[Alcune settimane fa Giacomo Raccis e Paolo Di Paolo hanno pubblicato un sondaggio intitolato I vecchi e i giovani, uscito sul numero 7 della rivista «Orlando esplorazioni». Su LPLC sono stati pubblicati i risultati e una introduzione; nello spazio dei commenti si è creata una discussione sul senso e sul metodo dell’iniziativa. Da qui è venuta l’idea del questionario che pubblichiamo oggi.
Il sondaggio di «Orlando» si riferiva a un segmento temporale preciso (i nati fra il 1945 e il 1965). Ragionare su una ottica generazionale e su autori viventi, ma già affermati, ha senz’altro alcuni vantaggi. Ciononostante, si possono fare due riflessioni. La prima è che così si escludono automaticamente autori non più viventi, ma che sentiamo ancora come contemporanei, nonché scrittori e poeti dall’esordio tardivo. La seconda è che questo criterio induce a fare una previsione sulla lunga durata, ma non a prendere la parola su autori la cui formazione è più vicina a quella degli intervistati. Nella storia della letteratura la cronologia è importante, ma lo è anche la sincronia delle opere. Da queste due considerazioni sono derivate alcune delle domande che seguono.
Altre parti del questionario rappresentano un tentativo di approfondire o di precisare aspetti metodologici del sondaggio di partenza: cosa si intende con successo, in riferimento a un libro? Quanto contano l’alto numero di vendite o il consenso critico, perché un’opera sopravviva nel tempo? Quali sono i luoghi che ne veicolano la diffusione, quali le forze del campo letterario che appaiono più rilevanti a chi ne fa parte? Gli interventi che proponiamo non pretendono di rispondere a queste domande; ma potranno essere utili per una ricognizione futura. E, ci auguriamo, per innescare un dibattito.
Le prime risposte al questionario si possono leggere qui e nei post a seguire.]
Cecilia Ghidotti
1) Partiamo dalla domanda del sondaggio di «Orlando»: «Chi tra gli scrittori che oggi hanno tra i quarantanove e i sessantanove anni continueremo a leggere in futuro?». Tu come risponderesti, e per quali motivi? Ti chiederei anche di spiegare cosa, secondo te, inciderà di più per il loro successo.
La maniera più immediata per rispondere a questa domanda sarebbe: continueremo a leggere gli autori che continueranno a scrivere. Chiunque conosca anche minimamente le dinamiche del mercato editoriale non può che concordare su due constatazioni: la vita delle nuove uscite si è accorciata notevolmente rispetto al passato e sono ormai trent’anni che, nei piani editoriali, la cura del catalogo è relegata in secondo piano, con tutta una serie di conseguenze che numerosi studi e indagini recenti hanno illustrato (da Editoria senza editori di Schiffrin, al numero speciale della rivista Verri sulla bibliodiversità, a Come finisce il libro di Gazoia). Tuttavia la domanda presuppone diversi livelli di risposta, a partire dalla scelta di usare un verbo alla prima persona plurale –leggiamo – che chiama in causa una collettività di soggetti. Il sondaggio di Orlando si rivolgeva per lo più a studiosi e dottorandi e a destinatari analoghi è indirizzata questa seconda fase dell’inchiesta. Quindi la risposta non può, a mio parere, non tenere conto della condizione soggettiva di chi si esprime, in questo caso una persona di trentuno anni che ha recentemente completato il dottorato di ricerca e non ha al momento prospettive che la portino a rimanere in ambito universitario, italiano o estero, se si esclude una scelta volontaria e del tutto sganciata dall’aspetto della sopravvivenza materiale. Di conseguenza può essere utile riflettere sul fatto che sarà una piccola parte di quel noi per la quale sussisteranno in futuro le condizioni materiali perché si continui a leggere, se con leggere ci si riferisce, come mi sembra chiaro, non tanto all’atto personale di lettura, quanto ad un esercizio critico approfondito ed una restituzione che si pensa pubblica delle proprie letture. Quindi una parte di noi continuerà a leggere in futuro secondo questa accezione specifica, gli altri nei modi che una lettura personale presuppone.
Un’altra questione riguarda i lettori. Chi sono i lettori per i quali ci si propone di individuare gli scrittori che continueremo a leggere nel futuro? Gli studenti dei corsi di laurea in Lettere? I lettori forti? Chi legge un solo libro l’anno?
I risultati dell’inchiesta di Orlando restituiscono quello che mi pare un panorama ibrido dal momento che tengono conto, senza tematizzarlo esplicitamente, dato che le forme del questionario non lo permettevano, sia di un livello mainstream (come testimoniano i nomi di Baricco, Piccolo, Veronesi, De Carlo, Carofiglio, Tamaro, Ferrante, Benni) che di scrittori decisamente meno conosciuti (come Rastello o Trevisan), mentre non mi pronuncio sul versante della poesia perché non ho una conoscenza abbastanza approfondita in materia. Anche a mio parere le figure di Siti e Moresco sono centrali nella mappa delle scritture contemporanee, perché hanno una storia che bilancia un lungo percorso autoriale (per lo più incentrato sulla modulazione peculiare e personalissima dell’autofiction) con riconoscimenti in quei luoghi istituzionali – come il Premio Strega – che, seppur soggetti a crisi periodiche di credibilità, costituiscono comunque passaggi necessari per essere legittimati come autori di riferimento. Per Moresco il discorso è parzialmente diverso dal momento che la costruzione della sua identità autoriale è passata attraverso un burrascoso rapporto con quell’industria editoriale che l’ha infine riconosciuto ed accolto, tuttavia anche nel suo caso mi pare si possa parlare di uno scrittore ormai solidamente affermato. Quindi, sul versante che guarda ad un’ipotesi di costituzione di un canone futuro, credo che Siti e Moresco, dopo essere stati legittimati dalla critica, diverranno (o probabilmente sono già divenuti) oggetto di studio dei corsi di letteratura contemporanea e i loro romanzi saranno assunti come esempi di una generazione matura degli inizi del nuovo millennio.
