Montesanto è un quartiere ferroviario della città di Napoli, due linee su rotaie e una funicolare, ogni giorno migliaia e migliaia di persone che arrivano o che partono da lì. Mentre ci passo, alle sei del pomeriggio, nella piazza antistante la stazione del treno della linea Cumana, vedo tanta gente e vedo le onnipresenti bancarelle tutte disposte in bell’ordine, una di esse ha addirittura una ribalta di tessuto colorato con effetto presepe. Sento gridare e sono cori, di voci giovani che intonano delle canzoni, mi avvicino alla stazione dove altri come me stanno guardando o filmando la lunga scala di cemento che dispone l’uscita dei passeggeri. Lì sopra tanti ragazzini e soprattutto ragazzine con t-shirt bianche e scritte rosse e arancio, recano striscioni e le foto levate in alto di Davide Bifolco, il ragazzo ucciso da un carabiniere la notte scorsa al Rione Traiano. Da giorni questi ragazzi stanno invadendo la città, con marce repentine, dirette alle caserme dei carabinieri o in luoghi istituzionali, chiedendo giustizia e contestando la versione ufficiale dei fatti che parla di una disgrazia. Sono cori come allo stadio, capisco che il motivo ricorrente che avevo sentito anche al funerale di Ciro Esposito, il tifoso ucciso a Roma mesi fa, quella cantilena labiale che rifà Can’t take my eyes off you è usata dagli ultras come peana per i defunti, in questo caso girando intorno al ritornello “Davide vive”. Le voci sovrastano ogni cosa, aiutate dalla risonanza acustica della stazione, insieme ai battiti di mani, procurando una forte emozione. C’è anche un cane a cui hanno fatto indossare una maglietta con delle scritte dedicate a Davide, a dirigere i canti c’è un ragazzo con una bandana azzurra sottile che, fermatili con un cenno, fa uscire di scena il primo coro e avvia il secondo, che se ne stava nascosto più sopra e che ripete lo stesso movimento di voci e battiti per il povero ragazzo ucciso. Una donna, di quelle popolane mature con l’immancabile tuta sportiva, sorveglia la situazione, anche lei facendo cenni, esortando, ritmando quella che è una concertata esibizione di alcuni giovani del Rione Traiano che il treno della Cumana ha portato fin qui nel centro, con i loro striscioni e la loro ferita.
Il Rione Traiano è situato nei pressi dello stadio San Paolo e infatti da sempre molti dei suoi residenti ne animano gli spalti con quella tradizione ludica che, con le sue rigide regole e le sue mode, è la stessa che ispira i canti e i movimenti che si svolgono adesso davanti a noi con gloriosa commozione. Noto però che uno dei venditori ambulanti di Montesanto, un uomo di mia conoscenza, approfitta dei rari momenti di stanca per esortare i ragazzi a muoversi da lì, con un fare che mi sorprende per la sua audacia e il suo cinismo. è solo quando le varie file di coro si sono esibite che varcano i cancelli della stazione e il corteo prende a muoversi per la stretta e affollata arteria del mercato ortofrutticolo della Pignasecca, tra i più noti e pittoreschi della città. Seguo i ragazzi, sorpreso ancora di rivedere l’amico venditore che non smette di spingere via la protesta, ma in modo accomodante, oltre la piazza della stazione. Io ho già intuito dove voglia andare la coltre di manifestanti, di certo verso la vicina caserma Pastrengo, sede storica dei carabinieri a ridosso della piazza del martire dell’Arma, Salvo D’Acquisto, eroe della resistenza antinazista. Mentre camminiamo, rubo avidamente dal corteo pezzi di discorso, volti ed espressioni, condividendo l’indignazione per quest’ennesima morte di un giovane in pochi mesi. Pasquale Romano è il ricordo più remoto tra i recenti, ucciso due anni fa, con idiota ferocia, da un commando di camorristi che lo hanno scambiato per il loro obiettivo; Manuele Scarallo e Alessandro Riccio, investiti dall’autista che riteneva lo avessero rapinato poco prima; anche Ciro Esposito, tifoso del Napoli, ha trovato una pistola sul suo cammino durante uno scontro con gli ultras neofascisti