LA CITTÀ MUTANTE – VIAGGIO NEI SEGRETI DI MEXICO CITY CHE HA PIÙ ABORTI DI LONDRA, PIÙ UNIVERSITÀ DI NEW YORK, PIÙ CINECLUB DI PARIGI: UNA CITTA’ IN CUI I PIÙ MISERABILI INVESTONO I LORO ULTIMI SOLDI NELLA FESTA DEI 15 ANNI DELLA PROPRIA FIGLIA

Una capitale del primo mondo e dell’ultra terzo mondo con 3 milioni di persone sotto il limite della povertà, dove quando si dice economia marginale si sta in realtà parlando della economia reale. Ed è il motivo per cui qui ti servono solo due tipi di zuppa: quella che ti piace, o quella che ti uccide…

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Sostengano quel che vogliono i trattati di Konstantinov, il Pulitzer, e anche il più intelligente Ernest Mandel, o la nipote di Althusser, e al limite anche il caso: ma non puoi cercare di cambiare radicalmente una città, se non ne sei profondamente innamorato. Lo sapeva il miglior romanziere greco, Stratis Tsirkas, e lo sapeva Robert Capa quando guardava per terra – e non verso il cielo – nella Madrid dei bombardamenti della guerra civile.

E allora come guardare queste città, oggetto delle nostre passioni? C’è un modo totalmente aristocratico con cui si osservano gli umani, ed è quello con il quale gironzoliamo attraverso la finestra di un’automobile con i vetri oscurati. È anche quello dalla leggera, intellettuale lontananza di un attico elegante. O lo sguardo del muro delle guardie del corpo, del buttafuori della discoteca, del poliziotto all’entrata della banca.

A me invece piacciono gli scarabocchi svergognati sulle pareti dei palazzi, mi piace il naso rosso del pagliaccio. Mi piace noi, che gridiamo libertà dove ce lo lasciano fare. E i venditori di tacos e i travestiti, gli inusitati e gli irriverenti, gli innocenti. Una città vista da sotto è essenzialmente solidale e non solitaria. L’unica cosa, è che hai bisogno di metterla alla prova.

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Lo strumento di lavoro è una macchina fotografica oppure – perché no? – un cellulare, vile e fetente. Un democratico cellulare, che si fa eco dell’affascinante democratizzazione dell’informazione in cui abbiamo vissuto in questi ultimi anni e dimostra che il paradiso tecnologico non è una lista di cose da comprare attraverso un catalogo in un negozio di Manhattan, ma l’apparecchietto che ogni tanto ti rubano i tuoi figli e che se lo metti in modalità vibrante può causare allegrie supreme. No, lasciate perdere: il vero strumento di lavoro è l’occhio, quello che vede ciò che gli altri non vedono. Quello che, nonostante tutto, è lì: la cosa, l’emozione, la storia che di colpo la puoi scoprire facilmente, e ancora più facilmente la riconosci.

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Città del Messico, il Distrito Federal, è il paese-città. Racchiude ogni cosa, la città mutante, la zona del saccheggio dei formichieri. Il paese melassa che mescola i corridos di Cuco Sanchez, le battute di Pepito, le languide sere di pioggia senza arcobaleno, i discorsi sulla modernità del Pri che nascondono i pugnali di ossidiana dell’eterno potere, le cineteche con film francesi della Nouvelle Vague che ormai non è più così nuova tranne per quegli otto nostalgici che ancora se li guardano, i supermercati stipati di snack al cioccolato da gringos e forni a microonde giapponesi, lo sguardo dei morti, lo sguardo fisso e maledetto dei morti, che ti rinfacciano di averli lasciati soli, ti chiedono di guardarli, tu, sopravvissuto.

Gli osservatori esteriori tendono a vedere surrealismo ed esotismo dove non c’è. Quando ti introduci nella vita quotidiana di una città di circa venti milioni di abitanti, ovvero il Distrito Federal con le zone urbanizzate, c’è di tutto. Ci sono trecento culture e tremila situazioni strane. Per l’occhio che va cercando l’esotismo c’è materiale in abbondanza, ma per noi che qui dentro ci viviamo è più sorprendente vedere che all’improvviso dal barrio più povero esce una bambina vestita come se fosse una principessina della favola di Biancaneve: è la logica di una città dove i più miserabili negano fino alla fine d’esserlo, e investono i loro ultimi soldi nella festa dei 15 anni della propria figlia.

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Una città che genera un bizzarro mosaico della prostituzione: da travestiti che saltano fuori in mezzo alla strada, a prostitute monolingua che vivono nei pressi dei mercati generali, dove camionisti che trasportano cibo arrivano dai posti più lontani, e che vivono in un mondo assolutamente chiuso. Una città orgogliosa dei suoi eroi dell’affascinante mondo della lotta libera, che per tutti i messicani che fanno parte integrante della propria adolescenza e dei deliri dell’infanzia. Una città assurda, che ti strappa dal Paese reale e ti getta verso un’altra cosa, per scagliarti nel grande nulla. Per fotterti per sempre.

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Con tutti quei segnali religiosi convertiti in culto laico, all’improvviso ti sorprendi a passare accanto ad una chiesa e scopri che ci si sono dati appuntamento tutti i ladri di Città del Messico: perché stanno celebrando il loro santo, San Judas de Tadeo, patrono dei casi difficili e disperati, santo degli impossibili. E sono lì, tutti i 28 di ogni mese, chiesa di San Hipolito, centro storico: «Prega per me. Sono senza aiuto, sono così solo. Ti imploro, usa il privilegio speciale che ti è concesso, di soccorrere presto e chiaramente quando si è persa ogni speranza».

Uno sguardo più solidale dovrebbe vedere una città che si muove nella brutalità dei suoi contrasti. Il Distretto Federale deve essere pensato come una capitale del primo mondo e una capitale dell’ultra-terzo-mondo allo stesso tempo. Non si tratta di due città diverse, ma della stessa. Convivono.

mexico city, mexico, aug. 1, 2014. mexico city

 Hanno mutazioni rispetto agli orari ai luoghi, però sono insieme. Questa è una città che ha più aborti che a Londra, più università che a Nuova York, e più cineclub che Parigi. E al tempo stesso, è una città con tre milioni di persone sotto il limite della povertà, dove quando si dice economia marginale si sta in realtà parlando della economia reale. Ed è il motivo per cui qui ti servono solo due tipi di zuppa: quella che ti piace, o quella che ti uccide.

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