Guardando invece al versante di una fruizione maggiormente popolare e alla letteratura di genere, ai nomi presenti nell’inchiesta di Orlando, vorrei aggiungere quelli di Lucarelli, De Cataldo e Evangelisti. I primi due perché sono stati centrali nell’affermazione del noir italiano dalla seconda metà degli anni novanta in avanti e, pur con i limiti e le semplificazioni di una letteratura di consumo, hanno svolto un constante lavoro di rielaborazione in chiave narrativa (o di inchiesta giornalistica a forte dominante narrativa come nel caso del Lucarelli dei Misteri d’Italia) del passato recente. Evangelisti invece non solo è un autore cardine per il fantasy e per il romanzo storico, noto e riconosciuto a livello italiano e internazionale, ma anche uno degli scrittori sul cui corpus si può registrare esercitato un riconoscibile esercizio transmediale da parte di comunità organizzate di lettori, una tipologia di consumo produttivo che vanta pochi altri esempi in ambito italiano.
Infine da un punto di vista personale (cioè meno legato ad un’analisi delle forze in campo che potrebbero determinare la permanenza di alcuni scrittori) due autori che mi auguro di continuare a leggere in futuro sono Luca Rastello e Ermanno Cavazzoni. Rastello perché è scrittore e giornalista capace di fondere scrittura di reportage e coinvolgimento emotivo (La guerra in casa, 1997), mentre con Piove all’insù (2006) ha scritto quello che è probabilmente il miglior libro sugli anni settanta italiani, non un romanzo di un reduce sul passato ma sul lavoro della memoria e sulle condizioni che hanno generato le condizioni socioeconomiche del nostro presente. Mi auguro di continuare a leggere Cavazzoni per la condizione di spaesamento in cui i suoi libri precipitano. Sapere che tali scritture esistono e sono attingibili corrisponde ad una possibilità di rovesciamento e di inversione continua della mappa del mondo in cui ci troviamo ad esistere.
2) Dove hai sentito parlare per la prima volta di questi autori, e da chi?
Le lettura di Siti e Moresco risalgono al periodo del dibattito su New Italian Epic e Ritorno al Reale. Siti veniva frequentemente citato da quegli studiosi che intendevano – giustamente – ribadire, come ha fatto anche lo stesso Siti, che realismo non corrisponde a pura referenzialità, mentre Moresco l’ho letto su Nazione Indiana e su Il primo amore. Anche Evangelisti è arrivato attraverso la mediazione di una rivista online, Carmilla, sulla quale ho letto alcuni suoi interventi, prima dei romanzi. Cavazzoni, prima che scrittore, è stato un docente. Il suo corso del 2008, che partiva dall’antologia Storie di solitari americani (a cura di Benati e Celati) e in particolare la lettura del Bartleby di Melville, è una delle fonti che hanno ispirato Bartleby, spazio sociale e culturale nel quale hanno trovato spazio, prima che l’Università di Bologna decidesse di porre fine alla sua esistenza, una miriade di iniziative cui hanno partecipato un gran numero di autori e critici (qui Cavazzoni legge Raffaello Baldini).
La lettura di Piove all’insù è arrivata invece come il risultato di una ricerca specifica: cercavo romanzi sugli anni settanta italiani e tra i molti c’era anche quello di Rastello.
3) Secondo te quale genere letterario è destinato ad avere fortuna nei prossimi anni? Poesia, romanzo, scritture ibride?
Anche in questo caso varrebbe la pena di chiedersi cosa significhi fortuna, per chi, in che contesto geografico. Fortuna rispetto ad un grande numero di lettori o fortuna in termini qualitativi? E ancora: cosa significa qualità letteraria, oggi nel 2015? Quali sono le agenzie che la determinano? Non mi sento in grado di formulare previsioni sulla permanenza di un genere letterario. Certamente in Italia, ma non solo, negli ultimi anni si sono diffuse forme miste di fiction e non fiction, ma non saprei dire se questo basti ad indicare una dominante per il futuro. Rispetto alla sopravvivenza della forma romanzo dopo la stagione delle avanguardie è certo vero che negli ultimi trent’anni, nel contesto italiano soprattutto, abbiamo assistito ad una sua ripresa, ma anche in questo caso davvero fatico ad azzardare ipotesi che vadano al di là della constatazione che, nell’ambito della grande editoria, la ricerca del bestseller o megaseller passa quasi necessariamente attraverso la messa a punto di una trama avvincente.
4) Nell’arco di un decennio possono essere pubblicati libri che entrano a far parte di uno stesso dibattito critico, e che però sono stati scritti da persone nate in momenti molto diversi.
Quali autori consideri significativi – rilevanti dal punto di vista delle categorie critiche con le quali interpreti la letteratura – fra quelli che hanno pubblicato libri fra il 1990 e il 2015?
Quando, nella fase preparatoria di questa fase dell’inchiesta, ho proposto di inserire una domanda di questo tipo probabilmente non avevo riflettuto abbastanza sulla difficoltà di elaborare una risposta che non può che muoversi lungo alcune linee generali e rimandare eventualmente a ulteriori momenti di approfondimento. In assenza di sistemazioni storico-critiche stabili (e non perché non esistano riflessioni sulla letteratura contemporanea, ma al contrario perché ne esistono moltissime e il discorso su storia e tendenze degli ultimi venticinque anni di letteratura italiana sta ancora sistematizzandosi) è forse possibile individuare alcuni momenti significativi, che corrispondono all’emersione di costellazioni di autori, più che di voci singole. Un’ipotesi potrebbe essere quella che guardi a momenti antologici come veicolo di mutamento in ambito letterario (Lanslot e Jansen, 2007). Faccio riferimento in primo luogo alla filiera che, dagli esperimenti delle antologie tondelliane dei primi anni novanta (che hanno visto gli esordi di Silvia Ballestra, Giuseppe Culicchia o Giulio Mozzi), risale, transitando attraverso l’esperienza dei Cannibali (Niccolò Ammaniti, Aldo Nove) fino alle antologie di minimum fax, da La qualità dell’aria (2004), a Dove siamo (2009) fino alla recentissima L’età della febbre (2015).
