Daraya è una città di circa 70mila abitanti a otto chilometri da Damasco, nella zona conosciuta come Rif Dimasq, la periferia estesa della grande capitale della Siria. Daraya è una città simbolo della Rivoluzione siriana. Qui dal marzo del 2011 – ma in città era forte il focolaio del dissenso anti regime già dalla fine degli anni Novanta – gli abitanti sono insorti contro il rais Bashar al Assad, chiedendo senza sosta diritti e democrazia e la città è divenuta uno dei centri e dei motori della dissidenza in Siria. A seguito della violenta repressione del regime sui manifestanti, parte della popolazione si arma per difendere la città, i giovani che fino a quel momento studiavano all’università prendono per la prima volta un fucile in mano e formano delle brigati combattenti contro l’esercito di Assad. Per questo motivo, nel novembre del 2012 il regime decide di stringere la città in un assedio feroce che durerà quattro lunghissimi anni, fino al 25 agosto del 2016 quando la città martire stremata si arrenderà alle truppe lealiste. Daraya diviene, durante gli anni del suo assedio, il simbolo della resilienza e della resistenza del popolo siriano. Daraya come un modello unico di governo, in cui i civili, nonostante la guerra, mantengono il controllo sui mi

Nelle televisioni e nei media di regime la città continua a essere dipinta come una roccaforte di terroristi, un covo che deve essere sradicato a ogni mezzo.

Delphine Minoui, – giornalista francese che da vent’anni vive e si occupa di Medio Oriente, autrice tra gli altri di Je vous écris de Téhéran – nell’ottobre del 2015, mentre la città viene lentamente rasa al suolo dai barili bomba sganciati dagli elicotteri dell’esercito, è al lavoro nella sua casa di Istanbul. Davanti al desk del suo computer viene a conoscenza dell’esistenza, in quel luogo assediato da cui riescono con sempre più difficoltà ad arrivare notizie, di una biblioteca segreta creata e tenuta in vita tra rischi enormi da un gruppo di giovani del posto. Su facebook, nella pagina di Human of Syria, vede un’immagine che la cattura.

L’immagine è strana. Una foto enigmatica, senza traccia di sangue o proiettili, scampata all’inferno siriano. Due uomini di profilo, circondati da muri di libri. Il primo si china su un volume aperto a metà. Il secondo scruta uno scaffale. Sono giovani, sulla ventina, uno ha una giacca sportiva gettata sulle spalle, l’altro un berretto ben calcato in testa. Nel locale, privo di finestre, la luce artificiale che lambisce il loro viso accentua l’incongruità della scena. Come un fragile respiro tra gli interstizi della guerra. 

Davanti a quell’immagine la giornalista francese sa che deve riuscire a mettersi in contatto con quei ragazzi. E così si apre Gli angeli dei libri di Daraya (ed. La Nave di Teseo. Traduzione di Vincenzo Vega.) il racconto della lunga corrispondenza che Delphine Minoui riesce a scambiare per lunghi mesi con i giovani della biblioteca della città ribelle. Un documento testimonianza che porta alla luce una pagina eroica del violentissimo conflitto che ha lacerato il territorio e la popolazione siriana. Una storia, quella della biblioteca di Daraya, che assurge a metafora universale della lotta per la difesa della libertà dell’uomo assediato dalla tirannide. I libri e le parole come scudi contro la violenza del pensiero unico, contro la dittatura della censura e della repressione come pratiche sistematiche dirette a ogni forma di dissenso.

Ahmad, Shadi, Hussam, Omar, portano in salvo i libri che trovano nelle case bombardate e abbandonate di Daraya. Scavano tra le macerie e salvano quelle biblioteche deturpate da una storia troppo violenta e danno alle parole contenute in quei libri coperti dai calcinacci delle esplosioni nuova dimora e nuova vita, nella mente e negli occhi delle persone che potranno ancora leggerli.

È nello scantinato di uno dei palazzi ancora in piedi della città, che i ragazzi decidono di creare uno spazio che possa ospitare i libri salvati e che possa diventare un rifugio per tutte le persone assediate di Daraya. Senza acqua corrente, elettricità, cibo, beni di prima necessità, senza medicinali e senza alcun riparo potranno sempre entrare in quelle stanze buie e fredde, illuminate dal calore delle parole. Un faro nella lunga notte dell’assedio.

Vedono gli amici morire, le famiglie disperdersi, le case sbriciolarsi, la vita allontanarsi mentre corrono tra le macerie per salvarsi dall’ennesima esplosione. Nei libri trovano la pace e la certezza che il loro sogno, l’immagine di un paese più libero e democratico possa divenire realtà. Resistono all’orrore con coraggio e fermezza. Con dignità.

