Abbiamo visto “ Abbiamo visto “ Lo Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti” regia di Apichatpong Weerasethakul
Ma cosa succede ai registi talentuosi americani quando diventano presidenti delle giurie dei festival europei ? Nell’ultimo festival di Venezia Tarantino ha fatto in modo che un modesto e “ pathè de bourgeoise “ film di Sofia Coppola vincesse il Leone d’oro; a maggio, a Cannes, Tim Burton ha consegnato la Palma D’Oro a Apichatpong Weerasethakul per un film a dir poco criptico per non dire velleitario e noioso. Questo può dar da pensare sul livello esistenziale in cui sono giunti gli Stati Uniti e la sua intellighenzia. Nelle intenzioni del regista ( anche unico sceneggiatore ) c’è la voglia di chiedersi cosa accade nella nostra mente e nella nostra coscienza quando si sta per morire: accade qualcosa oltre fare i conti con il passato ? In questo caso – siamo in Thailandia e con la religione buddhista – bisogna fare i conti con spiriti, fantasmi e presenze di ogni genere: la moglie deceduta da tempo e il figlio scomparso che ritorna scimmione dagli occhi rossi… Ma non siamo nemmeno lontanamente né nel “ Il posto delle fragole “ di Bergman né in “ Provvidence “ di Alan Resnais. Il tentativo probabilmente è quello di mostrare l’essere delle cose e non le cose stesse e quindi si mostrano anime che vagano, la trasmigrazione delle vite: delle persone, degli animali, delle pietre ( momento topico è quello della caverna dove lo zio decide di morire ), il tutto con un succedersi di scene che non hanno una costruzione “ logica “, non sono unite da nessi causali determinati. In tutto questo c’è la scena “ madre ” da cui tutte le altre si generano: la parabola della principessa e del pesce gatto e del loro congiungimento carnale nel lago che non sappiamo onestamente ‘ tradurre ‘.
Lo zio Boomee è stato un militare tailandese che ha ucciso molti comunisti e forse per la legge del carma ha perso la moglie, un figlio ed è malato gravemente. E’ affetto da un’insufficienza renale che lo sta conducendo alla morte in pochi giorni; quindi ha cominciato a fare i conti con il suo passato e con i suoi fantasmi. La sua casa di campagna si popola quindi progressivamente di mille altre anime vaganti, alcune delle quali dovrebbero rappresentare le sue precedenti incarnazioni. Il tutto è narrato fuori dagli standard occidentali e quindi senza schemi, struttura narrante e costruzione dei personaggi. Per seguirlo attentamente bisogna accettare credenze familiari orientali, dall’idea della trasmigrazione delle anime al concetto di reincarnazione. Per prepararsi lo zio al trapasso si fa assistere dalla cognata e da un nipote. Due persone che vengono dalla città e che quindi comprendono poco l’anima bucolica dello zio Boonmee. Ma forse loro due sono “ noi “ ( con il nostro strato di materialismo e di cultura civilizzata ) che osservano Boomee e il suo mondo. La lentezza e la staticità del film ( che per altri è poesia e misticismo ) ha la prova del nove quando compare la moglie morta, sotto forma di fantasma, e poi del figlio creduto perduto, ma diventato un uomo scimmia perché per 15 anni ha vissuto nella foresta e si è accoppiato con un essere scimmia. Il finale è ancora più criptico, con una parente con la figlia e il figlio monaco buddista che se ne stanno su un letto d’albergo a guardare la televisione dopo il funerale e allo stesso tempo la donna e il figlio escono per andare in un ristorante a cena.
Forse il vostro recensore quando ha visto questo film non aveva la predisposizione giusta a tanto misticismo, comunque citando Weerasethakul: “… Certo, dopo aver visto il film, voi potreste dire di Boonmee: era prima un bufalo o una principessa. Ma per me potrebbe essere qualsiasi essere vivente sullo schermo, persino un moscerino o persino suo figlio il Monkey Ghost o il fantasma di sua moglie. Credo esista un’associazione speciale tra il cinema e la reincarnazione. Il cinema è la maniera in cui l’uomo può creare i suoi universi alternativi, le sue altre vite ”
Il regista thailandese Apichatpong Weerasethakul era per noi del tutto sconosciuto fino a oggi; diplomato in Cinema all’università di Chicago, ha dapprima girato dei cortometraggi e dei montaggi video, poi ha realizzato il documentario “ Mysterious Object at Noon “. Nel 2002 ha diretto “ Blissfully yours “ presentato al Festival di Cannes e vincitore del premio Un Certain Regard. Nel 2004 ha realizzato “ Tropical Malady “ per cui ha ottenuto il Premio della giuria sempre al Festival di Cannes e la rivista del British Film Institute Sight & Sound l’ha indicato fra i trenta film chiave del primo decennio del XXI secolo. Nel 2006 ha presentato a Venezia il film “ Syndromes and a Century “, un’opera ispirata dai ricordi di un’infanzia vissuta in Tailandia tra ospedali e familiari medici.
