SE NE VA A 107 ANNI LA LEGGENDARIA COMPAGNA DELLO SCRITTORE CÉLINE, “LA VEDOVA PIU’ CELEBRE DELLA SCENA LETTERARIA FRANCESE” – L’AMORE PER I GATTI E LA DANZA, IL TIRA E MOLLA SULLA RIPUBBLICAZIONE DEI PAMPHLET ANTISEMITI -POCO TEMPO ADDIETRO, NEL 2018, OBERATA DAI DEBITI, AVEVA ANNUNCIATO LA MESSA ALL’ASTA DELLA CASA DELLA VITA TRASCORSA CON IL SUO UOMO…
Lucette Almansor, vedova Destouches, leggendaria compagna dello scrittore francese Louis-Ferdinand Céline, se n’è andata. Aveva 107 anni. Il marito, forse il più innovativo narratore del secolo scorso, le era stato accanto fino al primo luglio 1961. Lucette è rimasta a sopravvivergli nella casa di sempre. Perfino come personaggio letterario vivente, feticcio familiare per definizione, umano oggetto di culto per tutti coloro che hanno care le pagine di “Viaggio al termine della notte” e “Morte a credito” e d’ogni altro frammento della sua scrittura.
Lucette se n’è andata nei giorni scorsi, appunto, nella storica abitazione di Meudon, altrettanto feticcio topografico-letterario, nel sobborgo di Parigi, dove, insieme a Louis, avevano scelto di vivere facendo ritorno in Francia dopo l’esilio in Danimarca. Su Céline, fino all’arrivo dell’amnistia, nel 1951, gravava, lo ricordiamo, una condanna in contumacia per collaborazionismo e antisemitismo: conclamata contiguità morale con l’occupante nazista tedesco.
A Lucette Almansor, una sorte benevola e insieme spietata ha donato molti altri giorni dopo la scomparsa del coniuge, stroncato da emorragia celebrale esattamente 58 anni fa. Per sua disdetta, Céline scompare il medesimo giorno del suicidio di Hemingway. Tutti i titoli d’apertura andranno all’autore di “Festa mobile”, all’altro poche righe, strapuntino di ricordo nelle pagine interne, in basso.
Così in attesa del riconoscimento postumo finalmente davvero inarrestabile, riservato a un gigante carnivoro della letteratura e dello stile, cui, nel Novecento, si deve l’invenzione della “petite musique”: restituire cioè sulla pagina scritta l’emozione del parlato, la voce, i suoi tre puntini sospensivi, accanto al ricorso delle forme gergali dell’argot, che non è dialetto, semmai un’infinita declinazione espressiva dell’umano, l’argot dei macellai, l’argot dei panettieri, l’argot dei facchini delle Halles di un tempo…
In Lucette, inamovibile e fedele, in senso quasi monacale, lì presente come complice affettiva di vita e di fuga, ricordiamo anche la maestra di danza di gusto “orientale e di carattere”. Accanto allo scrittore nella penombra domestica, nel controluce di periferia parigina dei tardi anni Cinquanta, poi insieme alle allieve, nel salone al primo piano del “pavillon” di Meudon, manufatto d’epoca Luigi Filippo, accostato alla route de Gardes, sobborgo destinato inizialmente a una piccola borghesia semi-cittadina, già, vista da laggiù, Parigi è uno sciame distante di costruzioni, subito dietro le officine Renault.
Lucette brilla nei romanzi finali di Céline, nella cosiddetta “trilogia germanica”, “Da un castello all’altro”, “Nord” e “Rigodon”. Sulla pagina scritta lei, “Lili”, si accompagna all’adorato gatto Bébert, e anche quest’ultimo, un soriano, sfavilla come astro nella cosmogonia celiniana. Lucette, lo si è detto, compagna d’esodo nel “cupio dissolvi” della Germania nazista. Insieme seguiranno la carovana dei collaborazionisti fino a Sigmaringen, il resto è storia processuale, le accuse di “alto tradimento” e di “indegnità morale”. Ancora adesso, nonostante il valore di un’opera indiscussa, non una targa a ricordare i luoghi di Céline, neppure in rue Lepic o in rue Girardon, suoi domicili prebellici sulla collina di Montmartre; la Francia ha cura di distinguere l’oro della Resistenza dal fango del collaborazionismo.
