È morto a 88 anni Luciano Gallino, sociologo, docente universitario e collaboratore di MicroMega. Lo ricordiamo ri pubblicando l’intervista che ci aveva concesso alcuni giorni fa a proposito del suo nuovo libro, “Il denaro, il debito e la doppia crisi” (Einaudi) – da Micromega.
“Una fiammella di pensiero critico nell’età della sua scomparsa”. Luciano Gallino, noto sociologo, parla così della sua ultima fatica “Il denaro, il debito e la doppia crisi” (Einaudi editore). Un testo, dedicato ai nipoti, che analizza l’attuale fase socio-economica: “Senza un’adeguata comprensione della crisi del capitalismo e del sistema finanziario, dei suoi sviluppi e degli effetti che l’uno e l’altro hanno prodotto nel tentativo di salvarsi, ogni speranza di realizzare una società migliore dall’attuale può essere abbandonata”, si legge nella prefazione al libro.
Il suo giudizio è netto, crudo e decisamente pessimista. A partire dagli anni Ottanta avremmo visto scomparire due pratiche che giudicavamo fondamentali: l’idea di uguaglianza e quella, appunto, del pensiero critico. Al loro posto ci ritroviamo con l’egemonia dell’ideologia neoliberale, la vincitrice assoluta della nostra era.
Professor Gallino, partiamo dal titolo del libro. Qual è la doppia crisi che va spiegata ai nipoti?
La crisi del capitalismo e del sistema ecologico. Due crisi strettamente legate tra loro. Mi spiego. È possibile che il capitalismo attuale sia in una stagnazione senza fine, difficile riprenda una marcia espansiva come se nulla fosse successo in questi anni. Con la finanziarizzazione dell’economia, il capitalismo ha tramutato in merce un’entità immaginaria, ovvero il futuro. A tale desolante quadro, si collega la distruzione del nostro sistema ecologico. Per ottemperare alla crisi, il capitalismo ha reagito devastando ambiente e consumando maggiori risorse, mentre nel mondo le materie prime sono in via di esaurimento. Ciò ha causato distruzioni all’ecosistema e danni climatici come il surriscaldamento del pianeta. Alcuni progressi sono stati intrapresi con il Protocollo di Kyoto ma i Paesi sono lontani dal mantenere gli obiettivi prefissati, i risultati sotto gli occhi di tutti: l’innalzamento delle temperature, “bombe” d’acqua, alluvioni etc…
Lei narra la storia di una sconfitta politica. Al posto del pensiero critico ci ritroviamo con l’egemonia dell’ideologia neoliberale: la lotta di classe l’avrebbero vinta i ricchi. Ma come siamo arrivati a questo punto?
Dagli anni ’80 il pensiero neoliberale ha scatenato un’offensiva che ha messo sotto attacco le idee e le politiche di uguaglianza. Un apparato di super ricchi e potenti ha imposto il proprio dominio su finanza, società e media. Nessun esponente politico ne è rimasto escluso, anche dopo il 2007 quando tale pensiero è entrato totalmente in crisi. In gioco non c’è soltanto la demolizione del welfare ma la ristrutturazione dell’intera società secondo il modello della cultura politica neoliberale, o meglio della sua variante, soprattutto se pensiamo al piano tedesco: l’ordoliberalismo.
Nel libro scrive, a proposito delle ricette economiche adottate per affrontare la crisi, che siamo dinanzi a casi conclamati di stupidità…
I governi dei Paesi europei hanno sposato i paradigmi dell’economia neoliberale e perseguito il dogma dell’austerity non avanzando una sola spiegazione decente delle cause della crisi mondiale: i modelli intrapresi sono lontani anni luce della realtà dell’economia. Hanno utilizzato modelli vecchi e superati. Un esempio italiano? Nella nuova riforma sul lavoro, il Jobs Act, non vi è alcun elemento né innovativo né rivoluzionario, tutto già visto 15-20 anni fa. È una creatura del passato che getta le proprie basi nella riforma del mercato anglosassone di stampo blairiano, nell’agenda sul lavoro del 2003 in Germania e, più in generale, nelle ricerche dell’Ocse – poi riviste – della metà anni ’90. Un’altra follia è l’aver avallato l’idea che una crescita senza limiti dell’economia capitalistica sia possibile. In questa lunga discesa verso la recessione, gli esecutivi di Berlusconi, Monti, Letta e ora Renzi saranno ricordati come quelli con la maggiore incapacità di governare l’economia in un periodo di crisi. I dati sono impietosi
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Con il terremoto finanziario ha perso l’idea di uguaglianza. Un dato su tutti: il 28% è il numero dei bambini che vivono sotto la soglia di povertà in Europa. Sempre il 28 è la crescita del fatturato delle aziende del lusso tra il 2010 e il 2013. Anni di crisi, quindi, ma non per tutti?