Tra i volumi salvati dalle case di Daraya i ragazzi ne scoprono uno sulla storia dell’assedio di Sarajevo e sulla distruzione dell’antica biblioteca della città – nella notte tra il 25 e il 26 agosto del 1992 – quando andarono in fumo sotto le bombe dell’esercito della Republika Srpska un milione e mezzo di volumi. Leggere di quegli anni terribili di assedio della capitale della Bosnia Erzegovina, leggere del coraggio e della forza di quegli abitanti che resistettero dona ai ragazzi la forza per non morire durante i giorni del loro dolore.

In ogni tempo, in ogni luogo, il tiranno si è accanito su chi difende il pensiero e la sua libertà, la sua molteplicità. Questa è l’ora della nostra resistenza, si dicono i ragazzi.

Delphine Minoui dall’ottobre del 2015 segue il destino dei giovani eroi dei libri. Tra pericoli, isolamento, morte, abbandoni e orrore il filo che tiene uniti i giovani assediati al mondo riesce a non recidersi mai. Questo libro racconta la loro storia.

Ne abbiamo parlato con l’autrice.

Gli angeli dei libri di Daraya è un libro sulla storia di una città ribelle assediata dal regime siriano ed è anche un libro sulla capacità dell’uomo di resistere alle privazioni più violente grazie alla fede nella parola. Ogni regime si è sempre accanito contro i difensori della libertà di pensiero e di parola. Perché, a suo avviso, questa forza democratica che è stata motore della Rivoluzione siriana non è stata difesa a livello internazionale quando ancora si potevano forse cambiare le sorti del conflitto?

Questo movimento pacifico e non violento che ha portato alle prime manifestazioni del 2011 (incluse quelle di Daraya, dove i dimostranti diedero fiori e bottiglie d’acqua ai soldati che stavano sparando loro addosso) in realtà nelle sue primissime fasi fu ben supportato a livello internazionale. Però, più avanti, la rivoluzione ha sofferto a causa di diverse circostanze. In primo luogo la dura violenza del regime di Bashar Al Assad e la sua industria di torture e uccisioni. In secondo luogo la ritirata di Barak Obama dal Medio Oriente (ricordiamoci il 2013, quando si tirò indietro dopo avere promesso una rappresaglia contro l’uso da parte di Assad del gas chimico sulla sua stessa gente). Questo atteggiamento ha creato un clima di impunità che sta interessando la Siria a tutt’oggi (guarda cosa sta succedendo nella Ghouta orientale, civili assediati uccisi dai barili bomba e dai gas chimici, e tutto che sta diventando tristemente una routine)… Terzo, l’ascesa di Daesh a partire dal 2013. Quarto, l’intervento russo iniziato nel 2015. A causa di tutti questi elementi, il movimento non-violento è stato lasciato solo, vittima sia del regime che degli estremisti.

I ragazzi della biblioteca segreta di Daraya non hanno mai smesso di credere nel dialogo e nella forza della parola anche nei giorni più bui dell’assedio. Cosa ti hanno insegnato i mesi della vostra corrispondenza, quando sei divenuta la testimone privilegiata di questa pagina eroica e spesso mistificata della storia siriana?

La cosa che mi ha sempre meravigliato è come a dispetto dell’assedio e degli intensi bombardamenti (a volte ricevevano anche 80 barili bomba al giorno), loro erano sempre fermi nei loro propositi di non violenza. Hanno continuato a opporre la bellezza delle parole alla violenza delle bombe. Non erano mai stanchi, desiderosi di resistere, di imparare, di leggere, di organizzare ogni sorta di dibattiti per creare un domani migliore per loro. Non si sono mai arresi. La loro forza erano i loro pensieri. Le loro armi erano le loro idee. I libri erano i loro migliori compagni. Hanno iniziato leggendo libri di teologia, poesia, filosofia, ma anche romanzi come L’alchimista di Paulo Coelho. Erano disconnessi dal resto ma i libri li riportavano più vicini al mondo. In quei libri potevano trovare risposte alle loro disperazioni, idee per vincere la paura, consigli. Hanno anche imparato molto. I libri sono diventati le loro armi di istruzione di massa. Anche militari anti-Assad si unirono alla biblioteca. Uno di loro, Omar, che è stato poi ucciso, era solito dirmi: i libri ci stanno aiutando a rimanere umani. Ci stanno tenendo in vita.
Che lezione bellissima di umanità!