Proprio nell’introduzione all’antologia del 2004 Raimo e Lagioia introducevano una categoria che centrale (come numerosi interventi hanno rilevato negli anni a venire) nell’analisi delle scritture contemporanee, quella di impegno inteso come «tabù sulla scrittura attuale che va sfatato. Il coinvolgimento in quello che ci accade. La responsabilità che abbiamo come cittadini, persone, semplici creature».
Il discorso sull’impegno, che, secondo me, può essere chiamato anche discorso sul New Italian Epic o discorso sul Ritorno al reale (non è questa la sede per approfondire le differenze delle proposte e la loro ricezione critica) è una dei cardini intorno cui si è sviluppato un dibattito rispetto alla forme della letteratura degli anni zero. Dal mio punto di vista quindi sono state significative, soprattutto nell’ultima decina d’anni, le scritture di tutti quegli autori che coi loro romanzi, hanno intercettato e continuano ad intercettare questo tipo di tensione. Volendo fare dei nomi, che sono necessariamente parziali, indicherei: Roberto Saviano, Wu Ming, Nicola Lagioia, Christian Raimo, Giulio Mozzi, Giorgio Vasta, Igiaba Scego, Paolo Nori (il discorso sull’impegno vale anche in termini di chi rivendichi una posizione all’estremo opposto dello spettro), Tommaso de Lorenzis, Girolamo de Michele, Giuseppe Genna, Helena Janeczek.
5) Passiamo a considerare i luoghi (giornali, riviste specializzate, riviste online, siti e blog; ma anche luoghi fisici come scuole, universitàà, biblioteche, presentazioni di libri) e i modi in cui i libri vengono discussi e commentati oggi. Tendi a pensare al campo letterario come a uno spazio fluido, in cui critica, pubblico, industria dialogano e collaborano (talvolta anche in competizione per l’egemonia) – o a separare diversi campi d’influenza e di azione? Che tipo di interazione c’è (se trovi che ci sia un’interazione)?
Credo che il campo letterario sia un luogo fluido all’interno del quale esistono però delle conflittualità che restano spesso inespresse. I rapporti tra i luoghi menzionati non sono paritari, c’è una sproporzione di potere che porta alcuni luoghi ad essere centrali e visibili e altri ad essere marginali e questo aspetto va tenuto presente. Vige inoltre, sulle logiche economiche che governano i settori culturali (non necessariamente della grande editoria, ma anche di quella riconosciuta come piccola editoria di qualità), una sorta di tabù come se il riconoscimento del libro come oggetto di consumo portasse automaticamente alla sua degradazione. Questo secondo me è all’origine di molti problemi relativi alla legittimazione della letteratura contemporanea, specialmente in ambito accademico (dove pure si registrano passi in avanti in termini di apertura nei confronti della letteratura che gode di un riscontro maggiore in termini di pubblico). Inoltre mi piacerebbe che scrittori e critici si esprimessero più apertamente in merito alle contraddizioni che comporta la loro attività: essere autori di punta per una casa editrice e nello stesso tempo contestare le logiche del mercato editoriale; scrivere su un quotidiano ed essere docenti universitari; criticare le logiche di un premio letterario ma apprezzare l’autore che lo vince. Alcuni tentativi ci sono stati – penso ad esempio alla pratica dei Wu Ming, autori di punta di Einaudi, di diffondere in copyleft le loro opere, al Mozzi che leggeva il memorandum degli scrittori TQ in termini di uscita dal “regno dell’ambiguità” e di ingresso nel “regno della doppiezza”, alla campagna di qualche anno fa dei traduttori affinché i loro nomi fossero citati nelle recensioni, al confronto sorto recentemente intorno a #occupayisbn, ma si tratta di momenti ancora minoritari. Un discorso simile richiederebbe la volontà di mettere in discussione di senso e significato del lavoro intellettuale, sfera che gode di grande prestigio nonostante le condizioni materiali spesso estremamente svantaggiose in cui ci troviamo (il solito noi collettivo di cui sopra) ad operare.
6) Quali sono le personalità e i luoghi della critica che consideri più seri e affidabili?
Essendomi occupata prevalentemente di letteratura italiana del primo decennio del ventunesimo secolo, gli inserti culturali dei quotidiani e la rete sono stati i luoghi principali in cui andare alla ricerca di punti di vista motivati e affidabili. I siti cui ho fatto e faccio maggior affidamento sono, oltre Le parole e le cose, Doppiozero, Minima e Moralia, Nazione Indiana (soprattutto le inchieste di qualche anno fa), Vibrisse on line, Wu Ming, Carmilla, Il lavoro culturale, per un certo periodo il sito di Henry Jenkins, Il primo amore, Rivista studio, Alfabeta2. Per quanto riguarda le pubblicazioni cartacee: La lettura, l’inserto domenicale de Il Sole 24 ore, lo Straniero, Orwell (nella sua brevissima stagione), Internazionale, Letteraria.
In ambito accademico riviste come Allegoria e Between. Mi pare inoltre che il social network Academia si stia rivelando uno strumento piuttosto utile per la circolazione di articoli, saggi e capitoli di libri che altrimenti non sarebbero sempre di facile reperimento.
Per quanto riguarda singole personalità negli ultimi anni i critici e studiosi che ho letto con più continuità, e che spesso si sono confrontati reciprocamente, sono: Cortellessa, Giglioli, Donnarumma, Antonello, Benvenuti, Casadei, Belpoliti, Giunta, Simonetti, Policastro, oltre a Luperini e Ceserani.
Andrea Minuz per le sue spietate analisi sul funzionamento della cultura italiana contemporanea.
Giacomo Tinelli
1) Partiamo dalla domanda del sondaggio di «Orlando»: «Chi tra gli scrittori che oggi hanno tra i quarantanove e i sessantanove anni continueremo a leggere in futuro?». Tu come risponderesti, e per quali motivi? Ti chiederei anche di spiegare cosa, secondo te, inciderà di più per il loro successo.
