“Sono da sempre persuaso che un giorno entrerà in casa mia un cavallo verde a chiedermi una sigaretta senza filtro, e sento fin d’ora il disagio che proverò dovendogli rispondere che non fumo”: come non condividere cordialmente l’attitudine di Giorgio Manganelli così deliziosamente presentata?
Cinque verbi di forma finita, in equilibrata alternanza: presente, futuro, presente, futuro, presente. Alta oreficeria. Meccanica di precisione.
“Sono persuaso”: presente e stato morale permanente, vero in quanto soggettivo. Il futuro è d’altra parte un modo, più che un tempo; uno dei modi dell’irrealtà di cui l’italiano abbonda. In “entrerà” esso è però coniugato alla terza persona: la persona dell’oggettività. Di nuovo uno stato sentimentale: “sento (il disagio)”, di nuovo un presente soggettivo. Segue “proverò”, sintesi al futuro che mescola verità soggettiva e irrealtà oggettiva. Chiude “non fumo” ed è un mortaretto o, se si vuole, il contrario di un mortaretto; l’espressione più piana e quotidiana, al presente, di uno stato permanente del soggetto, visto negativamente. Quando si dice sapere scrivere. Lo si vede anche in questo minuscolo passaggio, tratto quasi a casaccio da una delle prose estemporanee di Improvvisi per macchina da scrivere.
E poi solo due attributi. Uno è inatteso e straniante: “verde”. Ha un alto contenuto informativo: un cavallo verde? Ma dai… L’altro è di piena prevedibilità: “senza filtro”. Ha basso contenuto informativo: “senza” o “con”, le sigarette. Due possibilità equipollenti. Solo un bit, dicevano i vecchi manuali di teoria dell’informazione.
Del resto, cosa ci sarebbe di stupefacente nell’ingresso in casa di un cavallo parlante? Nulla. Da sempre, ci son stati mondi dove i cavalli l’hanno pacificamente fatto, dicendo tra l’altro cose sensatissime. Testimone l’affidabilissimo Lemuel Gulliver. Stupefacente è invece che, intanto, il cavallo sia verde. Ancora più stupefacente è poi che un essere così poco comune faccia una richiesta tanto comune.
L’effetto comico prodotto dal disagio sta d’altra parte in relazione con la banalità della richiesta.
Uno stupore attonito dell’io protagonista del gag: ecco cosa s’attende il lettore. E invece, flop!, l’attesa si sgonfia come un palloncino bucato. Per litote, non c’è stupore, c’è disagio. Un cavallo entra in casa, parla, è verde e chiede una sigaretta senza filtro. E che fa il protagonista? Confessa un’intima reazione di imbarazzo. Con tratto sopraffino, si istituisce come modello ideale forse di timidezza, forse di snobistica predisposizione a una distante tolleranza. All’ingresso in casa propria, nella propria intimità, di un cavallo verde che faccia una richiesta del genere è ovvio si debba essere preparati, in questi tempi di arrivi.
E, del resto, cosa sarà mai, per casa, un cavallo verde parlante e fumatore, a paragone dell’imbarazzo di non riuscire a soddisfarne la richiesta? È tutto lì, nella piatta ordinarietà di un disagio, l’incontro certissimo con un simile prodigio e con la sua altrettanto ordinaria ma ineludibile richiesta.
Sì. Quasi ci si scordava di dirlo. Verde – Manganelli certo lo sapeva – è il cavallo del quarto cavaliere dell’Apocalisse: “colui che lo montava aveva nome Morte, e l’Ade lo seguiva”. Che eleganza! Che probo indirizzo di superiorità, davanti alla fine!