Ahmad, Shadi, Hussam, Omar hanno tenuto un libro come scudo nei momenti più dolorosi dell’assedio: La conchiglia di Mustafa Khalifa, documento importante per la storia della dissidenza siriana, in cui l’autore perseguitato dal regime di Assad padre racconta i tredici anni di orrore trascorsi nel carcere di Palmira. I ragazzi lo stringono come fosse un’arma protettiva, contro gli sradicatori della memoria, i rais del pensiero unico. Può la lingua la parola restituire una giustizia mancata dalla Storia?

Questo libro ha giocato un grande ruolo per loro. Racconta nel dettaglio l’orrore della prigione, della tortura, attraverso le quali sono passate le generazioni precedenti di attivisti e dissidenti. Ahmad, Shadi, Hussam and Omar erano così giovani all’inizio della rivoluzione. Avevano a malapena vent’anni. Cresciuti in una cultura di silenzio e di paura, non sapevano così tanto della profonda, reale, violenza del regime, di questa macchina industriale per torturare e distruggere qualsiasi dissidente. Così questo libro ha aperto le loro menti. È diventato un riferimento, un catalogo dettagliato degli orrori commessi dal regime. In tempi di dubbio e di fatica estrema, questo libro gli ricordava perché si stavano opponendo e stavano combattendo contro il regime.

 

Nel libro fai riferimento anche a Ghayat Mattar, “il piccolo Gandhi”. Ci puoi parlare della sua storia?

Ghayat Mattar è stato un attivista siriano e uno dei più importanti leader delle dimostrazioni pacifiche di Daraya iniziate nel 2011. Lui fu quello che ebbe l’idea di dare bottiglie di acqua e rose ai soldati che stavano sparando sui dimostranti. Velocemente si conquistò, tra i suoi amici, il soprannome di “piccolo Ghandi”. Ghayat è stato arrestato il 6 settembre del 2011 dalle forze di sicurezza. Quattro giorni dopo il suo corpo fu restituito alla famiglia con chiari segni di cicatrici e piaghe dovute alla tortura. Aveva solo 26 anni.

 

Mahmoud Darwish è un’altra tra le letture irrinunciabili dei ragazzi durante l’assedio. Da Stato d’assedio (la poesia è stata scritta da Darwish durante l’assedio di Ramallah da parte dell’esercito israeliano nel 2002) Ahmad recita passaggi. Come se la parola potesse divenire il luogo poetico di memoria e libertà in assenza di una terra fisica in cui fare esperienza di un pensiero senza oppressori. È così? 

Leggendo ancora e ancora Stato di assedio, i ragazzi di Daraya hanno trovato un modo per alleviare le loro sofferenze. Erano in grado di rompere il loro isolamento leggendo l’esperienza dell’assedio di Ramallah descritto in questo bellissimo lungo poema scritto dal famoso poeta palestinese Mahmoud Darwish. Per loro, questa poesia era come uno specchio. Era un modo per riflettere i loro sentimenti in un momento in cui le energie per trovare parole proprie venivano loro a meno. In questa misura la poesia gioca un ruolo importante nell’immortalare un evento, nel tenerlo in vita. È come un memoriale scritto.
Il potere delle parole contro il potere delle armi.

 

Ora la memoria della Siria e della sua rivoluzione risiede in larga parte nella diaspora, trasportata nelle voci e nelle vite degli esiliati siriani in Turchia, in Libano, in Grecia, nelle capitali dell’Europa continentale, nei Balcani. Per la tua esperienza, in che modo dove e su quali basi si potrà scrivere un futuro pluralista e democratico per la storia siriana?  

Dopo sette anni di guerra, così tanto è andato distrutto, compresa le belle idee della primavera del 2011. Centinaia di migliaia di persone sono state uccise. Milioni di persone sono sfollate o in esilio. Oggi, solo un siriano su due ancora vive nella sua casa. Per ora, la rivoluzione è in attesa. Più di qualsiasi altra cosa la Siria è una zona di guerra. Ma gli attivisti siriani, che siano all’estero o ancora in patria, credono ancora nel concetto della rivoluzione. Come dice Ahmad: possiamo distruggere una città, non possiamo distruggere le idee. Le idee rimangono in vita. Spesso citano la Rivoluzione francese come riferimento, ampiamente consapevoli che la loro rivoluzione è una maratona, con molti ostacoli e inconvenienti, non uno sprint. Sono realistici, potrebbero anche non vedere il risultato della loro battaglia prima di morire, ma sperano che la nuova generazione possa costruire un futuro migliore traendo lezioni dalle loro esperienze per guidare un nuovo movimento, o una nuova sollevazione. A dispetto del risultato buio, continuano a credere in un futuro migliore. E più di ogni altra cosa, non rimpiangono cosa è successo. Opporsi ad Assad ha rotto il muro della paura. Ha aperto una nuova arena di dibattito, di critiche. In Siria, nessuno accetterà ancora di rimanere in silenzio.

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