Fuori da ogni divinazione, credo che gli autori in questione siano diversi. Non conosco tutto, non sono un cosiddetto lettore bulimico; dunque mi limiterò a citare alcuni dei casi che conosco, nella coscienza che altri nomi, altre opere avrebbero avuto il diritto di essere presi in considerazione.
Ho l’impressione che Walter Siti abbia lasciato nel complesso un’opera abbastanza indimenticabile: il frutto maturo del postmoderno rappresentato dalle sue mille pagine di autofinzione – più che gli ultimi, celeberrimi e insigniti romanzi. Anche nell’esperienza de Il contagio si riconoscono gli indizi di un lavoro sulla rappresentazione realistica delle borgate e delle stratificazioni sociali popolari che pochi altri, oggi, portano avanti con risultati tanto apprezzabili.
Un altro autore che ritengo futuribile classico è Emanuele Trevi, che, fin dagli esordi, ha dispiegato, con una forza che stento a rintracciare altrove, le potenzialità delle ibridazioni tra letteratura e critica. Anch’egli, come Siti del resto, è una specie di frutto maturo, “tardivo” (devo questa brillante immagine ad una chiacchierata che ho tenuto recentemente con Ugo Fracassa) delle modalità letterarie postmoderne.
Un tratto che accomuna i due, mi sembra, è l’insistere, ognuno a suo modo, sulla letteratura come campo conoscitivo particolare e irriducibile ad altre modalità artistiche e rappresentative. Il che non è affatto scontato in un ambito in cui l‘intermedialità sembra favorire la concezione della letteratura come storie da raccontare, come narrazione che funziona e che intrattiene, come meccanismo di pura costruzione narrativa. La ricerca di un’autonomia letteraria in Siti e Trevi tiene conto di questi fattori, non li nega, e tuttavia consente una ricerca retorica e poetica che va in direzioni interessanti.
Ovviamente, per quanto si tenti di fare astrazione dai propri gusti personali, la valutazione è frutto dei gusti di chi scrive, levigati dal ragionamento critico nei loro aspetti più inaccettabilmente personali. Non credo che si possa astrarre dalle proprie esperienze di lettura senza che l’oggettività tenda all’ideologia. Tanto vale tentare di arricchirle, quelle esperienze, in modo franco e appassionato, con le articolazioni del discorso critico.
2) Dove hai sentito parlare per la prima volta di questi autori, e da chi?
Non ricordo esattamente. Ho ricordi confusi che gravitano attorno alle prime conoscenze dell’università, sia tra studenti sia tra professori. Noto comunque, dai precedenti e già pubblicati interventi, che sono in buona compagnia in questo oblio. Chissà di che cosa è sintomo tutto ciò…
3) Secondo te quale genere letterario è destinato ad avere fortuna nei prossimi anni? Poesia, romanzo, scritture ibride?
La sensazione è che da alcuni anni e, a mio avviso, per gli anni a venire le scritture ibride siano il campo privilegiato e con le frequentazioni più apprezzabili. È il campo con più libertà di manovra, nel quale la costruzione letteraria può prendere diverse – e anche plurivoche – strade di senso. Vero è, purtuttavia, come ha già fatto notare Martina Daraio, che l’estensione delle “scritture ibride” è potenzialmente infinita, specialmente nella letteratura contemporanea, nella quale romanzo, autobiografia, reportage, libro di viaggio ecc… vanno mescolandosi. È per questa definizione iperinclusiva, forse, che essa rappresenta il campo più vitale: perché ha un’affinità e un dialogo col mondo contemporaneo, stratificato e moltiplicatore di senso; confuso, a tratti. Con ciò non si vuole promuovere il valore assoluto di un genere in sé: il campo egemone reca al suo interno le ragioni (letterarie, estetiche, e dunque implicitamente politiche e ideologiche) del proprio successo. La furia dell’ibridazione e il superamento della tradizione per come è stata intesa fino al ventesimo secolo nelle forme più euforiche, rischiano di passare sotto silenzio tutta una serie di problemi (per esempio, e ne ricito uno a costo di sembrare anacronistico, quello dell’autonomia del letterario) che andrebbero considerati, messi a tema o “in forma”. Per fare un esempio: il genere dell’autofinzione è, a mio parere, uno dei luoghi con la più alta disponibilità all’ibridazione; non è possibile non notare che lo sia proprio perché l’io è padrone di tutto, regna dispoticamente sulle proprie costruzioni; così la purezza scongiurata nel tema (chi più ormai scrive un romanzo formalisticamente “puro”?) rischia di rientrare attraverso i modi perentori dell’enunciazione di un io che si crede “padrone a casa propria” e che alimenta, forse inconsapevolmente (e cionondimeno collusivamente), ciò che Walter Siti (ne Il realismo è l’impossibile) la reificazione della scrittura a causa di un irrigidimento dell’io, quando cioè la letteratura si allinea a quella particolare e solttile ideologia individualistica che fornisce identità rigide, ottuse e puramente funzionali.
4) Nell’arco di un decennio possono essere pubblicati libri che entrano a far parte di uno stesso dibattito critico, e che però sono stati scritti da persone nate in momenti molto diversi. Quali autori consideri significativi – rilevanti dal punto di vista delle categorie critiche con le quali interpreti la letteratura – fra quelli che hanno pubblicato libri fra il 1990 e il 2015?
Già i due autori citati nella prima risposta sono di generazioni diverse, seppur contigue, ma possono rientrare nel dibattito sull’autofinzione. Così come Giuseppe Genna, per esempio, che conduce tutta una ricerca, a mio avviso interessante, sull’utilizzo di internet come strumento artistico. Può non piacere lo stile e la retorica (Giacomo Raccis lo ha definito di una “prosa violenta” e di un’ “ambizione assolutistica”), ma è apprezzabile lo sforzo di pensare alla letteratura nella contemporaneità e anche un certa vena avanguardistica, se così si può dire.
