Nel 2000 il regolamento penitenziario italiano stabiliva che entro il 2005 tutte le celle dovessero avere una doccia: regolamento allo stesso tempo ritardatario e ottimista. Ventuno anni dopo l’associazione Antigone è entrata in 67 carceri e ha potuto verificare che fine abbia fatto quella norma: in una galera su tre di quelle visitate non ci sono docce nelle celle.
E del resto, anche se le docce ci sono, può capitare che manchi l’acqua. “Nella casa circondariale di Frosinone”, scrivono i ricercatori dell’associazione in un nuovo rapporto, “sono stati segnalati frequenti episodi di mancanza di acqua corrente”. Nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove il 6 aprile 2020 la polizia penitenziaria ha picchiato brutalmente i detenuti che avevano protestato per chiedere più protezione contro il coronavirus, non c’è alcun allaccio idrico, per cui tutto ciò che esce dai rubinetti non è potabile. In compenso è “particolarmente ferroso e di colore torbido”. Nell’istituto di Borgo San Nicola, a Lecce, per due giorni insieme all’acqua è andata via anche la luce. Era la fine di giugno e le temperature nella zona sfioravano i 40 gradi.
L’acqua non è l’unica cosa che manca: “Nel 42 per cento degli istituti oggetto del monitoraggio”, dice Alessio Scandurra di Antigone, “sono state trovate celle con schermature alle finestre che impediscono passaggio di aria e luce naturale”.
Nelle galere l’aria che tira, quando tira, è questa. E questa è l’estate che vivono le persone che ci sono rinchiuse.