Nei maggiori Paesi Ocse, nel periodo 1976-2006, la quota salari sul Pil è scesa in media di 10 punti, i quali sono passati alla quota profitti dando origine a diseguaglianze di reddito e ricchezza mai viste dopo il Medioevo. Inoltre, va evidenziato che l’enorme diseguaglianza non è la causa ma l’effetto delle politiche di austerity adottate dai governi per combattere la crisi. Due facce di unico processo: la redistribuzione dal basso verso l’alto con i più poveri che sono stati impoveriti dai più ricchi.
Secondo lei, il quadro è immutabile o esiste ancora una exit strategy?
La via d’uscita è il superamento del pensiero neoliberale sotto i vari aspetti a cominciare da quello economico. Noto con interesse che, recentemente, si stanno sviluppando esempi di resistenza e pensatoi di studiosi che riflettono su ipotesi di discontinuità ma siamo lontani da un effettivo cambiamento dello status quo. È necessario un segnale di rottura anche nella scuole e nell’università che, negli ultimi decenni, hanno subito un attacco da parte dei governi a colpi di riforme orientate a espellere il pensiero critico dai luoghi della formazione: l’intero sistema doveva essere ristrutturato come un’impresa che crea e accumula “capitale umano”. Bisogna correggere il tiro.
La crisi del capitalismo ha portato anche ad una crisi della democrazia?
Sicuramente, basta pensare all’attuale architettura dell’Unione Europea e alla sovranità perduta: il trasferimento di poteri da Roma a Bruxelles è andato oltre a quel che era previsto dal trattato di Maastricht. Temo che il sogno europeista si sia infranto sugli scogli dell’euro. La moneta unica si è rivelata una camicia di forza e non ha minimamente contribuito a ridurre gli scarti tra un’economia e l’altra in termini di ricerca e sviluppo, investimenti, innovazione di prodotto e di processi, dotazione di infrastrutture ed istruzione professionale.
Professore, è diventato un no-euro?
Decisamente sì, lo sono da anni, ci vuole un intervento radicale. Nello stesso momento, credo che l’uscita dalla moneta unica sia complessa e difficile, quindi va pensata gradualmente e concordata con Bruxelles.
Pensa anche alla rottura dell’Unione Europea?
Uscire dall’Europa sarebbe, per l’Italia, un disastro economico per via dei cambi che si scatenerebbero contro di noi. Sono favorevole ad una graduale uscita dall’euro, rimanendo però nell’Unione Europea. È tecnicamente possibile come provo a dimostrare in un paper che presenterò a breve.
Una sinistra degna di questo nome non dovrebbe fare proprio il tema della lotta alla diseguaglianza sociale?
Dove sta a sinistra una formazione di qualche solidità e ampiezza che ne abbia fatto la propria bandiera?
In Italia ha perso le speranze?
Ci sono dei segmenti ma sono ininfluenti soprattutto di fronte a quel che dovrebbe essere il domani di una sinistra in grado di rappresentare una valida opzione politica. Purtroppo, da noi, la sinistra non esiste.
Come giudica le esperienze di Syriza, Podemos, Sinn Fein e, più in generale, delle forze della sinistra europea?
Sono novità importanti nel panorama europeo, segnali di incoraggiamento, però sono cauto: bisogna capire quanto dureranno questi fenomeni e se riusciranno realmente ad incidere a Bruxelles e contro le politiche d’austerity. Un buon cammino, tifo per loro senza illusioni.
Vuole lanciare un messaggio alle nuove generazioni?
Cambiare in modo radicale le strategie di produzione e consumo è una necessità vitale per l’intera umanità. E, soprattutto per i giovani, utilizzerò un vecchio messaggio: se volete avere qualche speranza… studiate, studiate, studiate.