Ad ogni modo, lo si nota bene nella domanda: è il dibattito critico che, nell’assenza di un qualsivoglia minimo progetto di scuola o di corrente letteraria sostenuto dagi autori, tenta di individuare alcune invarianti e di ricomporre un quadro in frammenti affidando loro un senso aggregativo. Così gli studiosi della rivista Allegoria sostengono un vivo dibattito sul ritorno del realismo che ha in Siti, Moresco, Janeczek, Frasca, Franchini i principali attori. Si tratta ovviamente di una compagine raccolta ex post e, a mio avviso, con alcune premesse critiche discutibili. Tuttavia è interessante che proprio sul realismo (e sulla realtà, questa la caratteristica “denotativa”– e il limite, a mio avviso – della proposta critica) insiste anche una delle poche e deboli proposte di corrente da parte degli autori: quelle contenute in New Italian Epic dei Wu ming.
5) Passiamo a considerare i luoghi (giornali, riviste specializzate, riviste online, siti e blog; ma anche luoghi fisici come scuole, università, biblioteche, presentazioni di libri) e i modi in cui i libri vengono discussi e commentati oggi. Tendi a pensare al campo letterario come a uno spazio fluido, in cui critica, pubblico, industria dialogano e collaborano (talvolta anche in competizione per l’egemonia) – o a separare diversi campi d’influenza e di azione? Che tipo di interazione c’è (se trovi che ci sia un’interazione)?
Al di là delle pieghe aziendaliste e parcellizzatrici dell’università contemporanea, ho sempre pensato che il compito di un’istituzione di formazione fosse quello di produrre occasioni d’incontro in senso ampio: con professori, con critici, con altri studenti, indirettamente con autori. Nel mio personalissimo caso devo ammettere che qualcosa ha funzionato, dal momento che posso annoverare alcuni (pochi, ma conta l’intensità più che la quantità!) incontri importanti della mia vita in tale contesto. L’università rimane ancora uno dei posti più seri cui fare riferimento quando parliamo di letteratura, benché in profonda crisi di legittimazione (si pensi a quella specie di talent show che ha organizzato l’università di Bologna – qui un articolo di Donata Meneghelli – e che mi sembra un simbolo grottesco di una disperata e acefala ricerca di legittimazione). I famigerati ritardi sugli “standard europei” e l’animo conservatore della nostra università sono dati da leggere dialetticamente: provocano sì baronaggio e nepotismo, ma impediscono ai canoni puramente quantitativi di assurgere a unica stella polare per l’organizzazione delle attività didattiche e di ricerca.
Tuttavia l’università è innegabilmente, anche per questo suo carattere elitario (ma di un’élite ormai sclerotizzata), un’istituzione che tende a fare terra bruciata attorno a sé, e ciò è evidente per esempio nel campo delle pubblicazioni: ci sono circuiti isolati che determinano una radicale separazione tra l’ambito scientifico-accademico e quello divulgativo. Il risultato è: banalità della divulgazione ed elitarismo delle pubblicazoni di ricerca (il che non ha niente a che vedere con la qualità).
D’altra parte l’università non ha la divulgazione tra le sue corde principali (anche se, a fronte di alcuni anni di università ampiamente frequentata – non si può dire “di massa” – la riflessione sull’allargamento del bacino degli studenti non si è fatta molto sentire). La moltiplicazione dei mezzi di comunicazione potrebbe essere in questo senso un fattore di apertura, anche se la gran parte dei blog rimangono frequentati solo da specialisti – e anzi sono luoghi molto interessanti di proposta e dibattito.
Sul mercato editoriale non mi sento abbastanza preparato a dire la mia. Tuttavia mi sembra che le logiche del profitto e quelle della qualità delle pubblicazioni, da sempre in un equilibrio difficilmente determinabile, stiano pendendo grandemente a favore del profitto.
6) Quali sono le personalità e i luoghi della critica che consideri più seri e affidabili?
Ho già speso due parole attorno al ruolo dell’università, che non ripeto. Idem per i blog, che hanno un modo fluido tutto loro di conquistarsi una legittimazione. Situazione simile per le riviste,
Le personalità che leggo con più interesse oggi sono: Giglioli, Mazzoni, Bertoni, Donnarumma, Meneghelli, Bottiroli e molti altri.
Carlo Tirinanzi De Medici
Partiamo dalla domanda del sondaggio di «Orlando»: «Chi tra gli scrittori che oggi hanno tra i quarantanove e i sessantanove anni continueremo a leggere in futuro?». Tu come risponderesti, e per quali motivi? Ti chiederei anche di spiegare cosa, secondo te, inciderà di più per il loro successo.
«Continueremo» chi? Noi italiani, noi lettori forti e critici italiani, noi critici occidentali, noi cittadini del mondo, noi telespettatori? Non è una provocazione, ma un dubbio. Pare che Va’ dove ti porta il cuore continui a vendere bene, ma un critico o un lettore forte non lo toccherebbe neanche con i guantoni da boxe. Quindi se parliamo di noi italiani-come-popolo-di-santi-navigatori-e-analfabeti-funzionali ti rispondo: leggeremo le stesse schifezze che si leggono oggi, solo con nomi di autori diversi. Tanto, se mi passi la battuta, scrivono tutto gli editor.
Se invece parliamo di noi critici italiani, e se assumo per ragioni di spazio che si stia parlando di scrittori italiani, il discorso cambia. Però, non per pignoleria ma per impostazione critica, vorrei anche specificare che io ho sempre qualche problema a parlare di scrittori, se non per metonimia: io di norma leggo le opere e cerco di non prendere in considerazione gli autori, le loro biografie, ecc., ma solo i loro risultati formali (ciò non vuol dire: anticontenutismo, com’è ovvio, ma solo che il contenuto è dato anche dalla forma).