della Roma, mentre Salvatore Giordano è stato vittima del crollo di un importante monumento del centro e invece Giulia Menna, una sua amica, della mal destrezza di un coetaneo a bordo di una di quello macchinette sprint di cui vanno pazze le giovani generazioni. La lista di ragazzi scomparsi per un avvenimento violento è lunga e forse, a tratti, anche inevitabile. Mentre avanzo con il corteo, reco in me la forse azzardata connessione tra l’ambiente – la situazione economica, politica e culturale – e i fatti che accadono ad alcuni singoli e che altrimenti potrebbero riguardare solo tali singoli, come questa pretesa disfida tra un carabiniere – di cui è secretata l’identità, ma si sa che ha 32 anni, è sannita e ha svolto servizio per anni a Verona – e la vittima Davide Bifolco. DI questi sappiamo che aveva quasi 17 anni, non andava più a scuola, quella notte era su uno scooter, seduto tra due passeggeri più adulti, che a un certo punto hanno violato l’alt dei carabinieri appostati su una strada esterna al Rione Traiano. L’inseguimento dello scooter è durato alcuni minuti e pare si sia concluso con il suo speronamento da parte di una delle gazzelle dei carabinieri, questi sono usciti subito dall’auto con le pistole in pugno, uno di essi si è lanciato all’inseguimento del giovane che era riuscito a continuare la fuga a piedi – forse il ventitrenne, Arturo Equabile, ricercato da giorni per evasione dagli arresti domiciliari e che costituirebbe il motivo per cui lo scooter non si è fermato all’alt, anche se alcuni giorni dopo, un giovane incensurato, Enzo Ambrosino, ha dichiarato di essere lui il terzo passeggero dello scooter. Il percorso del primo carabiniere è in parte documentato dalla videocamera di una sala giochi dove il fuggitivo è entrato, cercando di far perdere le sue tracce e infatti riuscendovi, mentre cosa abbia fatto il secondo carabiniere è oggetto dell’inchiesta della magistratura. Qui, l’unico testimone finora è il passeggero sopravvissuto dello scooter, Salvatore Triunfo, un diciottenne che racconta di essersi trovato nell’atto di rialzarsi, rivolto verso l’auto che li aveva speronati, quando ha visto il carabiniere avvicinarsi e sparare premeditatamente, uccidendo Davide con un proiettile penetrato all’altezza del cuore. La vittima era già in piedi e l’autopsia ha confermato che ha ricevuto il colpo frontalmente e quindi non mentre fuggiva – ma un perito della Polizia aveva già anticipato la cosa visionando le foto che la famiglia Bifolco, con disperato azzardo, aveva pubblicato su Facebook, come avevano già fatto i familiari di Stefano Cucchi nel 2009. La versione del carabiniere è dall’inizio quella del colpo partito accidentalmente a causa di un inciampo in un gradino mentre bloccava Salvatore Triunfo con l’immaginabile concitazione di un inseguimento svolto nell’adempimento del proprio dovere. Dal momento della morte del ragazzino, le proteste di familiari e amici sono state tutte indirizzate verso due obiettivi: stabilire cosa realmente sia accaduto e chiedere quindi un’equa condanna per chi ha sparato, anche se è un carabiniere.
Durante la marcia verso la caserma Pastrengo ho modo di capire che il corteo ha una componente performativa, gli adolescenti, e una di giovani più in disparte che sostengono e proteggono questo corteo lampo che intende mantenere l’attenzione sul caso. Secondo alcuni, non pochi, la protesta però avrebbe sapore di camorra. Sappiamo di certo che a difendere la famiglia Bifolco si è subito offerto l’avvocato Fabio Anselmo, legale della sorella di Stefano Cucchi, morto nel carcere di Regina Coeli per le percosse ricevute malgrado fosse in evidente crisi dovuta alla droga. è un’adesione ideologica quella di Anselmo, corroborata da alcune dichiarazioni della sorella di Cucchi sull’ottenere giustizia per gli abusi delle forze dell’ordine. La madre di Davide si chiama Flora ed ha ricevuto il cordoglio della madre di Carlo Giuliani, Haidi, e di quella di Ciro Esposito, Antonella Leardi.
