Anche se non ancora ufficiale, i festeggiamenti dei militanti e degli elettori del FMLN nelle piazze di San Salvador hanno il sapore di una vittoria ormai certa. Gli ultimi dati divulgati dal Tribunal Supremo Electoral parlano chiaro. Il Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional è in vantaggio di dieci punti percentuali sul secondo partito, l’Alianza Republicana Nacionalista, con un distacco di circa 300.000 voti ed il partito ha già conquistato 13 dipartimenti su 14 e 190 municipalità su 262. E’ il miglior risultato elettorale di sempre per il FMLN.
L’unico neo è l’aver mancato la soglia del 50% di un soffio. Per l’investitura definitiva sarà quindi necessario aspettare il secondo turno, che si terrà probabilmente il 9 marzo. Ma il morale tra le fila del partito è alto, l’entusiasmo dei militanti avvolge la capitale e le piccole comunità locali e pure le divisioni all’interno della destra salvadoreña non confermano che questa tendenza.
“Vamos a la segunda vuelta con el objetivo de mantener y sobre todo aumentar los votos hacia el FMLN” ha twittato qualche ora fa Sánchez.
Un lungo passato di guerra
Dopo il caso di José Mujica, Salvador Sánchez Cerén è il secondo ex-guerrigliero che potrebbe assumere la presidenza in un paese dell’America latina. Figlio di artigiani, dopo gli studi alla Escuela Normal, nel 1970 Sánchez partecipò alla formazione Fuerzas Populares de Liberación, il primo gruppo armato della sinistra salvadoreña. All’epoca la lotta ideologica tra destre e sinistre che stava lacerando l’America latina non risparmiò El Salvador, che sprofondò presto in una spirale violenza, autoritarismo e scontri armati. Nel corso degli anni Settanta, le conseguenze dellaGuerra del fútbol contro Honduras, le dure restrizioni sulle libertà individuali e le forti disuguaglianze tra le comunità contadine e il piccolo mondo imprenditoriale acutizzarono i già enormi problemi sociali, radicalizzando il malcontento della popolazioni e portando al sorgere di gruppi guerriglieri. Nel 1972, in un contesto di scontro interno tra le destre e alcune fazioni dell’esercito, veniva eletto presidente il colonnello Arturo Molina che restò in carica fino al luglio del ’77, quando venne succeduto dal generale Carlos Romero. A partire dalla sua presidenza, i gruppi paramilitari, molto vicini al governo e al presidente, diedero vita ad una cruenta violenza di stato, picchiando sindacalisti, torturando insegnanti e membri dell’opposizione e assassinando studenti, come nel tragico masacre de las gradas de catedral del maggio 1979. Da quell’anno lo scontro tra il governo di destra e l’opposizione di sinistra degenerò in una guerra civile che si è combattuta fino agli accordi di pace di Chapultepec del 16 gennaio 1992. Il 10 ottobre 1980, in risposta allo scoppio della guerra contro le forze armate dello stato, nasceva il FMLN: un organismo di coordinamento delle cinque organizzazioni guerrigliere che lo componevano, di cui faceva parte il FPL. Nell’aprile del 1983, dopo la morte dei due leader principali, Sánchez, conosciuto con lo pseudonimo guerrigliero di Leonel González, fu eletto segretario del FPL ed entrò nel Comando generale del FMLN. Tra il ’90 e il ’92, a nome dell’organizzazione, partecipò agli accordi di pace voluti dall’ONU che sancivano la fine della guerra e la transizione del FMLN da gruppo guerrigliero a partito. Eletto per la prima volta in parlamento nel 2000, tra il 2001 e il 2004 è stato coordinatore del partito e successivamente Ministro della Pubblica Istruzione, promuovendo programmi a sostegno delle fasce più deboli ed implementando gli investimenti per le infrastrutture scolastiche. Attualmente è il vice del presidente Mauricio Fuenes.
Il contesto geopolitico e i problemi interni
Nel 2012, quando annunciò la sua candidatura, in molti mossero dubbi. Da un lato, la destra puntava il dito contro il suo passato di guerrigliero, da un altro pezzi del suo partito criticavano la radicalità delle sue posizioni in ambito politico ed economico. Ciononostante Sánchez Cerén, nel cammino verso la candidatura, ha dimostrato una notevole capacità di dialogo, costruendo un percorso inclusivo e incentrato fortemente su tematiche fondamentali come la redistribuzione della ricchezza, la tutela dell’ambiente e il miglioramento del sistema sanitario, al centro del suo programma elettorale “El Salvador Adelante”.
A fare da cornice alla sua campagna elettorale, è stato il nuovo contesto geopolitico nel quale El Salvador è inserito: un contesto assai diverso da quello in cui Sánchez Cerén mosse i primi passi tra le fila del FPL. Il lungo percorso di integrazione regionale e accordi internazionali intrapreso negli ultimi vent’anni ha ridisegnato l’atlante geopolitico continentale, riservando anche al piccolo El Salvador possibilità e speranze concrete. Nell’appena conclusa conferenza della Comunità degli Stati Uniti Latinoamericani e caraibici (CELAC), quasi tutti i capi di stato partecipanti hanno auspicato la vittoria del FMLN, salutandola come una svolta importante per i “destinos comunes” del continente. Ma al di là di questo apparente futuro, sui destini di Sánchez Cerén pesa come un macigno il problema della criminalità organizzata. Attualmente El Salvador è uno dei paesi più pericolosi al mondo. Protagoniste di una catena lunghissima di violenze sono le gang Barrio 18 e Mara Salvatrucha, gruppi rivali nati nelle carceri della California meridionale, che da anni si fanno la guerra per le strade di El Salvador. Nel 2011, uno degli anni più sanguinosi dalla fine della guerra civile, nel paese si sono registrati oltre 4.000 omicidi su una popolazione di sei milioni e trecentomila abitanti circa, in pratica settanta ogni centomila abitanti. Di fronte a quell’escalation di violenza, secondo fonti non ufficiali, il governo di Fuentes ha cominciato a trattare direttamente con le gang, attirandosi le critiche di gran parte della società.
Tra le promesse di un continente in trasformazione e i problemi reali che attanagliano El Salvador, la sfida che oggi attende Sánchez Cerén, e tutto il FMLN, è tutt’altro che facile. Ma sullo sfondo della sua candidatura campeggiano le speranze di un cambiamento possibile e il sogno di uguaglianza che accompagnò sempre Agustín Farabundo Martí. L’uomo che al partito ha dato il nome, la vita e pure il fucile contro i soprusi dei generali del suo paese.