Tra le opere che continueranno a essere lette ci sono a mio avviso Troppi paradisi, Il canto del diavolo e Il contagio di Walter Siti, l’intera produzione di Michele Mari, La guerra in casa e Piove all’insù di Luca Rastello. Il motivo è sempre lo stesso: sono romanzieri in grado di reggere il confronto con i grandi colleghi stranieri. Un fenomeno tutto sommato nuovo nella nostra storia: non perché Nievo, o Pavese, o Manzoni, non potessero reggerlo a loro volta, ma perché negli ultimi trent’anni abbiamo avuto più casi che nei centocinquanta precedenti: in qualche modo il romanzo, e in generale la narrativa, ha ottenuto uno spazio che prima non aveva. In particolare, e in maniera sommaria a causa della sede in cui parlo, Siti utilizza in maniera innovativa e interessante i dispositivi autofinzionali; Mari riesce a riciclare dispositivi postmoderni in un’ottica che spannometricamente definirei modernista; Rastello con La guerra in casa precorre i modi della bassa finzionalità oggi tanto diffusi, mentre Piove all’insù è forse l’unico, vero romanzo-romanzo degli ultimi anni: Rastello è un narratore di razza, peccato che sia poco o punto indagato criticamente.
A fianco di questi metterei almeno Milano è una selva oscura di Laura Pariani, La manutenzione degli affetti di Antonio Pascale, Seminario sulla gioventù di Busi: dal para-rablesismo egotico di Busi, all’intimismo impegnato di Pascale, al romanzo-viaggio di Pariani, mi sembrano opere interessanti, che continueranno a dire qualcosa anche domani. Menzione speciale, invece, per Vasi cinesi di Andrea Canobbio, Lo stadio di Wimbledon, Atlante occidentale e Staccando l’ombra da terra di Daniele Del Giudice, Snack bar Budapest di Lodoli e Bre: tutte opere che andranno riscoperte da una critica che per troppo tempo ha liquidato gli anni Ottanta come il tempo delle fanfare postmoderniste. Fin qui le opere che verranno lette per il loro valore letterario, cui – uscendo di poco dai limiti cronologici imposti – bisognerebbe aggiungere perlomeno il Sebastiano Vassalli da La notte della cometa (prima non fiction italiana nel senso contemporaneo del termine) a La chimera, passando per quel particolare esempio di autofiction “extravagante” che è L’oro del mondo.
Per ragioni anche di pubblico, invece, si leggeranno le opere di Carlo Lucarelli, Enrico Brizzi (con l’eccezione delle prove tra Bastogne e Nessuno lo saprà), di Dario Voltolini, di Vanni Santoni, del collettivo Wu Ming, di Antonio Moresco.
2) Dove hai sentito parlare per la prima volta di questi autori, e da chi?
Non ricordo mica tanto bene. In generale credo che tutti scoprano i libri nello stesso modo: perché ne sentono parlare da qualcuno, o perché entrano in libreria e fruga fruga salta fuori qualcosa d’interessante. Anche se temo che questo secondo mezzo, a mio avviso il più importante perché quello che ti permette di scoprire qualcosa di impensato e improbabile, una sorta di flânerie letteraria, stia scomparendo. Siti l’ho scoperto in libreria, Rastello per una recensione sul «Manifesto» e una concomitante segnalazione di un amico e critico, Mari in libreria, Vassalli a casa di mio nonno materno, Busi a casa di mia madre, Canobbio credo in una libreria dell’usato. Lodoli mi è saltato fuori grazie alla spinta ormonale dei quattordicenni mia e di un mio amico, che ci ha spinto a guardare, a basso volume e sempre a rischio di venire scoperti, tutti i film di Tinto Brass tra cui, appunto, Snack bar Budapest. Del Giudice credo me lo abbia fatto scoprire Antonio Prete in una delle nostre conversazioni. Pariani me l’ha fatta scoprire un’amica, Voltolini una libreria dell’usato, Mari l’ho scoperto anch’egli in libreria, quando è uscito Tu, sanguinosa infanzia, ma all’epoca ci avevo capito poco (forse anche per colpa della dedizione a Tinto Brass) e ci sono tornato solo molti anni dopo. Carlo Lucarelli ancora in libreria con Almost blues; di Brizzi mi hanno regalato Jack Frusciante; Wu Ming me l’ha fatto scoprire un carissimo amico, Jacopo, quando ancora si chiamavano Luther Blisset; Pariani un’amica e collega, la stessa che mi ha parlato di Giorgio Falco per la prima volta. Moresco credo di averlo sentito per la prima volta al Seminario internazionale sul romanzo di Trento durante il mio primo anno di dottorato. Molti scrittori, poi, sono stati riscoperti all’università: ma nel senso che solo allora ho avuto i mezzi per capirli davvero. Questo – uscendo ancora dai confini sopra posti – è quanto è capitato con DeLillo, che in origine avevo scoperto in un remainder mentre cercavo vecchi romanzi di fantascienza delle Edizioni Nord, o di Emmanuel Carrére – ricordo l’estate del 2000, in cui ho scoperto, buttato lì su un mobiletto di questa vecchia libreria di Novara, L’Avversario, poi indagato in un corso al dottorato (al dottorato! Nel 2008!)–, o di Alfredo Bryce Echenique.
3) Secondo te quale genere letterario è destinato ad avere fortuna nei prossimi anni? Poesia, romanzo, scritture ibride?