” regia di Apichatpong Weerasethakul.
Ma cosa succede ai registi talentuosi americani quando diventano presidenti delle giurie dei festival europei ? Nell’ultimo festival di Venezia Tarantino ha fatto in modo che un modesto e “ pathè de bourgeoise “ film di Sofia Coppola vincesse il Leone d’oro; a maggio, a Cannes, Tim Burton ha consegnato la Palma D’Oro a Apichatpong Weerasethakul per un film a dir poco criptico per non dire velleitario e noioso. Questo può dar da pensare sul livello esistenziale in cui sono giunti gli Stati Uniti e la sua intellighenzia. Nelle intenzioni del regista ( anche unico sceneggiatore ) c’è la voglia di chiedersi cosa accade nella nostra mente e nella nostra coscienza quando si sta per morire: accade qualcosa oltre fare i conti con il passato ? In questo caso – siamo in Thailandia e con la religione buddhista – bisogna fare i conti con spiriti, fantasmi e presenze di ogni genere: la moglie deceduta da tempo e il figlio scomparso che ritorna scimmione dagli occhi rossi… Ma non siamo nemmeno lontanamente né nel “ Il posto delle fragole “ di Bergman né in “ Provvidence “ di Alan Resnais. Il tentativo probabilmente è quello di mostrare l’essere delle cose e non le cose stesse e quindi si mostrano anime che vagano, la trasmigrazione delle vite: delle persone, degli animali, delle pietre ( momento topico è quello della caverna dove lo zio decide di morire ), il tutto con un succedersi di scene che non hanno una costruzione “ logica “, non sono unite da nessi causali determinati. In tutto questo c’è la scena “ madre ” da cui tutte le altre si generano: la parabola della principessa e del pesce gatto e del loro congiungimento carnale nel lago che non sappiamo onestamente ‘ tradurre ‘.
Lo zio Boomee è stato un militare tailandese che ha ucciso molti comunisti e forse per la legge del carma ha perso la moglie, un figlio ed è malato gravemente. E’ affetto da un’insufficienza renale che lo sta conducendo alla morte in pochi giorni; quindi ha cominciato a fare i conti con il suo passato e con i suoi fantasmi. La sua casa di campagna si popola quindi progressivamente di mille altre anime vaganti, alcune delle quali dovrebbero rappresentare le sue precedenti incarnazioni. Il tutto è narrato fuori dagli standard occidentali e quindi senza schemi, struttura narrante e costruzione dei personaggi. Per seguirlo attentamente bisogna accettare credenze familiari orientali, dall’idea della trasmigrazione delle anime al concetto di reincarnazione. Per prepararsi lo zio al trapasso si fa assistere dalla cognata e da un nipote. Due persone che vengono dalla città e che quindi comprendono poco l’anima bucolica dello zio Boonmee. Ma forse loro due sono “ noi “ ( con il nostro strato di materialismo e di cultura civilizzata ) che osservano Boomee e il suo mondo. La lentezza e la staticità del film ( che per altri è poesia e misticismo ) ha la prova del nove quando compare la moglie morta, sotto forma di fantasma, e poi del figlio creduto perduto, ma diventato un uomo scimmia perché per 15 anni ha vissuto nella foresta e si è accoppiato con un essere scimmia. Il finale è ancora più criptico, con una parente con la figlia e il figlio monaco buddista che se ne stanno su un letto d’albergo a guardare la televisione dopo il funerale e allo stesso tempo la donna e il figlio escono per andare in un ristorante a cena.
Forse il vostro recensore quando ha visto questo film non aveva la predisposizione giusta a tanto misticismo, comunque citando Weerasethakul: “… Certo, dopo aver visto il film, voi potreste dire di Boonmee: era prima un bufalo o una principessa. Ma per me potrebbe essere qualsiasi essere vivente sullo schermo, persino un moscerino o persino suo figlio il Monkey Ghost o il fantasma di sua moglie. Credo esista un’associazione speciale tra il cinema e la reincarnazione. Il cinema è la maniera in cui l’uomo può creare i suoi universi alternativi, le sue altre vite ”
Il regista thailandese Apichatpong Weerasethakul era per noi del tutto sconosciuto fino a oggi; diplomato in Cinema all’università di Chicago, ha dapprima girato dei cortometraggi e dei montaggi video, poi ha realizzato il documentario “ Mysterious Object at Noon “. Nel 2002 ha diretto “ Blissfully yours “ presentato al Festival di Cannes e vincitore del premio Un Certain Regard. Nel 2004 ha realizzato “ Tropical Malady “ per cui ha ottenuto il Premio della giuria sempre al Festival di Cannes e la rivista del British Film Institute Sight & Sound l’ha indicato fra i trenta film chiave del primo decennio del XXI secolo. Nel 2006 ha presentato a Venezia il film “ Syndromes and a Century “, un’opera ispirata dai ricordi di un’infanzia vissuta in Tailandia tra ospedali e familiari medici.