So per certo che aree dei movimenti antagonisti sostengono la protesta del Rione Traiano, accomunati dal disperato bisogno di giustizia sociale e dal risentimento verso le forze dell’ordine poste a difesa della tenuta delle istituzioni che, in questa fase critica anche politicamente, sono oggetto di sfiducia e malcontento. Potrebbe essere diversamente. A ogni modo, la commistione di forze in campo per Davide – la famiglia, il quartiere, gli amici di scuola, gli ultras, i movimenti di base – è assai simile a quella delle proteste di Pianura e Chiaiano e simili contro le discariche, mentre è un po’ più eterogenea e al contempo meno ufficiale di quella per Ciro Esposito, vittima di un neofascista. Ricordo che tutte queste situazioni che ho citato sono state anch’esse, all’inizio, sempre tacciate di ricevere sostegno dalla camorra, con articoli di accreditati giornalisti e persino denunce di preti antimafia, che però non hanno avuto reali riscontri. è vero però che le vittime innocenti di camorra sono molte di più (consultate la voce su Wikipedia) di quelle dovute ad abusi delle forze dell’ordine e che la protesta in quei casi non è mai stata così determinata – anche se dobbiamo ricordarci del riot degli immigrati di Castel Volturno contro i casalesi omicidi o del clamore mediatico per i poveri Pasquale Romano e Gelsomina Verde – ma sarebbe altrettanto ipocrita negare che il coraggio di affrontare le istituzioni è più facile di quello contro le mafie e anche che esso si porta dietro aree di quel senso di antistato che è alla base del crimine.
Arriviamo di fronte alla Pastrengo, il corteo è preparato a un sit in e le ragazzine sono le prime a prendere posto sul manto di sanpietrini, stendendo gli striscioni. Mi sorprende vedere due ufficiali che escono incontro ai manifestanti sul portone della caserma, sono un colonnello e un capitano, mossi da un evidente proposito di distensione della situazione. Dopo un cenno della donna in tuta sportiva, dalle ragazzine parte subito una litania di Ave Maria che un nuovo gesto della corifea trasforma poi in un Padrenostro dando l’impressione di un’impellente, disperato e malizioso bisogno di comunicare – anche ai tanti fotografi e giornalisti – la pacificità della manifestazione. Gli ufficiali non potevano non essere informati dell’arrivo dei giovani – ne andrebbe della serietà dell’Arma – ma si offrono al dialogo: dall’inizio il grido di protesta del Rione Traiano ha avuto l’accortezza di sottolinearsi contro l’omicida e non contro l’Arma.
Sembra quasi certo che quella notte la gazzella abbia speronato lo scooter, la zona d’ombra inizia con la discesa dall’auto dell’altro carabiniere, quello che ha sparato a Davide Bifolco. Apprendo qui di un’ulteriore questione: la manipolazione della (presunta) scena del crimine, un fatto su cui evidentemente c’è da ragionare. I manifestanti chiedono al colonnello perché i colleghi dell’appuntato abbiamo obbligato i medici dell’ambulanza lì accorsa a prelevare il corpo di Davide dall’asfalto, malgrado la procedura lo vieti quando il decesso per cause violente sia stato ormai constatato e bisogna attendere l’arrivo della scientifica. Il colonnello si difende dicendo che i militari vi sono stati costretti perché accerchiati da un gruppo di abitanti che hanno lanciato delle pietre contro di loro. Il dialogo continua e ascolto la donna in tuta sportiva e il ragazzo con la bandana, che apprendo essere la zia e il cugino di Davide, che lamentano che le indagini sul caso siano state affidate agli stessi carabinieri, contravvenendo anche qui le disposizioni sull’opportunità di dare l’incarico a un diverso corpo di polizia. Su tale questione, l’avvocato Anselmo, pur riconoscendone l’anomalia, si è dichiarato fiducioso dell’operato del gip, cosa che viene ripetuta dal colonnello ai manifestanti. A chiudere il pacifico confronto, la donna in tuta propone che si faccia un minuto di silenzio in onore di Davide e chiede agli ufficiali di togliersi i berretti in segno di rispetto. I due militari si guardano perplessi e infine si scoprono la testa, tra gli applausi dei presenti. Il silenzio non viene eseguito ma invece uno dei giovani rilancia: “Vogliamo che una volta che si appuri la verità, l’assassino venga condannato con la stessa pena che avrebbe un cittadino qualunque se avesse ucciso un carabiniere.” è questa in fondo la battaglia che essi si sono preparati a sostenere, che la Legge sia eguale per tutti.