Anche in questo caso bisognerebbe specificare il concetto di “fortuna”. Stiamo parlando di fortuna critica, commerciale, di entrambe? Mi sembra infatti che i due ambiti siano abbastanza distinti, e che ognuno abbia una sua precisa borsa valori. Dal punto di vista critico, infatti, la poesia continua ad avere una enorme vitalità, totalmente incongrua rispetto alla scarsissima diffusione tra il pubblico. Questo predilige la narrativa (compreso il romanzo): c’è una tendenza, mi pare, endemica nella modernità al romanzo ben fatto, ma anche un profondo interesse verso opere che tu chiami “ibride”: ma preferirei definirle semplicemente come scritture a bassa finzionalità, perché il romanzo ibrido lo è stato da sempre, mentre in anni recenti si è assistito – da parte del pubblico – a un grande rilancio di opere ad alto tasso referenziale (che poi non siano opere referenziali, questo è un altro discorso). Mutatis mutandis, se negli anni Settanta in Italia la faceva da padrona la saggistica, come forma di impegno e conoscenza del mondo, oggi questo ruolo è occupato dalle scritture a bassa finzionalità – dal romanzo, letto come non-romanzo, di Saviano, alle collane «Frontiere» Einaudi e «Contromano» Laterza –, diciamo come variante medio-alta di quanto il mercato può offrire al pubblico; la variante bassa è al solito il romanzo di cassetta, le Cinquanta sfumature o le Sophie Kinsella, oppure la nuova versione del famoso «romanzo medio di qualità», per usare una categoria di G.C. Ferretti, i Giordano (La solitudine è stata memorabilmente definita da Paolo Giovannetti «la cozza della lettura letteraria») e le Avallone. La critica italiana che si occupa di narrativa sembra orientata verso la bassa finzionalità e i suoi derivati.
4) Nell’arco di un decennio possono essere pubblicati libri che entrano a far parte di uno stesso dibattito critico, e che però sono stati scritti da persone nate in momenti molto diversi.
Quali autori consideri significativi – rilevanti dal punto di vista delle categorie critiche con le quali interpreti la letteratura – fra quelli che hanno pubblicato libri fra il 1990 e il 2015?
Se quello che dici è vero per un decennio, figurati per i cinque lustri che poni come limiti cronologici! In venticinque anni, in Italia, è successo di tutto, dal Gruppo ’93 ai cannibali, dal ritorno alla realtà all’esplosione del fantasy. La domanda richiederebbe una risposta lunga almeno due libri (uno per la poesia, uno per la prosa). Per rendere la cosa meno caotica, mi pare opportuno distinguere una significatività storica e una critica. Alla prima appartengono le opere che hanno aperto agli sviluppi successivi, o che hanno segnato in qualche modo la loro epoca — e qui, almeno per il romanzo, andrebbe operata un’ulteriore distinzione tra storia della letteratura e storia della cultura (popolare?), perché alcune opere (come quelle di Walter Siti) rientrerebbero nella prima, altre (come Oceano mare di Baricco) nella seconda, altre ancora (come i libri di Carlo Lucarelli, che ha rilanciato il noir come genere «d’impegno») in entrambe. Si pone inoltre un problema geografico: soprattutto per la prosa (che conosco meglio), i confini nazionali sono stati abbattuti da tempo, se mai sono esistiti. Per esempio sarebbe difficile pensare a Pecoraro senza Le particelle elementari di Houellebecq delle (1998), a Falco senza un po’ di DeLillo, ma gli esempi potrebbero essere molti.
Chiaramente una risposta esauriente da questa prospettiva è impensabile nello spazio a mia disposizione. Diciamo che tra le opere significative per la storia della letteratura secondo me si dovrebbero considerare, oltre a quelle di Siti citate sopra, Enrico Brizzi (per Jack Frusciante è uscito dal gruppo) e Silvia Ballestra (per La guerra degli Antò), Superwoobinda di Aldo Nove, Carlo Lucarelli, Alessandro Perissinotto, Daniele Del Giudice (Staccando l’ombra da terra anticipa alcune soluzioni formali delle scritture a bassa finzionalità), Sebastiano Vassalli per le sue influenze sul romanzo storico (o neostorico o metastorico), Affinati, Walter Siti, ovviamente… e qui mi fermo, perché altrimenti dovrei davvero scrivere un libro. Se invece si parla di una significatività critica, intesa come la risonanza o organicità (per chi crede ancora nell’organicità) di alcune opere all’idea estetica che ogni lettore difende, il discorso si fa più facile, una volta escluse le opere straniere (che sarebbero numerosissime, da Underworld a Los detectives salvajes, da American Pastoral a Les Bienveillantes, da Lunar Park a Chorošij Stalin, da Harmonia Cœlestis a La frontera de cristal). La risposta è in parte sovrapposta a quella data alla prima domanda: a me paiono particolarmente significativi La guerra in casa e Piove all’insù di Luca Rastello, i romanzi di Mari e di Siti. Tra quanto è stato sopra escluso per ragioni anagrafiche, non si può dimenticare L’ubicazione del bene di Giorgio Falco, una delle più lucide figurazioni romanzesche del nostro paese, con un lungo gioco di isotopie (gli insetti, le relazioni interrotte) che lega insieme i diversi racconti. Di Andrea Bajani sono degni di nota Cordiali saluti e La mosca e il funerale. Qui finisce la world series. Tra le opere comunque degne di nota, per motivi vari che non sto qui a individuare singolarmente, ci sono Pascale con La città distratta, nonché Patagonia blues e Milano è una selva oscura è una selva oscura di Valeria Parrella. I racconti di Laura Pariani mi sembrano assai centrati, e Occidente per principianti di Nicola Lagioia è forse il miglior esempio di high postmodernism italiano; molti libri di Gianpaolo Rugarli andrebbero riscoperti (uno per tutti, fuori dai limiti cronologici qui imposti: La troga). Tra le new entries, che come tali non mi azzarderei a mettere in una qualsivoglia prospettiva perché le guardiamo da troppo vicino e la miopia è troppo forte, non possono non essere citati Geologia di un padre di Magrelli (new entry come prosatore, beninteso: anche se aveva già pubblicato Nel condominio di carne) e Cartongesso di Francesco Maino.
5) Passiamo a considerare i luoghi (giornali, riviste specializzate, riviste online, siti e blog; ma anche luoghi fisici come scuole, università, biblioteche, presentazioni di libri) e i modi in cui i libri vengono discussi e commentati oggi. Tendi a pensare al campo letterario come a uno spazio fluido, in cui critica, pubblico, industria dialogano e collaborano (talvolta anche in competizione per l’egemonia) – o a separare diversi campi d’influenza e di azione? Che tipo di interazione c’è (se trovi che ci sia un’interazione)?
