Abbiamo visto “ Napoli velata “ regia di Ferzan Ozpetek.
Con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Peppe Barra, Anna Bonaiuto. Genere Melò-drammatico – Italia, 2017. Durata 113 minuti. Uscita in sdala, giovedì 28 dicembre. Distribuito da Warner Bros Italia.
Ozpetek mischia i generi, inizia con un noir erotico, passa al melodramma alla napoletana, per poi giungere a un’astrazione finale vagamente misterica, in cui i personaggi non sembrano persone ma maschere che rappresentano altro e che mostrano un’incandescenza rarefatta. Un film dalla trama complessa, forse troppo alta per Oztepek, dalle atmosfere barocche, solo in parte interessante, e in fondo poco originale; una pellicola che gioca anche sul senso del tempo, sulla contrapposizione tra realtà e il suo contrario, tra concretezza e astrazione, tra compiuto e non compiuto, in cui la meravigliosa città di Napoli dovrebbe venire in supplenza quando la storia perde colpi, rallenta e gira in tondo. Una trama un po’ melassosa, con immagini a volte declamatorie, con un’estetica al limite dell’ente del turismo per ricchi, e una trama che sembra muoversi tanto ma che in realtà resta ferma a terra. Con una protagonista che vive la sua vita in modo labirintico, perché nasconde a se stessa un segreto e un dramma infantile, ma in fondo tutti nascondono qualcosa, dalla zia al poliziotto, dall’amante occasionale di una notte alle due algide archeologhe. C’è tanta carne sul fuoco e c’è un’idea di cinema se non pretestuosa, inadeguata narrativamente, una trama troppo ricca e allo stesso tempo inconsistente, dove i personaggi apparentemente forti, illuminati dalla tragica napoletanità, si aggrovigliano, si incartano, restano sempre nello stesso punto di partenza; e nonostante un cast al femminile originale e convincente ( tutte brave, con una Giovanna Mezzogiorno che sembra voler liberare il suo personaggio dall’idea di regia e cercare, attraverso una recitazione per sottrazione, di creare discontinuità ), le naturali belle scenografie e l’immaginario collettivo che rappresenta la città di Napoli, il film non convince tra intenzioni e realizzazione. Un tentativo ( dopo anche Rosso Istanbul, ancora meno risolto ) in cui gli sceneggiatori e il regista ambiscono a un cinema profondo e quindi alto ma che finiscono in un labirinto irrisolto, a volte fastidioso. Anche l’escamotage di alcune contraddizioni narrative risolto col disturbo della personalità, e di una specie di sdoppiamento della protagonista, non rendono più plausibile la trama ma la rendono solo più ovvia. Insomma tirando all’osso, il film ci dice che preferiamo non vedere, nascondiamo simbolicamente ciò che dovremmo comprendere: simbologia di tutto questo è il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino nella cappella Sansevero, luogo finale del film.
Adriana ( una convincente Giovanna Mezzogiorno ) è una quarantenne che porta in sé un dramma familiare infantile; ha molti amici nella comunità gay e lesbica di Napoli e lavora come anatomopatologo: sembra più a suo agio con i morti che non i vivi. Durante la rappresentazione del famoso e tradizionale parto dei femminelli viene avvicinata dal giovane Andrea ( un algido e quasi impassibile Alessandro Borghi ), che la seduce immediatamente e passano tutta una notte a fare sesso appassionato. Adriana si sente il mattino dopo felice, e dopo tanto tempo viva, accetta un primo appuntamento con l’uomo per il pomeriggio. Ma Andrea non si presenta e lei scoprirà il giorno dopo che quel cadavere all’obitorio che deve analizzare è proprio il giovane uomo. Inizia un’indagine poliziesca che gira abbastanza a vuoto e perdiamo di vista abbastanza presto, iniziamo a seguire Adriana che attraverso questo trauma sarà costretta, aiutata dal caro amico Pasquale ( Peppe Barra ) mentre è osteggiata da zia Adele ( Anna Bonaiuto ), a ritornare nel proprio passato esistenziale e al suo trauma interrotto. Il ritornare al buio del passato porta Adriana a cambiare tutta la sua vita, si licenzia dal posto di lavoro, abbandona la sua bella casa e trasloca con un nuovo amore sereno e placido – il polizotto Antonio che ha conosciuto durante le indagini sull’omicidio di Andrea e che l’ha sostenuta in tutto questo periodo di sbandamento -. Durante la cerimonia di premiazione alla cappella Sansevero, in onore delle amiche Ludovica e Valeria, Adriana riceve da loro un consiglio, la verità è meglio che venga velata come il famoso Cristo. Mentre se ne va da sola, la custode le porge un oggetto: un portafortuna a forma di occhio appartenuto a suo padre, che le era stato donato da Adele e che è caduto al ragazzo entrato con lei, ma lei è venuta alla cerimonia da sola. Consapevole che non potrà mai conoscere la verità, Adriana accetta questa regola del gioco e si fa inghiottire dalle strade di Napoli.