morte a freddo del criminale Osama, l’uccisione di donne e l’arresto di bambini di dodici anni, figuriamoci come può un pubblico-popolo confuso, smarrito, senza più convinzioni, interessarsi ai dubbi di un contractor inglese in Iraq che non accetta che tre vittime innocenti siano state uccise da colleghi per troppa facilità di licenza di uccidere. Ed ecco – in conferenza stampa – Loach insistere nella sua indignazione per l’orrore del mondo e dichiarare “Chiamiamo le cose con il proprio nome: la guerra in Iraq è un crimine. Una cosa illegale, una guerra portata avanti nel nome dell’avarizia”, eppure questa semplice affermazione che nasce dalla capacità di arrabbiarsi sul serio può sembrare oggi il solito lamento di un ‘vecchio’ maestro di Cinema legato ai valori di una sinistra che non esiste più. Per fortuna che ancora qualcuno non si arrenda e insiste “I governi britannici e americani hanno violato le convenzioni di Ginevra, praticando ogni tipo di tortura. E le persone che lo hanno permesso sono proprio Bush e Blair… e oggi l’ex Primo Ministro britannico è ambasciatore di pace in Medioriente!” E noi ci permettiamo di ricordare che Barak Obama ha avuto il Premio Nobel per la Pace.
Quello che ci vuole raccontare Loach – oltre all’orrore della guerra – è che nelle nostre quiete città, senza rendercene nemmeno conto, c’è l’orrore dietro le porte delle case, anche dentro le nostre case, e forzando un po’ il discorso anche dentro di noi. Con un ritmo un po’ lento e mischiando un po’ di cinema civile con il thriller, la storia inizia nel 2007 a Liverpool, un contractor Frankie (John Bishop) – in questo caso un mercenario buono e simpatico, militare in congedo e con un’etica – torna in una bara. Il suo fraterno amico, Fergus (Mark Womack) colui che lo ha mandato in Iraq, insistendo, per fargli guadagnare un po’ di soldi, si sente in colpa per quello che è successo, ma è anche stanco delle guerre e delle sofferenze che ha provocato e vissute fino a quel momento; passa il tempo bevendo e standosene da solo al pub o in casa. Al funerale la moglie di Frankie gli consegna qualcosa che il marito voleva che avesse: un cellulare con immagini, mail e telefonate in arabo. Da qui si apre allo spettatore il mondo di soldati privati, delle società che guadagnano milioni grazie alle guerre, di quello che ancora succede in Iraq. Ma ci sono mercenari e mercenari, qualcuno conserva un po’ di morale, altri sono senza scrupoli e pur di guadagnare uccidono e fanno uccidere anche loro compagni di guerra. Dopo il funerale Fergus decide di svolgere delle indagini perché tutto va contro la versione ufficiale. E’ in questa ricerca (piuttosto evidente tranne che per il protagonista) scatta anche un amore impossibile tra Fergus e la vedove dell’amico, Rachel. E alla fine i cattivi pagano, ma anche “i buoni” pagano un prezzo, per scelta volontaria; ma è un po’ intellettualistico, tenendo conto dei protagonisti.
Loach è un regista amato e rispettato, ha fatto dei gran bei film e qualcuno meno riuscito ma sempre realizzato con originalità, ‘moralità’ e coerenza. Ma quest’ultimo ha disorientato la critica e il suo pubblico fedele, ha spiazzato soprattutto il voler mischiare nell’opera la tensione e la violenza di un film thriller con le tematiche del Cinema politico e civile. Ben riuscita – come sempre – invece è il ritratto che esce fuori dalle esistenze semplici e ambigue allo stesso tempo di questi personaggi e dei loro familiari. Bella ed efficace una delle ultime battute del protagonista “Criminali che si vendono come puttane, questo siamo noi. Rivoglio indietro un pezzetto dell’uomo di prima”.