Che bello! Tornano i fischi al Lido per i film italiani. E magari ha fatto bene Daniele Luchetti a scappare e portare il suo nuovo film a Toronto e a concentrarsi sulla sofisticata regia degli spot di Poltrone e Sofa’. Con una vera rissa old style tra fischiatori e buuhisti e difensori del cinema italiano d’autore si e’ conclusa la prima proiezione stampa di “L’intrepido”, il film del ritorno di Gianni Amelio alla Mostra dopo gli otto anni di salamoia della direzione Muller.

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E ci torna non solo con la direzione di un critico amico, Alberto Barbera, che lo ha voluto alla direzione del Festival di Torino, ma anche sotto gli occhi di un presidente di giuria come Bernardo Bertolucci che e’ di fatto il suo maestro e fratello maggiore.

Diciamo che in generale il nuovo film di Amelio ha sofferto di un posizionamento non cosi’ favorevole nel palinsesto del Festival. Avrebbe irritato meno i critici piu’ aggressivi se messo i primi giorni, mentre oggi fa esplodere il non completo funzionamento del concorso e, magari, tirera’ la volata al film italiano davvero piu’ atteso, “Il santo Gra” di Gianfranco Rosi e al recupero, in vista dei premi, del vitalissimo film di Emma Dante, che finora rimane il piu’ sanguigno e riuscito di tutta la compagine italiana.

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“L’intrepido” parte da una buona idea zavattiniana, seguire Antonio Pane, cioe’ Antonio Albanese, una specie di Toto’ il Buono, in un calvario di lavori e lavoretti da pre-boom economico in una orrenda Milano dei giorni nostri rovinata da vent’anni di berlusconismo e formigonismo ma anche di inefficienza post-comunista e sindacale.

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Antonio sostituisce per poche ore, pochi giorni, pescivendoli, operai edili, pizza-boys. Tutti i lavori sono buoni e vengono salutati come una benedizione divina in questa Milano invernale dove trionfano le ferite delle nuove costruzioni pensate per l’Expo. Fino a quando il film gira attorno a questa dimensione realistico-pisapiana le cose funzionano.

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Amelio riprende la sua dotta messa in scena post-bertolucciana e costruisce un bel personaggio per Albanese. Ma quando arriviamo ai personaggi che incontra il protagonista, una giovane precaria, il figlio sassofonista, l’ex moglie Sandra Ceccarelli, scopriamo tragicamente che i dialoghi non sono sempre all’altezza e gli attori neppure, anche se Alfonso Santagata si cuce una grande interpretazione come cattivo padrone di Antonio.

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Come non funzionano i dialoghi, non funziona neanche la storia che diventa un po’ prevedibile e tutta l’impalcatura bertolucciana di messa in scena finisce per soffocare il film, piuttosto che salvarlo, in una dimensione di cinema italiano pre-berlusconiano. Come essere di fronte a un inutile film promozionale da nuovo Pd ma con le idee non chiarissime di quale strada prendere.

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Anche noi, come Antonio, ci siamo adattati a tutto in questi anni, ma almeno cercato di mantenere uno stile e un progetto. Avere un progetto, diceva Glauber Rocha, e’ avere un carattere. “L’intrepido” e’ come se non avesse ne’ un progetto ne’ un carattere

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