Abbiamo visto Mission Impossible – Protocollo fantasma regia di Brad Bird.
Tom Cruise sembrava sul viale del tramonto, nonostante avesse poco più di quarant’anni, la rivista Forbes lo avesse messo nel 2006 tra gli uomini più potenti di Hollywood, avesse avuto tre Nomination all’Oscar (per film come Nato il 4 Luglio, Jerry Maguire e Magnolia) e avesse vinto tre Golden Globe e per altre quattro volte ci fosse andato molto vicino. Gli ultimi film erano stati dei flop o
delle operazioni sbagliate, da Mission Impossible 3 che era andato non bene come i precedenti e poi di fila Leoni per agnelli di Redford, Operazione Valchiria di Singer e Innocenti bugie di Mangold. Pensate che la Paramount lo aveva addirittura «licenziato» con uno sprezzante comunicato. Allora, nonostante tutto ha deciso di produrre in prima persona il quarto capitolo della saga Mission: Impossible, azzardando un regista dalla carriera un po’ particolare (l’ultimo suo film è stato Ratatouille di grafica computerizzata; il precedente Gli Incredibili – Una “normale” famiglia di supereroi film d’animazione), un cast di attori non glamour né carismatici, con le due donne protagoniste non “bellissime” e solo adesso emergenti dopo alcuni film off. Nonostante tutto, buon per lui, ha fatto centro: 60 milioni di dollari nelle prime due settimane negli USA e oltre 500 milioni di dollari di incasso nel mondo. Ed è tornato magicamente al top. Naturalmente il film non è memorabile, a nostro avviso; sulla storia si sorvola perché è in quella categoria in cui qualsiasi plot può andare bene; ma probabilmente ci sono alcune scene d’azione molto intense che a volte possono ‘stressare’ il tranquillo spettatore ed anche ‘divertirlo’ facendolo tornare un po’ bambino. Come l’esplosione del Cremlino, la salita fino al 130° piano sulle vetrate di un grattacielo, un inseguimento d’auto nel deserto in mezzo a una tempesta di sabbia. E già solo queste scene accontenteranno gli estimatori dei film d’azione.
L’agente Ethan Hunt è in prigione, forse perché ha ucciso sei serbi per rappresaglia personale. Due agenti dei servizi americani, il tecnico dei computer Simon (il bravo Benji Dunn) e la woman-in action Jane Carter (Paula Patton) lo liberano dal carcere perché deve impegnarsi in un’azione impossibile: deve infiltrarsi nel Cremlino per rubare qualcosa. Ma l’azione va storta, non per colpa loro, e appena escono il palazzo russo subisce un gravissimo attentato terroristico. Hunt finisce in ospedale e sospettato dell’attentato e i suoi collaboratori sono scaricati e messi al bando con lui, dal governo americano. Il Presidente lancia l’operazione “Protocollo Fantasma”. Hunt e il suo gruppo ufficialmente diventano fantasmi, non avranno più nessun aiuto e tocca a loro di fermare chi sta cercando di scatenare una guerra nucleare e in più dovranno difendersi dagli agenti russi che li cercano. E tra location alla 007 di un tempo, Ferrari, alberghi a sei stelle, feste di superlusso, tutto però sullo sfondo, si passa a Dubai e poi in India; tra una scalata di un grattacielo, una tormenta del deserto, corse a piedi e in automobile nel traffico di una Mumbai irriconoscibile. E naturalmente, come nei vecchi 007, il mondo sarà salvato all’ultimo secondo. Una nota a merito di questo film è il taglio “basso”, Ethan Hunt sopravvive ancora a qualsiasi scontro e caduta (ma prova anche dolore a una gamba), l’agente Carter si becca una pallottola al fegato, Brandt (Jeremy Renner) ha paura nel saltare nel vuoto e Dunn non è poi così un genio al computer. Insomma un tentativo di umanizzare l’agente indistruttibile e di mostrarlo anche buono e fragile come il suo simpatico team.
La scheda di Domenico Astuti