Lucette Almansor, poco tempo addietro, nel 2018, oberata dai debiti, aveva annunciato la messa all’asta proprio dell’abitazione della vita trascorsa con il suo uomo che, nella verità dell’anagrafe, rispondeva alle generalità di Louis-Ferdinand Destouches, nato a Courbevoie il 27 maggio 1894, come si legge sulla tomba, dov’è inciso anche un vascello a tre alberi, a memoria del peregrinare: “Solo viaggiare è utile, tutto il resto è noia e fatica”, l’esergo che apre il “Voyage”. Nella stessa tomba troverà ora posto, infine, chi mai immaginava di lasciare per sempre la terra, e con essa Meudon, nel secolo nuovo, altrimenti, tumulando il coniuge, non avrebbe, da subito, fatto incidere la dicitura: “Lucie Destouches, nata Almansor, 1912-19..”.
Sopravvivendogli, le è spettato assumere l’onere di custode testamentaria dell’opera e perfino della leggenda. Le vendite dei libri di Céline, lo si sappia, in seguito non hanno più conosciute soste, anche i suoi autografi appaiono tra i più costosi del Novecento letterario mondiale. Lucette si opporrà tuttavia alla ripubblicazione dei pamphlet antisemiti, “Bagatelle per un massacro” (1937), “La scuola dei cadaveri” (1938) e “La bella rogna” (1941). I primi due ricompariranno tuttavia in traduzione italiana nel 1981 per le edizioni Guanda, e oggi sono piccole rarità da bibliofili. In verità, nel 2017, Lucette aveva concesso all’editore Gallimard di riportarli in libreria. Attraverso il suo storico legale, Francois Gibault, curatore delle opere, aveva giustificato la decisione della ristampa poiché bisognosa di denaro per far fronte “a significative spese mediche”. Le polemiche scoppiate nell’Esagono faranno optare infine per la sospensione dell’uscita.
Céline e Lucette si era conosciuti nel 1935, quando lei aveva solo 23 anni. Nel loro album fotografico c’è l’amore comune per i gatti e per la danza, c’è Lucette che mostra i passi alle allieve, mentre, al pianterreno, il “dottor” Destouches riceve i pazienti: Céline, medico di professione, ha infatti riaperto il suo ambulatorio a Meudon. L’ultimo libro, “Rigodon”, uscito postumo nel 1969, è dedicato esattamente “Agli animali”. Ancora adesso, provando ad affacciarsi davanti al “pavillon”, c’era modo forse di sentire abbaiare gli eredi dei molossi di un tempo.
Degli ultimi anni trascorsi accanto al marito dispotico, l’aspetto da anziano trasandato, il vecchio giaccone di cuoio addosso, fra molto altro, lei raccontava di avergli un giorno fatto dono di un cardigan, che però lui farà subito a pezzi con le forbici, quasi a puntualizzare il rifiuto d’ogni lusso, come reazione forse espiatoria. In altre foto, Lucette lo osserva da lontano, mentre fa ritorno al suo studio di danza, la calzamaglia nera, la fascia a trattenere i capelli. In un altro scatto ancora, all’esterno della casa, nel bianco e nero del 1957, tra uscio e giardino, Céline mostra, disposti su un tavolo, le cose che ha più care e orgogliose, il pappagallo Toto accanto alla copertina, incorniciata, dell’“Illustré National”, dedicata al corazziere Destouches, eroe decorato della prima guerra mondiale, mentre a cavallo, nonostante le ferite, recapita un dispaccio al proprio comando.
lucette Almansor, vedova Destouches
Nel mondo già pienamente a colori degli ultimi suoi anni, madame Destouches è uno scricciolo in camicia da notte, lì sul letto, i tratti del viso gli stessi di sempre, identici a quando con Louis risalivano la Germania in fiamme per trovare scampo, in attesa di raggiungere infine, nel riconquistato tempo di pace e del nuovo riconoscimento editoriale, la residenza appartata di Meudon.
“È stata la vedova più celebre della scena letteraria francese”, così la Francia ha voluto salutarla. Il municipio ha fatto sapere che, per evitare ogni genere di contestazione, non ci saranno pubbliche cerimonie. Morire già postumi in vita a 107 anni.