Mi sembra significativo che i “luoghi fisici” citati siano tutti in qualche misura pubblici, istituzionali e caratterizzati da un forte orientamento gerarchico: chi sta sulla cattedra e chi tra il pubblico, chi parla e chi ascolta. I libri vengono anche discussi al bar, dopo cena, insomma in ambienti più informali perché privati e sottratti a quelle norme di comportamento che tutti, volenti o nolenti, abbiamo introiettato e alle quali dobbiamo conformarci.
Tuttavia è proprio lì che diviene più facile discutere e commentare i libri liberamente, senza dover pagare pegno a idee concetti mode critiche che citiamo, o a cui facciamo riferimento, perché “si deve”, perché vogliamo mostrarci aggiornati e sempre sul pezzo (un imperativo morale che ahimè molti della mia generazione hanno introiettato fin troppo bene).
Direi che la lotta per l’egemonia l’ha vinta il mercato un bel po’ di anni fa: è dal 1980 che la critica se la prende con praticamente tutti i romanzieri italiani, che ciononostante sono stati sempre pubblicati perché, nonostante l’opposizione della critica, vendevano. Invece certi romanzieri al tempo incensati dagli studiosi sono praticamente scomparsi senza lasciar traccia: segni che non si è potuto incidere sui gusti del pubblico. Forse le cose hanno cominciato a cambiare a partire dagli anni Zero: una nuova generazione di critici e di operatori culturali (mamma mia, quanto è brutto “operatori culturali”: ma come metti insieme editor, giornalisti, ecc.?) ha provato a intervenire, talvolta a gamba tesa, e in parte ce l’ha fatta, alterando in parte i rapporti di forza (il successo di La vita in tempo di pace è un caso paradigmatico); tuttavia è chiaro che la critica rimane un corpo estraneo. Le discussioni critiche non “bucano”, se non in minima parte, vivono al più per il breve tempo dei festival della letteratura che fioriscono un po’ ovunque (ma si può davvero trasformare la lettura, che da secoli è un atto individuale, in una performance?). La grande industria editoriale continua a sfornare i suoi best seller, la piccola industria si arrabatta grazie ai critici di riferimento, ma niente più.
A me sembra infatti che ci sia (ci siano?) un piccolo circuito (alcuni piccoli circuiti?) di autori, critici, editori che si leggono, si discutono tra loro. Non vorrei essere frainteso: spesso le discussioni vertono su testi e autori di sicuro valore, però mi sembra che il pubblico di questo circuito sia composto perlopiú dai critici, dagli editori e dagli scrittori stessi (gli scrittori meno, in verità). Una volta forse a questo gruppo si univano anche i lettori comuni in cerca di una patente culturale, ma mi sembra che questo fenomeno sia in netta diminuzione. A fianco di quello della critica c’è il grande circuito: quello delle recensioni sulle pagine generaliste dei quotidiani, dei “passaparola” più o meno farlocchi di «Repubblica», dei “casi letterari” costruiti a tavolino, dei premi in diretta televisiva.
I mercati librari di altre nazioni, per utenza potenziale (come quello degli Stati Uniti) o effettiva (la Francia, dove i lettori forti sono molto più numerosi che da noi), hanno una zona grigia più ampia, un margine di manovra per cui i lettori forti – critici o meno – possono influenzare il mercato molto più di quanto non avvenga in Italia. Poi anche la Francia ha le sue magagne, per carità, ma mi sembra che sia possibile un passaggio più fruttuoso tra i due mercati. Forse il punto di snodo è la libreria, intendendo quella fisica, che diventa sempre più un luogo essenziale per districarsi nella sterminata produzione odierna. Se attraverso i media non si riesce a intervenire, forse ci si può provare agendo dal basso, sui librai. Ma anche qui le grandi catene ormai dominano, e molte hanno le loro priorità: dicono ai librai, di questo vendimene almeno X copie, e i librai che possono fare? Ci provano, poveracci. Non che la catena sia in sé il male assoluto, eh: però sono tendenze che emergono. Le librerie indipendenti in questo potrebbero essere essenziali, ma anche loro navigano in pessime acque. Il fatto che in università spesso girino sempre gli stessi nomi, le stesse opere, poi, non giova.
6) Quali sono le personalità e i luoghi della critica che consideri più seri e affidabili?
Questa domanda m’imbarazza molto: da un lato rischio di cadere nella rete delle «scuole», di dare l’impressione di dire esattamente (e solamente) ciò che ci si aspetta da me, per paraculaggine o per mancanza di autonomia; dall’altro non sono mai stato bravo a stilare classifiche, a organizzare podi. Ci sarebbero molte persone da nominare, mentre le riviste e i blog scontano il fatto di essere il frutto di un lavoro collettivo, per cui non posso dire «ah come mi fido di questa rivista», ma semmai «ah, quanto mi piace questo articolo». Comunque non ho intenzione di condividere questo elenco pubblicamente.
Cito solo il coriaceo «L’Indice dei libri del mese», perché resiste da più di trent’anni e già solo per questo meriterebbe un monumento. Le sue periodiche difficoltà rendono conto della mancanza di quella «zona grigia» di cui sopra, quella in cui prospera ad esempio «Le magazine littéraire», o in cui un’operazione ancor più di nicchia quale «L’atelier du roman» può almeno vivacchiare.
Cecilia Ghidotti è nata a Brescia nel 1984. Ha recentemente completato un dottorato in Culture Letterarie Filologiche e Storiche presso l’Università di Bologna. Si è occupata di letteratura italiana degli anni Zero, in particolare di romanzi a dominante storica sul passato recente.
Giacomo Tinelli è nato a Merate nel 1986. Laureato all’Università di Roma Tre, è attualmente dottorando in Letterature comparate presso l’Università di Bologna. Ha collaborato con Between.
Carlo Tirinanzi De Medici è nato a Novara nel 1982. Ha studiato in Italia e in Francia. Laureato all’Università di Siena, ha conseguito il dottorato all’Università di Trento. Si occupa di teoria e storia del romanzo. Nel 2012 ha pubblicato un libro sul realismo nel romanzo contemporaneo.