La manifestazione si disperde e scambio quattro chiacchiere con alcuni dei ragazzi, la loro intenzione mi sembra chiara e sincera a partire dal dolore per la morte di Davide, uno mi racconta del cane con la maglietta, un randagio che si è accodato spontaneamente alla prima delle loro manifestazioni senza lasciarli più. Vado via con gli altri e con alcune domande in testa. Ma davvero era inevitabile tanto accanimento emotivo da parte dei carabinieri se pure a bordo dello scooter ci fosse un evaso dagli arresti domiciliari, vista anche la caratura ridotta del criminale? Si poteva fare di meglio pur perseguendo l’obiettivo di cattura? La professionalità non serve a mantenere la lucidità e una distanza funzionale dalla mansione che si sta svolgendo? Ma forse chiedo troppo a uomini mandati in strada per pochi soldi a combattere l’illegalità seguendo metodi e procedure che la realtà dei fatti sembra da tempo aver superato. Mi chiedo allora che tipo di formazione abbiano i carabinieri oggi, se è adeguata alle tecnologie e alle problematiche odierne e quanto essa punti non solo sul senso del dovere ma anche sui diritti propri e di quelli dei cittadini. A questa domanda, un’amica mi ha risposto che una sua parente, commissario di pubblica sicurezza, ha avuto una formazione molto approfondita. Io non dubito di questa accuratezza nemmeno per la scuola ufficiali dei carabinieri, che infatti tanto fanno contro la criminalità organizzata, ma mi chiedo se gli allievi ne ricevano una equivalente pur se non fanno parte dell’intellighenzia militare ma che appunto per questo devono spesso affrontare situazioni complesse e pericolose. E ancora mi chiedo: il carabiniere sotto inchiesta, comunque vada, potrà mai più tornare a condurre una vita normale? Quei suoi colleghi che hanno modificato la scena del presunto crimine – presunto, perché a sentire l’indagato essa potrebbe anche definirsi scena dell’incidente e quindi pari a quella del cornicione caduto e dell’auto impazzita che pure però hanno portato a delle incriminazioni – quei carabinieri hanno agito lecitamente o, almeno, davvero nell’interesse del loro collega? La manipolazione ha creato sfiducia nella parte lesa e il sospetto che da questo si miri all’impunità o alla semi impunità per il carabiniere che ha sparato, un sentimento che, per quanto terribile, è molto comprensibile. Lo stesso dicasi di conseguenza per l’incarico investigativo dato ai carabinieri stessi sulla morte di Davide Bifolco. è stato opportuno accettarlo? Ancor più se alcuni militari sono dovuti intervenire sulla scena, modificandola, pur se sotto la pressione di una minaccia incombente da parte di chi ha assistito all’atroce dramma. I manipolatori saranno anche loro indagati? Alcuni, non sprovveduti, mi dicono che è andata sempre così in casi del genere e che è stata appunto creata un’associazione, Acad, che manifesta contro gli abusi in divisa. Qual è lo Stato? Io non voglio spendere parole su un ragazzo come Davide Bifolco che è vissuto dentro un contesto problematico e con pochissime opportunità di emancipazione, non cerco giustificazioni al fatto che girassero di notte in tre su uno scooter non in regola e nemmeno al fatto che non si sia fermato all’alt (non lui, ma chi guidava) scrivendo che questo è quanto si ottiene quando si lasciano famiglie e figli in balia della legge dei territori, del cosiddetto anti-stato. Non voglio tirare in ballo queste argomentazioni. Ma qual è lo Stato che posso contrapporre all’anti-stato? Ho bisogno di fare esempi ancor più concreti per farmi capire da chi non ha abbastanza strumenti culturali per comprendere le raffinatezze del Diritto e della Tutela. Non possiamo parlare loro di carabinieri che modificano la scena di un dramma e che poi sono chiamati a fornire i dati investigativi alla magistratura per appurare la verità. è opportuno? Certamente è consuetudine ma in un caso del genere è opportuna? Abbiamo bisogno in questa storia di qualcosa che non sia sbagliato.
