Abbiamo visto Midnight in Paris regia di Woody Allen.
Quante volte tra amici si è detto: se potessi scegliere, in che epoca vivresti? E ognuno di noi, secondo gusti letterari, artistici, politici rispondevamo “Ai tempi della Belle Epoque a Parigi” oppure “A Londra negli Anni Sessanta” o ancora “Durante la Rivoluzione Russa a San Pietroburgo”. Ecco, un Woody Allen minore e palesemente invecchiato, ci ha fatto un film. Con gli stessi ingredienti personali e il suo background leggero e fantasmagorico ha costruito una storia ambientata a Parigi dalle possibilità variopinte e originali (negli Anni Ottanta ne avrebbe fatto un altro piccolo capolavoro sul genere La rosa purpurea del Cairo, Zelig o Radio Days e l’inizio è la sbiadita copia di Manhattan) che invece come un soufflé cotto male a volte è poco mangiabile e a volte quasi irritante (i personaggi che incontra, uno Scott Fitzgerald più insignificante non poteva immaginarlo, afono e cornuto, un Hemingway cazzaro e spara sentenze, un Picasso parodistico, un Dalì macchietta che parla di sesso e rinoceronti in un bistrot nemmeno fosse Ionesco dopo un ictus, e via dicendo).
Allen probabilmente a 76 anni dovrebbe essere meno prolifico, non fare un film l’anno – è arrivato a 42 -, comprendere che se non si ha granché da dire è meglio stare zitti e aspettare, ma a livello personale si può comprendere l’ansia di non fermarsi a pensare alle cose naturali della sua età. E poi se da qualche parte doveva prender spunto di un’epoca, forse era meglio non riprendere il divertente ma gossipparo ante litteram di Fiesta mobile il libro più popolaresco di Hemingway. Peccato, perché oltre lo spunto favolistico c’era materiale per riflettere sui tempi andati, sulle trasformazioni epocali, sul ruolo dell’artista di ieri e di oggi, sul senso della nostalgia e dell’illusione,sul desiderio di vivere in epoche in cui non abbiamo vissuto e che forse sono splendide e desiderate solo perché non le abbiamo vissute personalmente. Ed anche gli altri argomenti trattati come la riflessione sull’amore, sul rapporto di coppia, sul tradimento, sulla vita e le sue soddisfazioni morali ed economiche che non vanno di pari passo e lo scontro tra realtà e desiderio fino all’illusione sono accennati e fondamentalmente sprecati in siparietti già visti, con soluzioni misogine e con dei ricchi talmente ricchi da far venire voglia di ripristinare la lotta di classe.
In un albergo lussuoso di Parigi risiedono per qualche giorno due coppie di americani, due futuri suoceri, la loro figlia (Inez – Rachel McAdams) e il suo fidanzato Gil – Owen Wilson) uno strapagato sceneggiatore di Hollywood stanco dell’effimero lavoro che fa e desideroso di vivere a Parigi e diventare uno scrittore sul genere Lost Generation Anni Venti. Lui sogna romanticamente, mentre la sua bellissima quanto stronzissima fidanzata è pratica e americana sin nel midollo. Incontrano nel ristorante dell’albergo una coppia di americani, Paul è un amico di Liz di cui lei è ‘inconsciamente’ affascinata.
Iniziano a visitare Parigi assieme e Liz e Paul amoreggiano nonostante i relativi partner. Gil invece di preoccuparsene inizia a lasciarli in tre e ad andarsene da solo per la città. E una sera, a mezzanotte, seduto su dei gradini di una strada sconosciuta, si fa caricare da una vecchia automobile con dei passeggeri in festa alcolica. E senza rendersene conto si trova ad una festa ‘mobile’ con Scott Fitzgerald, sua moglie Zelda, Hemingway, Cole Porter e via scoprendo. A questo punto inizia una storia su due binari convergenti, di giorno Gil parla, litiga e vive con la sua fidanzata, con la coppia di amici e con i futuri suoceri e la sera, a mezzanotte sale sull’auto del tempo e va per feste e case, dove conosce Picasso, la sua donna e musa Adriana, Josephine Backer, Salvador Dali, Gertrude Stein (che gli darà i consigli giusti per migliorare il suo romanzo), Man Ray, Luis Bunuel (a cui da’ la storia dell’Angelo Sterminatore). In questa Parigi Gil trova il suo sogno e la ragione di vivere personale e artistica e troverà la forza – rientrando poi all’alba, nella sua vita ordinaria – e il coraggio di interrompere un fidanzamento che non regge, di essere indifferente al tradimento di Inez e di cercare la sua strada fregandosene di Hollywood, del successo e di una vita che non può più vivere. Ma allo stesso tempo – conscio che prima o poi il sogno si trasformerà in realtà e quindi in nuova insoddisfazione – Gil incontra sotto la pioggia amata un nuovo amore, una ragazza che apparentemente ama le stesse sue cose.
Ripetiamo, peccato. Perché le potenzialità della storia ci sono tutte, le argomentazioni non sono comuni nel cinema di oggi ed anche il ritmo di regia in alcuni passaggi ricorda l’Allen migliore ma purtroppo è un film non riuscito, a volte fastidioso, ed anche l’andare e venire dalla favola alla realtà rompe la magia della storia.
Vogliamo citare una battuta del film detta da Gertrude Stein: l’artista non è colui che fugge, ma colui che con la sua opera cerca di dare senso e speranza di fronte all’insensatezza dell’esistenza.