«Il mio giornalaio è pachistano, il mio lavasecco è persiano, il mio medico di famiglia è italiano, il dentistaè brasiliano, il veterinario è spagnolo, l’imbianchino è polacco, l’elettricista serbo, il fruttivendolo indiano, il meccanico è bulgaro, la domestica lettone, il portinaio sudafricano, il parcheggiatore libanese, il barista ungherese, il barbiere francese» e così via per pagine e pagine. È la miglior introduzione a Londra Babilonia, libro, guida turistica, divertissement e atto d’amore per la capitale britannica di Enrico Franceschini. La città mondo che, a differenza di New York, non chiede a chi la sceglie di cambiare, ma accetta con la stessa flemma gente, usi e costumi di ogni razza e colore. La città dove si parla la lingua che cresce ogni giorno di nuove parole e che non è più inglese, ma il linguaggio della stessa accozzaglia di accenti, cadenze, dialetti e proverbi globali, not english, please, but globish u’know. La città dove si sa sempre cosa fare eppure non se ne ha mai abbastanza. La metropoli con i grattacieli, ma soprattutto con i tetti bassi. La città degli eccessi, del grande carnevale e della riservatezza e della compostezza. La città che dopo secoli di porridge e fish and chips e che non aveva un’espressione per dire «buon appetito» ed è diventata la capitale mondiale della cucina, di ogni tipo di cucina. London calling to the faraway towns, cantavano i Clash nonostante tutto.
Enrico Franceschini, Londra Babilonia,