Da quando si vide, nel 1974, il film di Malle Lacombe Lucien, nuovo e sconvolgente nella sua analisi del collaborazionismo non delle classi alte e medie ma di uno stolido proletariato, e quando poi si lesse, nell’originale francese e poi di nuovo nella felice traduzione della Guanda, Dora Bruder, un romanzo del 1988, si è seguito il lavoro di Patrick Modiano con costante simpatia, si potrebbe perfino dire con affetto, per le sue qualità invero rare: la discrezione, la brevità, l’assenza di enfasi, lo stile piano da registrazione di eventi, la rievocazione fin ossessiva di una certa Francia, e di una certa Parigi ricostruita e battuta con maniacale precisione topografica. Lo giudicammo da subito uno dei migliori scrittori francesi della sua generazione anche se il meno appariscente di tutti – la generazione venuta dopo i Camus, Sartre, Queneau, Beckett, Yourcenar, Sarraute, quella che fu bambina nel dopoguerra, che non vide la guerra ma ne sentì l’eco e gli effetti e che crebbe negli anni dell’esistenzialismo e alla coscienza adulta in quelli del situazionismo e del Maggio. (Modiano è nato nel 1945; i due più noti scrittori francesi di oggi, Houellebecq e Carrère, essendo rispettivamente del 1956 e del 1957.) Figlio di un padre ambiguo, ebreo e collaborazionista, e di una madre fiamminga, è cresciuto in una Parigi ancora politicamente “imperialista” – l’Indocina, l’Algeria, i “territori d’oltremare” – e soprattutto “imperialista” culturalmente perché i suoi gusti dettavano legge non solo alla provincia (di qui l’insistenza di Bourdieu ed Ellul sulla maggiore vitalità della provincia, terreno di coltura per la sociologia e l’antropologia, rispetto alla capitale che imponeva la filosofia e il divismo degli intellettuali) ma a gran parte del mondo. Proprio perché si è tenuto lontano dal clamore mediatico dei vecchi e nuovi guru e dalla dittatura dei grandi giornali, Modiano ha saputo ridare a Parigi il suo sapore di provincia fatta di realtà minute e non sempre ascoltate dal centro: una Parigi di vite comuni, di passioni silenziose. Autore prolifico, solo una parte minima della sua opera è presente nei cataloghi italiani, e manca per esempio all’appello quel Livret de famille (1977) dove Modiano si esponeva infine in prima persona, si raccontava direttamente e non attraverso deviazioni narrative che pure si dirigevano verso un unico centro: la memoria occultata del paese, diventata per lui ossessiva proprio perché accanitamente nascosta o mistificata (si veda o riveda il film di Marcel Ophuls Le chagrin et la pitié, 1969, su materiali documentari). La memoria occultata perché rivelatrice di colpe, una memoria che si trattava dunque, per il bene proprio e di tutti, di disvelare, prima di tutto le colpe del collaborazionismo. La figura del padre (dell’ebreo a servizio del nazismo!) diventava nella sua opera il perno di un’interrogazione inesausta. La sceneggiatura di Lacombe Lucien (1974), il miglior film di Louis Malle e uno dei migliori tra le centinaia che hanno raccontato dei fascismi trionfanti (ma anche, molto più tardi, dei comunismi trionfanti) è forse il punto più chiaro (e pietoso) di questa riflessione, così come Dora Bruder nella narrazione dell’altra adolescenza, quella delle vittime incolpevoli.
Molti sono i romanzi in cui Modiano passa invece a narrare il dopoguerra, gli anni ardenti di una incerta ri-costruzione che nega il passato, e numerosi quelli dove il passato, quello di “prima del disastro”, di prima delle grandi colpe in cui è trascinata la gente comune dalle colpe dei potenti, viene in qualche modo idealizzato. L’insieme è il quadro di un’epoca sfaccettato e sistematico, distanziato, che si accosta per profondità al racconto degli anni delle due guerre mondiali fatto da Céline ma, per quanto riguarda le influenze certamente subite da Modiano, del primo Queneau, e forse di Guilloux, e di Martin du Gard ma soprattutto del Queneau meno frequentato ma grandissimo del Pantano, di Un duro inverno, di La domenica della vita, di Odile. Ma anche, e Modiano lo ha spesso ripetuto, dei Camus e dei Sartre delle prime opere. (E sarebbe interessante un confronto, tra gli scrittori francesi di oggi, tra le evocazioni di un passato reinventato da Modiano e quelle di un passato ricordato perché intensamente vissuto della Ernaux.)
Insomma, l’opera di Modiano ha molti motivi di interesse anche se a volte i suoi eterni ritorni sono stati troppo frequenti perché si potesse seguirli tutti con la stessa attenzione. Modiano non è probabilmente un grandissimo, ma il Nobel, che ha premiato troppo spesso scrittori e personalità men che mediocri, in tempi lontani come in tempi recenti, ha tenuto conto del fatto che di grandissimi in giro ce n’è ben pochi, e ha premiato un minore di alto profilo morale e letterario, un autore che molto abbiamo amato e che, va pur detto, ci è servito a capire meglio la storia del Novecento.