Di sbagliato c’è già troppo, c’è il ruolo di coloro che erano con Davide quella sera, dell’abitudine a non avere senso di responsabilità verso i ragazzi, a lasciarli fare quello che vogliono per debolezza, a lamentarsi di loro o a usarli. Davide era uno dei tanti adolescenti poveri di Napoli che si stanno facendo le ossa con i grandi, che li seguono e li ossequiano, li imitano e li superano, assetati di imparare, di imparare a difendersi, a prendere e ad attaccare e infine a distruggersi o a distruggere così come è stato loro insegnato. La lettera con cui uno degli amici di Davide lo ha commemorato ai funerali, descriveva con semplice poesia il ragazzo, uguale ai tanti che i napoletani conoscono, “Non fare tarantelle lassù in Cielo… Quando qua giocavamo, ci volevano due palloni, uno per te e uno per la squadra… Non si capiva con quale ragazza stavi… Ti ricordi le serate insieme nella sala giochi?… e quelle là in discoteca?” La sala giochi è la stessa che ha filmato l’inseguimento dell’altro ragazzo, in una lunga sequenza opaca che, se non fatta scorrere fino al punto dell’ingresso del fuggiasco e poi del carabiniere, racconta un’altra cosa, racconta di una lenta notte dove una cinquantina di maschi, bianchi, giovani proletari, legali o illegali, passano il tempo a spendere soldi che, socialmente parlando, non dovrebbero avere, che si alienano nell’offrire profitto senza altre compensazioni. E senza altre compensazioni significa che lì il welfare manca, l’economia ristagna, la povertà dilaga, la droga è l’unica a portata di mano e uno sbirro una sera fa una cazzata. Perché di una cosa solo sono certo ed è questa: uno sbirro che fa una cazzata. Come con Carlo Giuliani, con Federico Aldovrandi, con Stefano Cucchi… Credo che in questo caso specifico, tocchi ai carabinieri tutelare i propri membri dal poter fare cazzate del genere contro dei cittadini. Mentre tocca allo Stato ribadirsi come esercizio di Diritto e non di autotutela, soprattutto verso chi ha una profonda sfiducia nelle istituzioni e quindi, come per ogni sfiducia nelle istituzioni, prova sfiducia in se stesso e nelle proprie possibilità di vivere secondo democrazia.
Di ritorno a Montesanto, il quartiere mi appare ancora assembrato di persone, la folla è di nuovo intorno alla stazione, ma stavolta è ordinata, silenziosa, fatta solo di commenti e risolini dietro un cordolo biancorosso. è un set cinematografico e capisco che le bancarelle erano preparate, tutte bardate, per questo scopo, che poco fa il venditore a me noto spingeva via i ragazzi per fare posto agli attori e mi viene in mente che anche i ragazzi di prima avevano i loro strumenti teatrali, i loro corpi, le loro voci, avevano un’organizzazione dell’immagine mutuata dallo stadio e dalla tv. Ma qui la gente gradisce, approva, è divertita e riconosce e in fondo spera, non vuole saperne di drammi e misteri, è preferibile così per lei e definisce tutto ciò bello, ordinato, efficace. Ecco le nuove istituzioni, quelle di cui si approva la polizia e finanche i criminali, in cui il bene trionfa o si cimenta. Roba per bambini, in fondo, non più astuti di un adolescente di quasi diciassette anni come quello che ha fatto una cazzata quella sera. Ma qui si muore davvero, e il sangue di una pistola è un’altra cosa. Penso che quella sera lì non dovessero esserci pistole, nemmeno nelle mani dei carabinieri, niente pistole. Qualcuno mi ha risposto che non possono mica i carabinieri lì andarci con i fiori, ma un altro mi ha spiegato che infatti i segni del potere sono contrari al potere dei segni e che per questo dobbiamo immaginare nuovi orizzonti. Non credo sia sbagliato connettere i piani di discussione tra l’individuo e la società per cercare innanzitutto le idee necessarie, necessarie prima delle risorse economiche e del resto delle solite cose: idee nuove, perché, come un ragazzino scrisse molti anni fa, “Il faut être absolument moderne”.